La proposta del Ministro Calderoli sull’autonomia differenziata sta già creando tensioni anche all’interno della stessa maggioranza di governo, dopo aver provocato una specie di sollevazione da parte di alcuni governatori delle regioni meridionali. E non solo, visto gli ulteriori elementi di divisione che il provvedimento in questione rischia di introdurre tra il Nord e il Sud, ma anche all’interno delle regioni del Centro – Nord.
L’obiettivo della Lega è quello di assicurare ad alcune regioni del settentrione d’Italia ancora più autonomia e maggiore capacità di spesa rispetto a quanto non sia già stato previsto con la riforma del 2001. Peccato che nel frattempo, e su questo molto ha detto la pandemia per ciò che concerne la Sanità, sono emerse tutte le carenze delle amministrazioni regionali nella gestione della cosa pubblica. Al punto che c’è da chiedersi se una riforma, non tanto del quadro istituzionale quanto di taluni suoi aspetti pratici, che riguardino le capacità di spesa a piè di lista, non dovrebbe invece spingere ad una revisione del ruolo delle regioni, anche alla luce del contemporaneo indebolimento della possibilità dei comuni di assicurare quella prossimità che, semmai, amministratori locali e cittadini invocano da tempo.
Non c’è dubbio che il progetto dell’autonomia differenziata proposto da Calderoli rischia di aggravare ulteriormente le disparità che dividono da tempo il nostro Paese e c’è da chiedersi se la conseguenza finale non rischierà di essere quella di mettere a rischio addirittura l’unità nazionale del Paese, a dispetto di tutte le retoriche dichiarazioni di Giorgia Meloni al riguardo.
Non è un caso se Calderoli, per quanto riguarda le risorse da destinare ulteriormente alle regioni, fa riferimento alla cosiddetta “spesa storica”, un meccanismo utile non a superare le attuali disparità geografiche, ma addirittura accentuarle, mentre, e in questa direzione vanno da decenni anche le indicazione dell’Unione europea, andrebbero rimossi tutti quegli ostacoli che impediscono oggi al Meridione d’Italia, così come a tutte le aree più depresse, di mettersi in linea con quelle parti più ricche e più prospere.
E’ chiaro che la questione finirà per dividere sia la maggioranza, sia l’opposizione. Anche il Pd è chiamato ad uscire dall’ambiguità visto che nelle sue regioni più forti, Emilia Romagna e Toscana, non manca chi si dice disponibile ad accettare qualche punto di compromesso. Ma, come ha dimostrato la pandemia e la gravissima crisi economica che stiamo attraversando, questo non è il tempo dei compromessi, bensì delle scelte nette e chiare a favore dell’unità del Paese, del senso della solidarietà e coesione che deve pervaderne le linee guida d’indirizzo e di sviluppo generali.
Anche i cattolici sono chiamati in questo ad esprimere una posizione chiara, a partire di coloro che, accontentandosi di vaghe promesse su materie come quella dell’aborto, accettano poi altrettanto gravi attacchi all’essenza della vita di milioni di persone che dovrebbe essere, invece, garantita su di una base paritaria dalle Alpi alle Piramidi.