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Tra due fuochi – di Domenico Galbiati

Per una volta hanno ragione ambedue. E non si tratta di dare un colpo al cerchio ed un colpo alla botte. Ha ragione Giorgia Meloni quando sostiene che non si possono gettare alle ortiche decenni di alleanza atlantica ed ha ragione Elly Schlein quando afferma che Trump non può essere nostro alleato.

Trump non è l’America e l’America non è Trump, ma, in ogni caso, va considerato come quest’ultimo, per quanto occupi una finestra temporale limitata ai prossimi quattro anni, non è affatto una parentesi che si potrà ritenere così facilmente superata e chiusa una volta esaurito il suo quadriennio. Cosicché non basta – pur con tutti i guai che reca con sé – aspettare che passi “‘a nuttata”, perché poi tutto torni come prima.

Non possiamo più fidarci di Trump, se pur dovesse – e non succederà – coprirsi il capo di cenere e non possiamo più rapportarci all’America pensando sia quella di una volta. Trump è il protagonista di un processo di involuzione democratica preoccupante, ma anche il prodotto di un nuovo sentimento di sé, di una diversa auto-comprensione del proprio ruolo nel contesto internazionale maturato nel popolo degli States. In altri termini, anche per l’Europa – come ha affermato per il suo Paese il nuovo premier canadese – nulla è più come prima, né ora né poi, ed i rapporti inter-atlantici vanno ripensati alla radice.

E’ quello che non vede o non vuol vedere Giorgia Meloni che ricorre alla categoria di Occidente secondo una modalità sostanzialmente ambigua. Finalizzata – come già osservato in numerose occasioni e per dirla in modo molto semplice – a tenere, almeno per ora, il piede in due staffe e questo per una ragione più sottile che non sia una banale titubanza a scegliere un campo o l’altro. Non a caso, in occasione del suo recente soggiorno a Washington, ha sostenuto di ritenersi una “nazionalista dell’ Occidente”.

La sua postura “nazionalista” applicata ad un’Europa, concepita come puro e semplice concerto delle nazioni e relative intangibili sovranità, è la pozione, servita in guanti bianchi, destinata ad avvelenare quella concezione “federale” di un’ Europa “sovrana” in cui prenda forma la sua effettiva unità politica. Applicato all’ Occidente, il “nazionalismo” che Giorgia Meloni rivendica anche in questo più vasto contesto, è funzionale a mantenere la sua leadership e, quanto più possibile il nostro stesso Paese, dentro la costellazione internazionale di conservatori e populisti che si rifanno a Trump. In quest’ottica, Occidente ed Europa finiscono per collidere piuttosto che collimare.
Giorgia Meloni non può scostarsi dall’ Europa e non vuole, nel contempo, essere posta ai margini della galassia trumpiana, nel segno di una declinazione illiberale delle democrazie.

Ad ogni modo, un possibile nuovo impianto del rapporto inter-atlantico non potrà che essere fondato su alcune condivisioni di fondo. Anzitutto, sulla convinzione che stiamo dentro un contesto internazionale di fatto già fin d’ora multipolare e, quindi, irriducibile alla tripartizione del globo in aree di influenza delle tre maggiori potenze.
In secondo luogo, il concetto di Occidente è connaturato al valore della democrazia, cosicché non si potrà fare a meno di continuare a condividerlo.

In terzo luogo, l’Alleanza Atlantica non potrà limitarsi al braccio armato, ma dovrà darsi una strategia di concorso al superamento delle barriere rappresentate dalle profonde diseguaglianze di sviluppo tra paesi di differenti aree del mondo. Ed, infine, è necessario che ci si adoperi per rafforzare e rendere effettivamente operativa l’ONU e le varia agenzie internazionali che garantiscono una qualche forma, se non altro – vedi l’OMS – di coordinamento globale di importanti ambiti politico-sociali.

Domenico Galbiati

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