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La lezione del prof Novara – di Domenico Galbiati

Il prolungato applauso con cui gli studenti del D’Azeglio di Torino, formando due ali compatte al suo passaggio, hanno salutato il loro docente di filosofia, prof. Enzo Novara, che lasciava l’insegnamento, dopo quarant’anni di cattedra, solo apparentemente è un evento minore che si esaurisce nella cronaca locale. Intanto verrebbe da dire: quanti prof. Novara, che meritano l’applauso dei giovani che hanno educato, ci sono nella scuola italiana e quanti ce ne vorrebbero?

In un’ intervista, rilasciata a “La Stampa”, il Prof. Novara ha sostenuto che oggi la scuola è appesantita da un eccesso di burocratizzazione che ne ha offuscato la capacità “educativa”. Ed è esattamente a questa che il professore ha sempre cercato di tendere: “educare” ed educare alla libertà, senza condizionare i ragazzi perché inclinino verso una determinata posizione culturale e politica o piuttosto verso un’altra. Per riuscire a tanto è necessario essere persone interiormente libere e capaci di empatia con i ragazzi che sono affidati al proprio insegnamento. Vuol dire saper entrare nell’abito mentale dei giovani – quante generazioni, quali diversi immaginari collettivi in quarant’anni – e, dunque, proporre la filosofia e la sua storia non come un patrimonio stivato negli incunaboli di una memoria ossificata, bensì come qualcosa di perennemente vivo che attualizza, tutti Insieme, pensieri scanditi su curve temporali millenarie, cosicché cavalcando secoli e millenni siano tutti nostri, a noi contemporanei.
Non si possono accompagnare giovani che stanno “maturando” la loro fisionomia personologica, ad apprezzare il valore inestimabile della libertà, in un mondo che spesso ne travisa il valore, se non si è donne o uomini liberi dentro. Non si dona quel che non si ha.

In definitiva, al di là di tutte le possibili riforme strutturali, la qualità della scuola ha pur sempre a che fare con la qualità umana e culturale dei docenti e del loro corpo complessivo. Oggi, gli insegnanti di ogni ordine e grado non godono più della considerazione sociale che era loro riconosciuta in altri momenti della nostra storia. Ed è un errore cui sarebbe necessario porre rimedio. Abbiamo bisogno di bravi insegnanti più che di bravi manager.

Questo fatto di Torino ci invita anche a far giustizia di troppi facili luoghi comuni sui giovani. E’ vero, come molti sostengono che siano fragili e vulnerabili, disincantati e forse un po’ cinici ed un po’ narcisisti oppure aspettano qualcuno che sappia colmare quegli spazi della mente e del cuore di cui abbondano e che rischiano di avvizzire se nessuno li aiuta a guardarci dentro ed a coltivarli?

In quell’applauso dei liceali di Torino al prof. Novara c’era sicuramente la consapevolezza di essere stati arricchiti per la vita e da qui il loro spontaneo abbraccio a chi li ha saputi letteralmente nutrire.

Domenico Galbiati

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