Nel suo videomessaggio, il Papa esorta la politica a “lavorare per e con il popolo riconoscendone i valori spirituali” e a non disinteressarsi dei poveri…
R.- Il monito di Papa Francesco va letto sullo sfondo che prima ho accennato. La più recente Dottrina sociale della Chiesa ha suonato il campanello d’allarme: sembra quasi che l’elemento centrale delle nostre società sia l’accesso ai consumi. Invece, rimettere al centro del discorso economico, politico e culturale il tema del lavoro, vuol dire recuperare l’antica linea di pensiero che risale addirittura a Benedetto da Norcia. Quando il santo lanciò il suo famoso slogan Ora et Labora, rappresentò un punto di svolta epocale, perché voleva dire mettere il lavoro sullo stesso piano della preghiera: prima non era così. Ecco perché questo Papa sente l’esigenza di richiamare l’attenzione di tutti a rivedere il modo con cui noi concettualizziamo il lavoro.
Un’altra sollecitazione che il Papa fa nel suo videomessaggio è legata al fatto che la Chiesa non può “separare la promozione della giustizia sociale dal riconoscimento dei valori e della cultura del popolo, includendo i valori spirituali”. Secondo lei, come si può raggiungere questo obiettivo?
R.- Nel dire questo, Papa Francesco si riallaccia al pensiero di Paolo VI, quando nell’enciclica Populorum Progressio, enunciò quella frase che da allora divenne famosa: lo sviluppo è il nuovo nome della pace. In quella occasione chiarì che il concetto di sviluppo non è la stessa cosa del concetto di crescita: lo sviluppo è tipico della persona umana; gli animali e le piante non si sviluppano, ma crescono. Ecco perché parlare di sviluppo umano integrale, oggi, è molto importante. Lo sviluppo coinvolge tre dimensioni: quella della crescita, quella socio-relazionale e quella spirituale. In quest’epoca, purtroppo, sull’altare della crescita si sacrificano sia la dimensione spirituale, sia la dimensione socio-relazionale.
E questa bramosia della crescita fa innalzare muri contro i poveri, che nel mondo aumentano sempre di più, facendo allargare la forbice con i pochi ricchi del pianeta?
R.- Certamente. Ecco perché non è casuale che il Papa abbia intitolato ‘Per la migliore politica’ il capitolo quinto della sua enciclica ‘Fratelli Tutti’. E’ la prima volta che in un documento ufficiale del magistero appare il riferimento esplicito all’agire della politica. Qui si dice che la politica deve tornare ad essere la governante dell’economia e non il contrario. Il Papa sa bene, però, che in questi ultimi trent’anni è avvenuto un cambiamento di portata storica: è la sfera dell’economia che domina la sfera politica, col risultato che molti politici non sono più liberi di agire e di prendere decisioni per il bene comune, perché sono letteralmente sotto ricatto dei potentati economici e finanziari.
Sta pensando a qualche episodio attuale?
R.- Basta vedere ciò che sta accadendo in questa pandemia. Ma è possibile che cinque imprese farmaceutiche tengano in scacco il mondo intero, non consentendo che altri soggetti possano produrre i vaccini su licenza? E’ una cosa grave. Nessuno sostiene che le imprese che hanno inventato il vaccino non debbano essere ricompensate ed ottenere un profitto equo, ma non si può tollerare che, davanti a situazioni di morte come quelle alle quali stiamo assistendo, ci sia un diniego in nome di un principio di diritto privato che in questo caso non si deve applicare: si dovrebbe applicare invece una norma di diritto pubblico. Ecco perché il Papa sostiene che la politica deve assolutamente riprendere il sopravvento sull’economia.
Intervista di Federico Piana
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