Site icon Politica Insieme

Dal diario di un commentatore… – di Giuseppe Sacco

Dal diario di un commentatore … come vanno le cose dell’informazione

Da moltissimi anni, dalla metà degli anni 90, era diventata per me un’abitudine quella di essere tirato giù dal letto molto presto al mattino per fare un commento alla radio sugli eventi politici internazionali del giorno precedente. Accadeva spessissimo, e venivo chiamato dai conduttori di almeno una dozzina di programmi diversi.

La ragione, che mi venne spiegata dopo qualche tempo, era che queste interviste mattutine, questi commenti diretti ad una audience che si recava al lavoro in automobile, dovevano essere molto brevi. Dovevano durare al massimo un minuto e mezzo. Ed io ero stato identificato – bontà loro – come persona dotato della capacità, che sembra sia insolita, di esprimere un concetto politico compiuto, senza sbavature e senza inutili commenti aggiuntivi, in un tempo così breve.

Questa mia dote portava al fatto che la RAI facesse squillare il mio telefono di prima mattina molto, ma molto più frequentemente di quanto non venissi chiamato a fare un commento in altri programmi radiofonici nelle altre ore del giorno. Per non parlare della televisione, dalla quale ero stato praticamente bandito per aver, una sera, detto, a “Porta a porta”, che la popolazione irakena, ai tempi dello scontro militare con l’Iran, era molto ostile alla guerra di Saddam Hussein. E questo, perché chiaramente vedeva come lo sforzo bellico stesse divorando le risorse che le avevano da appena qualche anno consentito di godere di un minimo di benessere.

Là per là, quando il conduttore stesso della trasmissione mi fece notare che non avrei dovuto dire quel che avevo detto in una trasmissione con una audience così vasta, rimasi sorpreso. Esistevamo forse ragioni diplomatiche – chiesi ingenuamente – per cui non si poteva riportare un giudizio sfavorevole sul leader irakeno? Ma no! Mi fu risposto con un sorriso gradevole quanto ironico, come ad uno scolaretto un po’ stupido. Quel che sarebbe stato meglio non sottolineare toppo era che una frazione della ricchezza petrolifera fosse negli anni precedenti andata a beneficio della popolazione, e non soltanto alle ruberie e agli sprechi militari del regime. Comunque vedrà – mi disse soavemente il conduttore – che domattina molti suoi amici la chiameranno per dirle la stessa cosa. Cosa che, però, non si verificò.

Alla radio, nel minuto e venti secondi normalmente concessimi, evidentemente non avevo il tempo necessario per sbavature del genere, e tutto era filato liscio per molti anni. Non trovai perciò nulla di insolito di essere svegliato alle sei del mattino, ora italiana, il giorno successivo alle elezioni presidenziali americane del 2016. Chi mi chiamava era una gentile funzionaria della radio televisione italiana (ne ricordo ancora il nome, si chiamava Santo, o Di Santo) per essere appunto avvertito che di li a poco sarei stato intervistato sul risultato dello scrutinio americano. Il che è puntualmente avvenne, ed ebbe il seguente sviluppo:

Di Santo – Pronto, professor Sacco?

Io – Eccomi sono pronto.

Di Santo – Sto per passarle l’intervistatore. È solo questione di un minuto a due. Lei è al corrente degli ultimi sviluppi?

Io – Certo, ha vinto Trump.

Di Santo (con tono di sorpresa) – Come, ha vinto Trump?

Io – Beh! È evidente. Il computo dei grandi elettori non lascia spazio a dubbi.

Di Santo – Come sarebbe a dire? chi ha fatto il calcolo? Lei?

Io – No; non l’ho fatto io.  È su tutte le reti americane….

Di Santo (dopo qualche secondo di silenzio) –  Mi scusi momento, professore.

Voce maschile (circa un minuto più tardi) – Scusi se la ho fatta attendere professore.

Io – Non c’è problema

Voce maschile – Lei è molto gentile, ma temo che siamo noi ad avere un problema. Abbiamo una sovrapposizione tecnica.

Io – Capisco. Devo aspettare ancor un po’?

Voce maschile – No professore.  Abbiamo troppo materiale.  Credo di poterla mettere in libertà.

Io – E allora?

Voce maschile – Per oggi non possiamo fare l’intervista. Forse la disturberò di nuovo domani mattina.

Il mattino seguente non ebbi però il piacere di essere svegliato dalla gradevole voce della signorina Di Santo (che avevo finito per immaginare fosse un’aggraziata trentenne con capelli ed occhi neri e vivaci). Dalla stampa internazionale si capiva però che c’era stato, da qualche parte, la tentazione di fare a Trump lo stesso scherzo che era stato fatto ad Al Gore nelle elezioni presidenziali del 2000, quando proprio in Florida, dove era governatore il fratello del suo rivale Bush, fu impedito il “recounting” che poteva mettere in discussione la sua sconfitta per meno di 900 voti.

Anzi, da allora sono passati quasi sei anni. E ho avuto il tempo per capire che avevo parlato troppo liberamente. Non solo la signorina Di Santo non mi ha mai più cercato per preannunciarmi una mini-intervista. Non sono mai stato più chiamato da nessuno dei tanti conduttori di programmi radiofonici che per raccogliere – a gratis, val la pena di accennarlo – un mio commento sugli eventi internazionali, mi tiravano giù dal letto, quasi ogni mattina verso le sei.

Giuseppe Sacco

Exit mobile version