Ieri mattina, mentre in Italia regnava lo sgomento per l’enorme balzo in avanti dei nuovi contagi, e per l’evidente aggravarsi – a livello mondiale – di una crisi sanitaria, economica e politica, il cui prezzo alcuni, in America ma non solo in America, vorrebbero far pagare alla Cina, anche a rischio di una guerra devastatrice, una luce di speranza è venuta da Pechino. Il Vaticano e la Cina hanno infatti rinnovato l’Accordo raggiunto due anni fa sulla cruciale questione della nomina dei Vescovi.

Questo storico documento è per ora noto soltanto nelle sue grandi linee. Ma già nel 2018, questo Accordo, ancorché provvisorio, era stato salutato come un vero e proprio salto di qualità nei rapporti tra il Vaticano e Pechino, che non avevano relazioni diplomatiche da settant’anni, cioè da quando, nel 1951 l’ultimo Nunzio apostolico in Cina, Antonio Riberi venne espulso da Mao Tzedong. E non le hanno tuttora, mentre la Repubblica di Cina, cioè Taiwan, ha un’ambasciata in via della Conciliazione.

L’accordo del 2018 non concerne infatti i rapporti tra gli Stati, che comunque andrà affrontata in un futuro non troppo lontano, ma tende a dare una soluzione alla questione della nomina dei vescovi, resa possibile da parte di Pechino con la rinuncia alla pratica con la quale le autorità cinesi nominavano vescovi personalità non riconosciute come tali dall’Autorità pontificia.

La soluzione è stata trovata con un ingegnoso compromesso, a norma del quale, come ha spiegato l’ex-Ambasciatore italiano a Pechino Alberto Bradanini , la nomina dei vescovi rimane prerogativa esclusiva del Vaticano, che presenta una rosa di candidature dalla quale le autorità locali sono legittimate a indicare quelle non gradite, lasciando comunque al Papa la scelta finale. I dettagli sono ancora in elaborazione, e verranno probabilmente chiariti solo negli anni futuri, man mano che si svilupperà concretamente la collaborazione tra questi due diversissimi, ma entrambi straordinari, soggetti della politica mondiale. Ma soprattutto –  ed è questo un punto estremamente importante per la stessa evoluzione politico-istituzionale interna della Repubblica Popolare – l’Accordo ieri rinnovato concede al vertice di una struttura religiosa che sino a due anni fa Pechino percepiva come estranea, se non ideologicamente ostile alla Cina, di avere un ruolo nella scelta del Pastore di un “gregge” formato da cittadini cinesi. E questo, da un punto di vista interno cinese, diventa così un’entità legittimamente costituita con una propria identità etico-culturale che differisce radicalmente non solo dal Partito Comunista Cinese, ma anche da quella dei cosiddetti partiti minori che sono alleati con il partito comunista nel governare l’immensa Repubblica.

Si tratta dunque di un significativo passo avanti, in quanto il rinnovo dell’accordo lascia pensare che esso preluda al superamento del carattere di eccezione e di sperimentazione della convergenza cui si era giunti nel 2018. Un passo tanto più importante in quanto il suo valore ideale e politico è stato ampliato, e posto sotto gli occhi di un pubblico più vasto di quello che ne sarebbe normalmente venuto a conoscenza, delle assai poco diplomatiche pressioni da parte americana, in particolare con la chiassosa visita  del  Segretario di Stato, Mike Pompeo, che chiedeva a gran voce  al Vaticano di recedere dal patto, per protesta contro la pretesa oppressione da parte del governo di Pechino delle minoranze religiose.

Al contrario, lo stesso rappresentante del Ministero degli Esteri di Pechino Zhao Lijian ha invece confermato che la Cina intende ormai mantenere col Vaticano un dialogo intenso e ravvicinato, volto a lavorare ad un ulteriore miglioramento dei rapporti. Quasi simmetricamente – dall’altro versante, ma sulla stessa linea – la Santa Sede ha annunciato futuri sviluppi, sottolineando come gli scorsi due anni abbiano costituito in una fase sperimentale, di “applicazione iniziale” dell’Accordo. I cui primi risultati, a prima vista, “potrebbero sembrare non molto significativi” ma – avendo portato alla nomina di due nuovi vescovi, mentre altre nomine sono in preparazione  – hanno di fatto stabilito un principio, e rappresentano quindi “una buona partenza, che lascia sperare che altri risultati positivi possano essere raggiunti”. E poi, come affermato da Vatican News, il sito di informazione della Santa Sede, per la prima volta in molti decenni, “tutti i vescovi in ​​Cina sono in comunione con il Vescovo di Roma e, grazie all’attuazione dell’accordo, non ci saranno più ordinazioni illegittime”.

Dando una nuova e positiva conferma del proprio sofisticato stile diplomatico, la Santa sede ha poi sottolineato il carattere tanto più positivo in quanto del tutto naturale, e pressoché scontato, ormai acquisito dall’accordo, ben illustrato dal fatto che esso sia stato rinnovato  in maniera così poco clamorosa, senza la necessità che dalle due capitali si spostassero, verso l’altra, grandi personalità, anzi affidandosi alle buone comunicazioni e alla cooperazione ormai stabilita tra le parti”. Fonti ecclesiastiche hanno anche precisato che il tutto si è svolto con uno scambio di note diplomatiche, e che la firma è avvenuta senza nessuna cerimonia “because of the coronavirus pandemic.”

Questa spiegazione è molto analoga, nello stile e nella abilità alle ragioni avanzate dal Papa per non aver ricevuto egli stesso Mike Pompeo a Roma, come il Segretario di Stato americano aveva invece richiesto: “non è abitudine del Papa ricevere esponenti politici quando questi sono impegnati in una campagna elettorale”.  Per evitare ogni possibile risentimento, si era cioè elegantemente lasciato in ombra il fatto che il Papa è un capo di Stato, mentre Mike Pompeo è soltanto un ministro. Ed infatti è stato ricevuto con grandi lodi e segni di apprezzamento dal suo pari-grado, il Segretario di Stato della Città del Vaticano, Cardinale Parolin.

Il rozzo tentativo americano,  – e ancor più il fallimento di tale tentativo – di politicizzare il complesso rapporto  che è in costruzione tra una Cina risorta all’antica imperiale grandezza, ed il vertice della cattolicità mondiale ha però, involontariamente, avuto anche un altro merito: quello di mettere in luce come uno dei principali, se non il principale, obiettivo della diplomazia della Santa Sede sia quello di porre termine allo scisma che, tra i cattolici cinesi, si  è  venuto a creare negli anni in cui Mao Tzedong cercava di costruire una società di tipo nuovo, fondata sull’ideale del comunismo. E che voleva essere altrettanto diversa dalla Cina tradizionale, quanto dal mondo occidentale.

Perché è in questo quadro che è nata la divisione nella comunità dei cattolici che vivono nella Repubblica popolare. Sono circa 12 milioni, già pochissimi sullo sfondo della immensa massa degli Han e delle stirpi a questi affini. Ed il loro messaggio di pietà e di carità – pur tanto necessario alle masse asiatiche – non può che essere reso più flebile e meno incisivo se viene disarticolato tra coloro che frequentano le chiese “di Stato” controllate dall’Associazione Patriottica Cattolica Cinese ed una “Chiesa del silenzio” che guarda a Roma e al magistero papale.  E che purtroppo, nella tragica situazione storica in cui i suoi fedeli si sono venuti a trovare nei sette scorsi decenni,  ha finito talora per assumere caratteri settari, anche per la vera e propria persecuzione di cui sono state vittime.

Perché l’ingiustizia subita, la persecuzione, e le sofferenze che ne conseguono non sempre migliorano l’animo umano; possono talora portare anche i più retti degli esseri umani a pericolosi ripiegamenti su sé stessi. E ciò in Cina è potuto accadere anche per effetto dell’esempio dei gruppi Protestanti, che hanno goduto di una assai maggiore tolleranza, perché autocefali, e senza esplicita – ma talora sostanziale – dipendenza dall’estero.

La Santa Sede – è stato spiegato – è ben consapevole di tutti questi problemi, e non manca di agire per spiegare la loro situazione difficile al governo cinese. E ciò, affinché la libertà religiosa possa essere veramente esercitata”. In Cina “sono ancora molte le situazioni che causano gravi sofferenze”, e “la Santa Sede ne è molto consapevole, ne tiene conto e non manca di portarli all’attenzione del governo cinese, affinché la libertà religiosa possa essere realmente esercitata”…… “C’è ancora una strada lunga e difficile da percorrere.”

Giuseppe Sacco

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