Senza innamorarsene troppo, devono essere colte delle analogie dell’oggi con i tempi di Camaldoli di 80 anni fa. Ma anche profonde diversità di situazioni che, come sempre accade nei fenomeni della Storia, non possono essere trascurate se si vuole una visione realistica delle cose. E questo vale soprattutto per chi celebra Camaldoli e quello che ha rappresentato nella partecipazione dei cattolici democratici alla definizione e al sostegno di un’Italia, finalmente, pienamente democratica.

Come allora, la società vive un torpore dei più profondi sentimenti di solidarietà ed è ridotta a trascurare l’anelito verso la ricerca della Giustizia sociale, vittima com’è di una di una polverizzazione e liquefazione di cui si sono assunti in parte le responsabilità anche molti di quei cattolici che hanno scelto l’impegno politico. E questo a maggior ragione nel corso dell’ultimo trentennio durante il quale una miope e distorta cultura politica, con profonde venature verticistiche e di mera gestione del potere, ha accettato lo slittamento verso un sistema bipolare, fatalmente destinato a veder soccombere la forza degli ideali e delle idee a vantaggio di altro.

Camaldoli non rappresentò solamente elaborazione di pensiero. Perché, anche per il fatto che si concluse proprio all’immediata vigilia della defenestrazione di Mussolini, costrinse sin da subito a fornire a quell’insieme di idealità e di prospettive delle gambe in grado di sorreggerlo e di renderlo fatto politico. Le riunioni in casa di Giuseppe Spadaro in via Cola di Rienzo a Roma, la ricostruzione della rete dei popolari vessati dal fascismo, e non c’era solamente Alcide De Gasperi, l’idea immediata di dare vita ad una organizzazione politica, quella Democrazia cristiana poi destinata a ricevere per i decenni a venire le redini del Paese, fanno la differenza tra quella vicenda e quella in cui siamo coinvolti noi oggi, mentre celebriamo l’ottantesimo anniversario camaldolese.

Sappiamo tutti del lavoro tenace, profondo e politicamente intelligente cui partecipò l’allora monsignor Giovanni Montini. Sappiamo di come una gran parte del reticolo di gruppi, associazioni e di personaggi cattolici si fossero preparati per i momenti che sarebbero seguiti. E questo nonostante non fossero mancati da parte di uomini della gerarchia, delle diocesi e del movimento più generale dei cattolici profonde compromissioni con il regime fascista. Fu grazie ai “professorini”, ma anche a tanti altri, noti e meno noti, che ad esempio scelsero la via della resistenza e dell’antifascismo attivo, se Camaldoli indicò apertamente la via del riscatto e della rigenerazione.

E oggi? Il mondo cattolico produce dei bellissimi documenti, appelli ed elaborazioni. Manca tutto il resto e cioè la capacità di trasformare in fatto politico sentimenti, sensibilità, ispirazione evangelica in grado di recepire le istanze popolari e offrire all’intero Paese una capacità progettuale, e non solo declaratoria, sui temi che storicamente continuano a confermarsi i più critici per l’Italia e gli italiani.

In qualche modo, come allora, si presenta il problema del processo democratico e partecipativo divenuto oggi nuovamente slabbrato e da ricucire.

Credo che oggi gli uomini di Camaldoli si schiererebbero apertamente e con decisione contro l’ipotesi presidenzialista e dell’introduzione dell’autonomia differenziata. E ne farebbero motivo per un impegno pubblico senza reticenze. Si preoccuperebbero di una scuola sempre più inadeguata alla competizione mondiale e alle evoluzioni culturali e sociali oggi in atto. Si preoccuperebbero del sistema fiscale che, come appare sempre più ovvio, continua a favorire l’allargamento dei divari, invece di superarli.

Dobbiamo riconoscere che a Camaldoli non furono solo gettate le basi per la partecipazione dei cattolici al processo costituente. Perché poi giunsero la riforma agraria, il piano casa Fanfani, la riforma fiscale di Ezio Vanoni, insieme a tanto altro che dimostrò che i cattolici sanno anche andare oltre le analisi e i begli appelli.

Giancarlo Infante

 

 

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