“Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino nuovo fa scoppiare gli otri, il vino si spande e gli otri vanno perduti”Luca 5, 36-39
Negli ultimi anni è comparso, nella cultura diffusa, qualcosa di nuovo il cui senso forse ancora ci sfugge. Sembra quasi che la percezione sempre più ampia di un grande vuoto culturale spinga a cercare la via d’uscita in idee e riflessioni che sino a poco fa sarebbero sembrate ingenue, o arcaiche.
Siamo forse diventati consapevoli del vuoto rappresentato dalla insignificanza e dal nichilismo distruttivo del mondo dei social, di twitter e della televisioni di “intrattenimento”, ivi compreso l’ “infotainemnt” della “politica” onnipresente, che ha ormai superato la fragile barriera che distingueva informazione e intrattenimento.
La via di uscita sembra stare in una cultura a lungo paradossalmente assente nell’ Italia “cattolica”, cioè nella cultura biblica, ebraico-cristiana, che, contro ogni forma di indifferenza, di relativismo, di banale materialismo sta “bucando gli schermi” della nostra coscienza e sta “dialogando” incredibilmente con l’attualità. Una cultura che mira più a voler comprendere che a voler sapere, a voler essere informati. Una cultura quindi anche “strana”, anomala, in linea più con l’intelletto umano che è piccolo e difettoso, che con l’ Intelligenza Artificiale, che è grande, onnipotente e priva di difetti.
Le prove di questo? Le conferenze dello psicanalista Massimo Recalcati, affollatissime e sempre più “gettonate”, che trattano sempre più spesso di temi biblici e cristiani, i libri e gli interventi di un giornalista con “antenne” captanti, come Aldo Cazzullo che fa un best-seller con un libro dal titolo non certo esaltante come “Il Dio dei nostri padri”, le conferenze di un poco conosciuto ( e mai ospitato nelle TV che “contano”) professore, Franco Nembrini, che spiega, come nessun altro ha fatto, i Canti della Commedia dantesca, dando spazio alle cantiche “ignorate” dalla scuola italiana, cioè il Purgatorio e il Paradiso. Ed infine un brillante e versatile divulgatore storico come Alessandro Barbero che affronta dai più svariati punti di vista, non la cultura biblica o cristiana, ma quella storia che abbiamo imparato a svalutare dai banchi di scuola. Quella storia che è, nel caso del cristianesimo – a differenza di altre religioni una “religione di storici” ( Marc Bloch)- un elemento essenziale per contestualizzare ed attualizzare il dramma centrale del cristianesimo, quello del peccato e della redenzione.
Senza cedere a grossolane semplificazioni, è probabile che l’universo relativista e nichilista mostri, qua e là, falle pericolose attraverso cui si insinuano dubbi sulla onnipotenza presunta, che è la vera forza che lo regge. Del resto sono gli stessi sostenitori della tecno finanza mondiale e filotrumpiana a correre ai ripari preventivi con posture e atteggiamenti pseudo-religiosi che non possono però esser troppo esibiti, pena il rischio del ridicolo e della farsa. Dio, patria e famiglia, oppure Gott mit uns ( Dio è con noi!) di conio nazista non possono essere troppo spesso utilizzati, dato che la loro credibilità potrebbe non superare quella dei “miracoli” del boccaccesco Frate Cipolla.
E’ in questo contesto che, a mio avviso, va posta la questione se un partito “cattolico” sia in questo momento utile nel nostro Paese e non solo. C’è chi pensa di no. E gli incontri “cattolici” di Milano e di Orvieto mi pare l’abbiano confermato. Si dovrebbe parlare di un’ “area cattolica” non di un “mondo cattolico” che in fondo potrebbe significare solo arroccamento e chiusura, rifiuto della pluralità delle opzioni, impropria e assurda nostalgia della vecchia “balena bianca”, della vecchia DC coi suoi pregi e difetti.
C’è però anche chi sostiene invece che sarebbe utile “un nuovo soggetto politico autonomo, capace di interpretare le attese di chi di “sinistra” non è, ma non intende per questo aderire alla destra”(CLICCA QUI).
La risposta a queste perplessità è però legata anche ad un elemento in genere trascurato. Cattolico o cristiano, passi, ma perché anche “partito”? Certo è vero che “ tutti i cittadini hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” ( art. 49 della Costituzione).
Ma cosa sono i partiti oggi? Non sono certo quelli che pensava il Costituente, come si evince dal complesso dell’articolo. Ma, al di là di questo, è ancora il caso di tenere in vita questa forma politica ottocentesca, nell’era della IA, della mutazione oligarchica delle democrazie liberali, del confronto con le democrazie autoritarie e del potere nichilistico, di un potere gestito peraltro da classi dirigenti sempre più incompetenti o irresponsabili?
Il fatto è che l’indebolimento delle basi popolari, e direi umanistiche, delle nostre democrazie ( vedi il crescente e inarrestabile astensionismo elettorale italiano) ha mutato ruoli e funzioni delle classi politiche e quindi anche quelle dei partiti attraverso cui esse organizzano il potere.
Ha scritto Emmanuel Todd, “Il popolo rimane alfabetizzato e la base del suffragio universale , alla quale si sovrappone la nuova stratificazione educativa, è tuttora in vita. Pertanto la disfunzione oligarchica delle democrazie liberali necessita di essere regolata e controllata. Che significa questo? Semplicemente che essendo le elezioni una procedura ancora in vigore, il popolo deve essere tenuto fuori dalla gestione economica e dalla distribuzione della ricchezza; in sostanza deve essere ingannato. Tutto questo richiede un impegno da parte della classe politica ed è persino diventato il lavoro a cui essa riserva la priorità. Da qui l’isterizzazione dei problemi razziali o etnici e le chiacchiere inutili su temi seri quali l’ecologia, la condizione femminile e il riscaldamento globale. …Completamente assorbiti dalla loro nuova professione – vincere le elezioni che ormai non sono altro che rappresentazioni teatrali , le quali pero, come il teatro vero, richiedono impegno e competenze specifiche- i membri delle classi politiche occidentali non hanno più il tempo di formarsi nella gestione delle relazioni internazionali. ( Emmanuel Todd, La sconfitta dell’ Occidente, Fazi, 2024, p. 160)
Come è possibile la libera discussione, il più ampio confronto delle idee, il dialogo culturale vero, entro queste macchine organizzative ideate per costruire il consenso e le vittorie elettorali e con aderenti organizzati e “isterizzati” dai loro capi come le tifoserie degli stadi, per cui la partecipazione significa essenzialmente “combattere” ( fight, fight, fight nella versione trumpiana) contro un’altra parte politica, non certo ragionare o discutere con essa ? Ed ancor di più come è possibile tutto questo in ciò che ormai resta dei vecchi partiti in Italia, cioè in “comitati elettorali” ( spesso one man parties, cioè partiti creati da un leader al posto di leader creati dai partiti) che si formano alla vigilia delle grandi tornate elettorali, magari cambiando la sigla di “partito” ma non la persona, col fine di ridefinire gli equilibri tra i partiti parlamentari esistenti, e di spostarli più a destra, più al centro o più a sinistra?
Non siamo qui di fronte ad un obsolescenza radicale, ad un rovesciamento di quella forma associativa con cui si costruirono le democrazie liberali all’inizio del XIX secolo?
Il punto essenziale è che i “partiti “ furono necessari almeno all’inizio per costruire un ponte tra il cittadino e lo Stato evitando il pericolo che fu evidenziato dal Terrore, del cittadino solo di fronte al potere dello Stato, una volta aboliti i corpi intermedi, per cui si riprese il modello del parlamento inglese.
Ma poi cosa è successo? Dal XX secolo in poi i partiti continuarono a vivere in forme molto mutate, quasi sempre, più che come espressioni di libertà ideale, solo come partiti ideologici o totalitari. Moisei Ostrogorski già nel 1902 ( La democrazia e i partiti politici) pensava a forme diverse non partitiche di associazionismo politico che puntasse ad eliminare i partiti permanenti, i partiti-macchina che umiliano e soffocano il pensiero indipendente, quei partiti che egli aveva studiato con attenzione nelle due grandi esperienze di democrazia liberale, quella inglese e quella statunitense.
Ostrogorski percepì con grande sensibilità quelle carenze che sarebbero poi state denunciate alla metà del XX secolo, da grandi pensatori in anticipo sui tempi, come Simone Weil ( autrice di un Manifesto per la soppressione dei partiti politici) o come Giuseppe Maranini, che coniò il termine “partitocrazia” nel 1949. E non si trattava certo di due paleo-populisti.
Oggi un raggruppamento, cattolico o cristiano che si definisca, non potrebbe certo organizzarsi in un “partito”. La storia lo sappiamo non si ripete, se non come farsa o come operetta.
Ma una associazione politica cattolica che non mirasse a preparare liste elettorali o nuove coalizioni elettorali o mirasse a conquistare consensi ( magari per votare con la legge incostituzionale che ancora abbiamo!) senza introdurre idee nuove, bensì si proponesse di fare lavoro politico e culturale per prospettive di medio periodo, avrebbe un enorme campo di azione.
La difesa della “libertas” che “rappresenta la competenza e l’onere, il concorso specifico che ai cattolici tocca recare al discorso pubblico del nostro tempo” (CLICCA QUI) è, ad esempio, un punto su cui c’è un enorme vuoto politico da colmare, e non solo in Italia, direi prima di tutto in Europa. Chi difende oggi la “libertà umana” contro i poteri della tecno-scienza della Intelligenza Artificiale e delle altre potenze tecnologiche create dall’uomo medesimo ed oggi resesi autonome anche dalla sua volontà, in un mondo in cui tutto sembra divenire strumento di competizione e di conflitto anche armato, risolvibile solo per via tecnologica ?
Secondo una grande intuizione di Romano Guardini, il principio di “libertà” responsabile propria dell’uomo va difeso contro ogni potere esterno all’ “umanità dell’uomo”. Nella mitologia greca, come Guardini ricorda, accanto alla vicenda di Prometeo c’è anche quella di Icaro, cioè accanto alla forza della techne umana è presente il rischio della tragedia implicito nell’azione umana quando non riconosce i suoi limiti razionali.
Il principio di libertà è oggi tanto più essenziale, anche per ciò che succede in Europa e nel mondo. “L’Europa ha prodotto l’idea della libertà- dell’uomo, come della sua opera- ad essa soprattutto incomberà, nella sollecitudine per l’umanità dell’uomo, pervenire alla libertà anche di fronte alla propria opera” ( Romano Guardini, Europa compito e destino Morcelliana Brescia, 2024, p. 26, in realtà testo del 1962)
Vi è poi bisogno, nell’area cattolica, di superare la disastrosa rottura ( altro che pluralismo!) che ha contrapposto, dalla fine degli anni settanta, in modo innaturale e direi non cristiano, i “cattolici del sociale” a quelli “della morale”.
I cattolici degli anni novanta potevano legittimamente riconoscersi nelle posizioni della on.le Irene Pivetti come in quelle di Romano Prodi. Ma quale è stato dagli anni novanta in poi il contributo originale del cristianesimo “spaccato in due” alla vita politica italiana? Difficile rispondere in positivo. Forse esagero un po’, ma la grande rivolta giovanile, sociale e morale, degli anni sessanta in Italia era nata essenzialmente dagli elementi di cristianesimo presenti e diffusi, certo per poi essere rapidamente “cannibalizzata” e incanalata nelle vecchie vie della violenza o della forza da un marxismo che nessuno allora, in Europa occidentale, aveva rimesso minimamente in discussione. Ma il “lievito” del cambiamento, le voci ( critiche, certo come quella di Don Lorenzo Milani ) che “uscivano dal coro” venivano tutte dal “mondo” o dall’ “area cattolica”, allora non lacerata al suo interno tra socialità e moralità e sotto l’ influsso di un grande Concilio Ecumenico che aveva alimentato la speranza. Questo mi pare difficile negarlo.
Umberto Baldocchi