Avvenire ha pubblicato ieri la seguente intervista a Stefano Zamagni

«Il piano di riarmo presentato dall’Europa è un errore tragico dal punto di vista politico». Stefano Zamagni boccia la strategia Von der Leyen su tutta la linea e non potrebbe fare altrimenti, visto che da tempo predica inascoltato, insieme a un gruppo di altri intellettuali, in direzione contraria per arrivare finalmente almeno a una tregua. Sul percorso necessario a «una pace equa» in Ucraina, ha messo a punto già nell’autunno 2022 una proposta in 7 punti (CLICCA QUI), che andava dalle garanzie da assicurare a Kiev su sovranità e indipendenza alle concessioni da fare alla Russia per quel che concerne sanzioni e accesso ai porti commerciali. « Le linee-guida restano quelle, anche se qualcosa oggi andrebbe rivisto – osserva l’economista che è stato presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali -. Di sicuro, la richiesta che arriva dalla Commissione Ue di investire in armamenti non ha alcuna giustificazione scientifica, oltreché politica»

Perché?

Perché 800 miliardi, cifra di per sé notevole, non sono comunque sufficienti per colmare il divario con la Russia, che ha il maggior numero di testate atomiche al mondo, ciò che davvero conta quando si parla di sicurezza. Con i fondi indicati da Von der Leyen, si raggiungerebbe un target di armamenti convenzionali non adeguato. E poi, invece di aumentare la spesa mi-litare, dovremmo puntare su politiche di disarmo bilanciate tra i vari Paesi. Senza dimenticare che la corsa al riarmo porta a conseguenze nefaste sul piano umanitario.

L’avvento di Trump alla Casa Bianca ha portato a un’accelerazione convulsa, più che del negoziato, delle tensioni per arrivare almeno a una tregua. Da dove si dovrebbe partire, a suo parere?

Dobbiamo decidere cosa salvaguardare: la ragion di Stato, come sosteneva Machiavelli, o la vita umana? Se prevale la prima, già adesso siamo nello scenario giusto. Io credo che debba prevalere la seconda, che è anche un modo per garantire un futuro all’umanità e realizzare il bene comune. Ma per accettare di andare al negoziato, tutti devono fare un passo indietro. Poi va scelto un arbitro e non possono che indicarlo le parti in causa: l’Ucraina e la Russia. È evidente a tutti che questo arbitro non può essere Trump, anche se si è autonominato tale.

Tocca dunque all’Onu o all’Europa, avere un ruolo di regia e di mediazione?

L’Onu è bloccato da quella maledetta regola che attribuisce il diritto di veto ai Paesi che hanno un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. Su questo, è necessaria una riforma al più presto: concedere ad un soggetto la possibilità di dire “no” all’infinito sulla base dei propri interessi, fermando qualsiasi processo di pacificazione come in questo caso, equivale infatti a concedere una sorta di diritto di monopolio, il che è moralmente inaccettabile. All’Europa invece manca una classe dirigente. Avessimo oggi gli Adenauer, i De Gasperi e gli Schuman… Spetta perciò alla società civile e ai corpi intermedi farsi carico della creazione di nuove istituzioni di pace, muovendosi dal basso. Senza dimenticare che un contributo può arrivare dalle grandi religioni.

In concreto a cosa pensa? In ogni caso, non siamo purtroppo già in ritardo?

È necessario dare vita ad un’Agenzia internazionale indipendente per la gestione degli aiuti, alla quale affluiscano le risorse rese disponibili dal “dividendo della pace”. Prima di arrivare a questa fase, però, va attivato un pre-negoziato nel quale si stabiliscono le regole del gioco da far poi rispettare. Chi vuole andare avanti con la guerra, lo fa perché sa che la guerra rende profitti a chi produce armi. Ma sono profitti sporchi di sangue e aver anche solo pensato di alzare il budget bellico comunitario è immorale. Dal 2010 il settore delle armi è stato privatizzato e non è più sotto il controllo degli Stati. Le imprese quotate in Borsa premono sui rispettivi governi, come si è visto. Per questo, è necessario introdurre tasse sui sovraprofitti di queste aziende.

I sette punti per una proposta di cessate il fuoco in Ucraina restano validi ancora oggi?

Ovviamente andrebbero modificati sulla base del contesto, ma i principi non possono che essere quelli di una condivisione degli sforzi e delle garanzie per i due Paesi: per Kiev rinuncia all’ambizione di entrare nella Nato con possibilità di diventare parte dell’Ue e garanzia della propria sovranità. Per Mosca, invece, rimozione delle sanzioni occidentali e accesso ai porti del Mar Nero, unitamente all’Ucraina. Sarebbe poi importante, dal punto di vista bilaterale, approdare a un Fondo multilaterale per la ricostruzione e lo sviluppo delle aree distrutte dalla guerra, al quale la stessa Russia sarebbe chiamata a concorrere.

Il mondo variegato che chiede pace, in Ucraina e in tutti gli altri scenari di conflitto, si divide tra chi sostiene la pace “senza se e senza ma” e chi vuole la “pace giusta”. Lei da che parte sta?

Ho sempre parlato di pace equa, non di pace giusta. La giustizia non è la stessa cosa dell’equità e il prossimo negoziato deve prevedere a mio parere l’applicazione in concreto del principio di equità. Le regole giuste sono per definizione universali e astratte, la vera questione è prevedere condizioni eque, che tengano cioè conto della situazione e del contesto in cui ci si trova. Dobbiamo sicuramente dire “no” a quel che chiamo un “pacifismo di resa”, disposto a rinunciare alla libertà e ad accettare i soprusi. Nello stesso tempo, vedo i rischi di un pacifismo di solo pura testimonianza, che alla fine coltiva il sogno di eliminare la guerra senza distruggere la cultura bellica che ne è fondamento. Ecco perché è urgente muovere passi veloci verso un nuovo pacifismo, che chiamo istituzionale ed il cui slogan è: se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. Proprio come chiede il Vangelo ai cristiani: siate costruttori e operatori di pace.

Intervista di Diego Motta

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