Il welfare aziendale può sostenere la natalità? Questa la domanda cui risponde il seguente articolo pubblicato su percorsi di Secondo Welfare
In un Paese come l’Italia, in cui si fanno pochi figli, la difficoltà di conciliazione è un fattore importante nello spiegare i sempre più bassi tassi di natalità nazionali. Migliorare l’equilibrio tra vita e lavoro, quindi, soprattutto per le donne che svolgono ancora una quota maggioritaria dei compiti familiari e di cura, è cruciale. E ogni leva per farlo è utile, compresa quella del welfare aziendale.
Per questo motivo, nella legge delega “per il sostegno e la valorizzazione della famiglia” approvata ad inizio aprile e nota come Family Act, ci sono anche degli articoli dedicati al welfare aziendale. Certo, ora il Governo ha due anni di tempo per emanare i decreti attuativi e andare nel dettaglio delle misure, ma il provvedimento approvato delinea già gli strumenti da introdurre o rafforzare. E tra questi ci sono anche benefici fiscali per la contrattazione aziendale, che prevede misure di welfare aziendale per i figli (educazione, formazione, salute), sgravi per le aziende che introducono modalità di lavoro flessibile e il rifinanziamento del Fondo per incentivare la contrattazione di secondo livello, destinata alla promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata.
Cosa c’è nel PNRR
Anche nel PNRR, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza finanziato da fondi europei, ci sono dei riferimenti al welfare aziendale. Il primo è diretto. Come hanno spiegato Luca Barbieri, Giovanni Scansani e Martina Tombari, per quanto riguarda i bandi destinati alle imprese e agli operatori economici, il welfare e le azioni dedicate alla conciliazione vita-lavoro garantiranno un punteggio aggiuntivo nelle graduatorie.
Il secondo è indiretto, ma comunque potrebbe spingere le imprese a interessarsi maggiormente di welfare aziendale. È il Sistema di certificazione della parità di genere, uno strumento che, si legge sul sito Italia Domani (il portale del Governo sul PNRR), “ha lo scopo di assicurare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ridurre il gender pay gap”. Si tratta di una vera e propria prassi, con delle linee guida e sei aree per le quali le aziende verranno valutate: una di queste è proprio la tutela della genitorialità e la conciliazione vita-lavoro.
“La certificazione per la parità di genere porterà vantaggi fiscali a tutte quelle aziende che promuovono e investono in politiche di promozione del lavoro femminile e di pari opportunità”, riprende Bonetti. “È un ulteriore passo che compiamo per promuovere la partecipazione delle donne nel mondo del lavoro e favorire l’armonizzazione dei tempi di vita familiare e lavorativa a cui tutte e tutti hanno diritto”, commenta la ministra. ( Per la lettura completa dell’articolo CLICCA QUI)
Paolo Riva