Anche i Presidenti hanno un cuore. Ed il cuore degli uomini è spesso contorto. Trump è davvero così sicuro di sé come vorrebbe far credere? Anzi, come vorrebbe lui stesso credere, per convincere se stesso ? Si comporta con la calma, la ponderazione, l’accortezza di un vero leader che sa di avere la situazione in pugno ? Oppure quel modo precipitoso, impulsivo, spocchioso, come fosse spinto da uno spirito di rivalsa a lungo covato contro questo o quel “nemico” vero o presunto, non denota forse apprensione ed una certa inquietudine ?
Perché ha bisogno di mostrare ai suoi elettori – ed a chi altri ? – in diretta TV, dallo Studio Ovale, il piglio spiccio, risoluto e minaccioso del “duro”, cioè, in definitiva, quanto sappia essere forte, sia pure maramalmeggiando i deboli?
Anche questo non è un atteggiamento da leader. A Milano soggetti del genere li chiamiamo “ganassa”. E non è un complimento. Forse aspetta che i suoi fans, come fosse davanti allo specchio magico della regina cattiva, gli confermino che, lui sì che è il più bel “ganzo” del reame ? Che merita ossequio e rispetto.
Quel “Vincerò”, sfuggito d’ impeto, quasi fuori contesto da ciò che in quell’ istante stava argomentando, lo scorso 20 gennaio, nel discorso di insediamento, non supponeva forse un sottinteso punto di domanda ? Come se si trattasse di un’ incoraggiamento che Trump rivolgeva, d’ istinto, a sé stesso, per esorcizzare il fremito sottile di un timore impalpabile eppure fastidioso ? Peraltro, non è detto che la coppia presidenziale avesse studiato il copione dell’ umiliazione di Zelensky. Più probabilmente hanno sbroccato quando la tensione del momento è andata oltre la soglia di tenuta del loro tono emotivo ed, a quel punto, non hanno più saputo arrestare il torrente di livore che avevano, fin lì, trattenuto a stento.
Siamo nelle mani di due psico-labili ? Sicuramente di due narcisisti, soprattutto il primo . Non a caso Trump insulta Biden ed i suoi predecessori democratici. Dà libero sfogo al suo “super-ego”. Senonché il “super-ego” denota, quasi sempre, una fragilità interiore piuttosto che un forte temperamento. Rappresenta una forma di compensazione di frustrazioni, sopportate nelle età minori della vita, che hanno lasciato nel carattere solchi indelebili di inquietudine.
Succede, peraltro, che la compensazione sia un abito sovrapposto, che attenua i sintomi, ma non elide del tutto le ferite inferte.
In quanto a chi è impegnato sul piano politico – e la storia ne dà ampia testimonianza – questo sentimento di superiorità è devastante perché altera profondamente, attraverso il prisma della propria “egoità”, la percezione oggettiva della realtà. Per altro verso, Trump non si fa problema dell’ umiliazione che impone al suo Paese, che vorrebbe più grande, a fronte del suo storico avversario. E questo succede nella misura in cui assume un criterio che nulla ha a che vedere con le categorie fondamentali dell’ agire politico come le abbiamo conosciute fin qui.
Trump, infatti, è l’ espressione di una profonda mutazione genetica del “potere” in quanto tale. Una mutazione che va ben oltre la sua persona ed esprime, piuttosto, lo spirito del tempo. Il potere, in sostanza, abbandona l’ ambito del discorso pubblico, del confronto, della controversia e dell’ argomentazione. L’ opinabilità, la versatilità, l’articolazione dialettica della politica – come se avvertissero di essere impari alla sfida del momento – cedono il passo all’ efficienza funzionale di automatismi, dettati da una sorta di necessità insita nelle cose e negli eventi del mondo. La quale, a sua volta, si affida alla meccanica algida dell’ algoritmo.
La politica smarrisce i suoi tratti liberali e democratici e passa il testimone alla tecnocrazia. In altri termini, Trump è in linea con la cifra dell’ attuale frangente storico. Non conosce l’ arte nobile della mediazione, arma privilegiata del politico e del diplomatico. Conosce solo il “contratto” del mercante per il quale ogni cosa vale quel che costa, ne più, ne meno, a prescindere da valutazioni valoriali che stanno su un altro irraggiungibile pianeta.
Si tratterà di capire fin dove potrà spingersi una tale postura prima di infrangersi contro l’ irriducibile, crescente complessità del contesto storico in cui viviamo.
Domenico Galbiati