La tragedia di una guerra guerreggiata sul territorio ucraino potrebbe – si spera di no –  essere il prossimo episodio, in una sorta di serie televisiva iniziata otto anni fa. O di un film di cui gli Ucraini, dopo quattordicimila morti, incominciano a perdere la speranza, di vedere se non un lieto fine, almeno una conclusione pacifica. Si tratta di un film d’azione, ma anche di una di quelle storie fondate su un “triangolo” di protagonisti segnati da attrazioni e da ostilità reciproche e contraddittorie.

Sulla fertilissima “terra nera” – l’Ucraina è da sempre il “granaio d’Europa” – rischiano di scontrarsi due parti piuttosto singolari: una che si rifà al suo passato; ed una che tenta di modellare il suo futuro. La prima di queste è infatti la Russia, una nazione di antica tradizione imperiale, con la quale gli Ucraini hanno a lungo convissuto, e che si presenta come culturalmente e storicamente “sorella”, nella buona e nella cattiva fortuna, del loro paese. La seconda, che raggruppa più nazioni, sembra invece – almeno a giudicare dalla propaganda di queste – avere a cuore l’indipendenza degli Ucraini e del loro paese quasi quanto hanno a cuore le loro stessa libertà. In buona misura anche perché convinti che i destini dei vari popoli dell’Europa orientale siano da sempre, e per sempre, tra essi collegati, così come condivisi sono stati in passato, di fronte ad altre minacce.

E’ indubbio che molti Ucraini abbiano visto favorevolmente le iniziativa francese e tedesca, del Presidente Emmanuel Macron e del Cancelliere Olaf Schulz, tendenti a salvare uno statu quo che dura da forse troppo tempo, e che si dice sia ora seriamente minacciato da una Russia spaventata da un’eccessiva espansione della NATO verso Est. Ma ciò nonostante almeno una parte di loro guarda con attenzione ancora maggiore ai bellicosi atteggiamenti della NATO, degli Americani e degli Inglesi. Anche perché negli ultimi anni, e specificamente nell’ultimo anno, qualcosa è andato cambiando in questo triangolo, con il compiersi di un’importante passo nella storia dei rapporti tra Russia e Ucraina.

Un lungo addio

E’ questa, la storia dei rapporti tra due popoli talora difficili da distinguere, una specie di lungo addio, un processo di differenziazione culturale, ed anche politico-geografica, che inizia da quando Kiev era la culla della Rus, l’origine di quella grande avventura che nei secoli ha fatto di Mosca il cuore di un Impero prevalentemente extra-europeo, esteso sino a Vladivostok, e persino oltre: in Alaska, con puntate nell’attuale Oregon.

Il processo di differenziazione tra Kiev e Mosca, tra Ucraina e Russia, si manifesta oggi in tutti i campi, anche in quello religioso, con un ritmo che si accelera a partire dal 1991, al momento della disarticolazione dell’Urss e che produce un gran numero di effetti negativi negli ultimi anni, in cui la società civile e l’ambiente politico vivono in un clima di guerra fratricida. Cosicché dal 2014 ad oggi, la divaricazione è stata particolarmente forte.  Tanto forte da creare divisioni e conflitti persino nella società religiosa. Ciò è favorito dal fatto che, a differenza della Chiesa cattolica, Chiesa universale che ha nel Papa un suo vertice che le garantisce una sostanziale unità, le chiese ortodosse – vere o presunte che queste siano, e che siano consolidate o appena nascenti – sono organizzate su base nazionale e inevitabilmente risentono dei conflitti tra i popoli del Vecchio Continente. Comprensibile è perciò che, nella situazione geo-politica che caratterizza quell’ampia parte dell’area post sovietica che va dal Mar d’Azov al Fiume Dniester due principali chiese ortodosse rivali rivendichino oggi di essere l’unica vera Chiesa ucraina.

Il che non è certamente piccola cosa, dato che in Ucraina, contro un 9,4% di cattolici di Rito Greco, ed un 7,7 % che si definisce semplicemente “Cristiano”, ben il 67,3% della popolazione dichiara di essere membro della Cristianità Ortodossa, o di sentirsi ad essa vicino.

Una cristianità frammentata 

 La più antica e più grande, la Chiesa ortodossa ucraina, con più di 12.000 parrocchie fa parte del Patriarcato di Mosca, ed è quindi, sotto l’autorità spirituale del patriarca Kirill, una personalità molto eminente nella fase post-sovietica del mondo slavo. La più piccola, la Chiesa ortodossa dell’Ucraina, con circa7.000 parrocchie, è invece nata molto di recente, quando era già in atto l’attuale contesa internazionale per impossessarsi o più probabilmente fare a pezzi l’Ucraina. Creata da un Consiglio Solenne riunito a Kiev il 15 dicembre 2018, essa è stata formalmente riconosciuta, assieme con il suo metropolita Epifanio, dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo di Costantinopoli – che esercita un tenue coordinamento sulle chiese nazionali – solo il 5 Gennaio 2019.

Da Mosca, da parte non solo del Patriarcato, ma anche nei media, e in misura più ovattata nel discorso delle autorità, non si cessa ovviamente di sottolineare la comune origine della fede di Russi ed Ucraini, risalente alla conversione nel 988 del Gran Principe Volodymyr, che fece di Kiev il maggior centro religioso per gli slavi orientali. Sino a quando, nel 1686, il Patriarca di Costantinopoli non ne trasferì l’autorità spirituale al Patriarca di Mosca. E ciò crea un legame culturale assai forte. Proprio per questo, la recente scissione ha, anche per la sua dimensione quantitativa, un significato assai notevole, un riflesso identitario, ed inevitabile significato politico.

E solleva un interrogativo: quale giudizio dare sulle democrazie? Su quelle potenze i cui governi, le cui diplomazie, i cui servizi segreti e i cui “agents d’’influence” interferiscono tanto pesantemente in un campo estremamente delicato, in cui la libertà di coscienza sembrava essere un diritto acquisito ormai da alcuni secoli.

Giuseppe Sacco

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