Nei rapporti internazionali, ci troviamo di fronte a una situazione molto pericolosa per gli sviluppi che ne possono scaturire. Sentiamo fare dai leader massimi mondiali dichiarazioni che sembrano palesare una perdita di autocontrollo e di lucidità, mentre più che mai è indispensabile mantenere i nervi saldi e usare la ragione, mettendo da parte la propaganda, cercando di verificare le varie asserzioni e ponendosi degli interrogativi.

I L’Occidente combatte la dittatura di Putin, e non la Russia

Nelle rappresentazioni in vigore, si auspica una Russia convertita ai valori dell’Occidente, pronta a diventarne partner, una volta abbattuto il regime putiniano. Si sostiene che un tale evento sarebbe potuto accadere già a partire dagli anni Novanta se in Russia non fosse giunto al potere Putin, un autocrate nazionalista, determinato a ricostruire un impero riconquistando le terre già facenti parte dell’URSS.

Francamente ho un diverso ricordo di quel periodo. L’Unione Sovietica aveva perso la Guerra fredda, essendo stata incapace di sostenere la competizione con gli USA sul terreno delle tecnologie antimissilistiche spaziali, voluta da Ronald Reagan. In seguito, il presidente George Bush senior, rendendosi conto dei rischi che sempre accompagnano la dissoluzione di un impero, dimostrò molta prudenza e pragmatismo nei confronti della Russia. Comprese che non doveva essere umiliata, e che bisognava accompagnare la fragile libertà riconquistata dai Paesi dell’Est Europa con comportamenti non provocatori nei confronti dei russi, evitando iniziative da loro interpretabili come minacce.

Ma con Bill Clinton l’atteggiamento del governo americano mutò radicalmente allineandosi sostanzialmente alle direttive della dottrina Brzezinski. Il nemico storico doveva essere ulteriormente indebolito (malgrado Boris Eltsin fosse totalmente prono alle continue richieste, o meglio, ingerenze americane), approfittando della caotica situazione interna del Paese, e fomentando i potenziali nazionalismi etnici presenti nell’area ex sovietica. Prese così inizio quella politica, poi seguita da George Bush junior, da Barack Obama e da Joe Biden, tesa ad inasprire i rapporti con la Russia con i continui allargamenti della NATO verso Est, con il ritiro statunitense dal trattato ABM e il posizionamento dello scudo spaziale in Polonia e Romania (atto che ha rotto un pluridecennale equilibrio nucleare).

George Kennan (diplomatico americano di lunga carriera, padre della politica di contenimento dell’URSS) denunciò nel 1997 l’errore grave che stava facendo il proprio Paese con l’estensione della NATO ai Paesi già nell’orbita sovietica, e prefigurò tutto quanto è avvenuto in seguito: una Russia umiliata e con la sensazione di una minaccia incombente su di sé avrebbe rotto con l’Occidente, e ne sarebbe derivata una nuova guerra fredda. Parliamo di un’epoca in cui Vladimir Putin era uno sconosciuto, essendo entrato in scena nel 1999.

Le cose sarebbero andate diversamente se fosse stata mantenuta l’accorta prudenza di Bush senior nei rapporti con la Russia? Non ne abbiamo la certezza, ma è molto probabile.

II Con Putin al potere, ci sarebbe stata comunque una involuzione in senso autoritario e dispotico della Russia

Certo la Russia non è, e non diventerà, una liberaldemocrazia. La sua storia e cultura, le dimensioni e le caratteristiche del Paese richiedono una guida forte, ma non necessariamente destinata a diventare una autocrazia o una dittatura. Ricordiamoci che, con Eltsin al vertice del Paese, il ricorso alla manipolazione delle consultazioni elettorali, il totale controllo dei media da parte dei vari oligarchi suoi amici e lo spregiudicato utilizzo degli strumenti del potere erano una costante, senza che in Occidente qualcuno abbia mai sollevato obiezioni o critiche. Con Putin, le cose sono inizialmente notevolmente migliorate, poi ci sono stati consistenti passi indietro su vari terreni. Certamente, nel portare a un rafforzamento del potere personale e a una conseguente involuzione autoritaria, hanno avuto peso gli atti ostili e/o la percezione di minacce provenienti da oltreconfine. Un fenomeno che, in analoghe circostanze, vediamo capitare in ogni Paese, in misura più o meno rilevante.

III La Russia è una minaccia per il suo potenziale militare

Sentiamo dire da autorevoli politici europei che la Russia è una minaccia per i propri Paesi, nessuno dei quali può escludere di essere da essa attaccato, ma nello stesso tempo le medesime persone si dicono convinte che l’Ucraina, se adeguatamente sostenuta con armi, sconfiggerà la Russia. Non c’è alcun senso in queste affermazioni che fanno dubitare delle facoltà logiche di chi le fa: infatti, una Russia che possa essere sconfitta dall’Ucraina non rappresenta un soggetto in grado di minacciare alcun Paese occidentale, e meno che mai l’insieme di questi o anche solo di quelli dell’UE.

Come già detto in altro articolo (Ritornare alla realtà dei numeri), un abisso separa la rilevantissima spesa militare dei Paesi della NATO (oltre il 70% di quella mondiale), nonché il potenziale demografico, economico e tecnologico da essi posseduto rispetto agli analoghi parametri della Russia. Solo il possesso di armi nucleari di quest’ultima ha impedito, per ora, un intervento diretto occidentale in Ucraina. dove la Russia ha agito sentendosi (a torto o a ragione) minacciata.

IV La Russia va fermata innanzitutto perché la sua condotta viola l’ordine internazionale fondato sul diritto e sui valori liberaldemocratici

Non c’è coerenza tra queste affermazioni e il comportamento dell’Occidente. Quest’ultimo è stato anch’esso protagonista di violazioni di detto diritto come, ad esempio in Kosovo, dove la NATO è intervenuta senza alcun avvallo delle Nazioni Unite, adducendo le stesse motivazioni di Putin per l’intervento nel Donbass (proteggere una popolazione); idem a Grenada, in Iraq (seconda guerra), in Libia e in Siria. Ha, inoltre, chiuso gli occhi di fronte a violazioni perpetrate dagli “amici”: Israele da decenni occupa indisturbata e colonizza territori ottenuti a seguito di una guerra a cui aveva dato inizio.

Si aggiunga, in tema di valori “democratici”, che il Paese leader dell’Occidente è convissuto con regimi dispotici quando gli è convenuto. Fra i firmatari dell’atto fondativo della NATO, c’era il Portogallo di Antonio de Oliveira Salazar; poco dopo il presidente Eisenower ha accolto fra le sue braccia Francisco Franco; anche i colonnelli greci sono stati partner indisturbati. Non parliamo poi delle sanguinarie dittature militari latino americane da Washington promosse e/o sostenute.

V Il regime di Putin è ancora saldo o è prossimo a sfaldarsi sotto la pressione occidentale?

Ancora oggi, i due politici più invisi alla grande maggioranza dei russi sono Michail Gorbacev e Boris Eltsin. Il primo per l’ingenuità della sua condotta in campo internazionale; il secondo per aver svenduto il Paese ai migliori offerenti (quali oligarchi-pirati, avventurieri e imprese straniere), aver aperto la strada alla diffusa corruzione e consentito continue ingerenze occidentali nella vita del Paese.

Oggi Putin riesce ancora a restare in sella, mantenendo un consenso non solo per lo spregiudicato utilizzo degli strumenti di potere di cui dispone, ma soprattutto perché nessuno vuole vedere il ripetersi di quanto è accaduto con Gorbacev ed Eltsin. Anche Alexej Navalny era ben consapevole che in Russia non ci sarebbe stato spazio per un novello Eltsin, o comunque per chi fosse o apparisse manovrato dall’Occidente, e aveva fatto propria una linea di sostegno alla nazione: infatti, nel 2008, difese l’intervento militare russo in Georgia a seguito del tentativo georgiano di occupare la separatista Ossezia del Sud; nel 2014 approvò l’annessione russa senza colpo ferire della Crimea. Solo recentemente, riguardo al conflitto in Ucraina, dopo aver lamentato una “guerra fratricida” fra genti che si riconoscono nella stessa storia e cultura, prese posizione contro l’intervento.

Al momento, il regime tiene. Putin, dopo le recenti elezioni (comunque siano considerate), è più forte. Il Paese è stato in grado di resistere alle pressioni messe in atto dagli occidentali con la rottura degli scambi economici e le sanzioni, mentre, nella guerra in Ucraina, malgrado il crescente sostegno occidentale a Kiev e le annunciate controffensive ucraine, rivelatesi deludenti, le forze russe hanno consolidato le posizioni nei territori occupati.

Certo, Putin non è eterno. Se e quando il regime potrà cadere, è tuttavia questione che riguarda i soli russi, mentre la condotta internazionale dei successori dipenderà essenzialmente dalle istanze geopolitiche del Paese dalle quali chiunque giungerà al potere non potrà discostarsi più di tanto.

Ovviamente quest’ultima considerazione non vale se un eventuale diretto intervento militare occidentale conducesse alla frantumazione della Federazione Russa.

VI È possibile ottenere la caduta del regime senza provocare il crollo e la disintegrazione della Federazione Russa?

Abbiamo visto nella storia che, nelle guerre contrassegnate da uno scontro ideologico, la sconfitta militare non ha comportato solamente la rimozione e sovente la condanna dei responsabili di governo della nazione perdente, ma ha spesso avuto pesanti conseguenze su di essa (ampie amputazione di territori, esodi forzati di popolazioni o la stessa dissoluzione e frammentazione del Paese). Difficilmente potrà essere diverso per una Federazione Russa che molti Paesi occidentali vorrebbero vedere quanto meno fortemente ridimensionata.

VII Quali le conseguenze del protrarsi e/o degli sviluppi della guerra?

In primo luogo, ci sono i pericoli del coinvolgimento, o peggio del diretto intervento, dei Paesi della NATO in una guerra con una potenza che dispone di armi nucleari: questi devastanti strumenti potrebbero essere usati se detta potenza fosse messa nella condizione di sentire minacciata la propria sopravvivenza. Ne scaturirebbe una guerra mondiale con armi nucleari dalle conseguenze micidiali per la vita sul pianeta.

Ci sono inoltre (come ha scritto Giuseppe Davicino) “i costi umani, economici, ambientali altissimi, che hanno generato una situazione di stallo capace di protrarsi indeterminatamente, almeno fintantoché si lasceranno le armi a parlare anziché la diplomazia”. Sono costi, aggiungo, che, in notevole misura, investono anche Paesi non direttamente coinvolti nella guerra.

Se poi (evitato l’impiego di armi nucleari) la guerra terminasse con la sconfitta russa (come auspicato dai leader occidentali), dovremmo chiederci quali sarebbero le conseguenze del collasso e della frammentazione della Federazione Russa. Si creerebbe una situazione di caos, permeata di conflitti fra nuovi soggetti regionali, mossi da rinate pulsioni nazionalistiche su base etnica (visto il mosaico di popoli abitanti quel territorio), con conseguenti spostamenti forzati di popolazioni ed esodi volontari, in parte direzionati anche verso l’Europa occidentale. Nella parte asiatica dell’attuale territorio russo, sarebbe probabilmente la Cina a farsi avanti e ad impossessarsi di risorse certamente utili, se non indispensabili, per l’Europa, ove questa fosse in grado di trovare una convivenza con la Russia.

VIII Considerazioni finali

Al momento attuale, in Europa si guarda alla guerra in corso con sentimenti da tifosi, sentendosi parte coinvolta in un conflitto tra liberaldemocrazia e autocrazia, se non tra buoni e cattivi. Ma Lucio Caracciolo ha più volte ammonito che “interpretare i conflitti territoriali ricorrendo a categorie ideologiche o morali significa condannarsi a non comprendere quanto avviene”. Sarebbe quindi auspicabile una più meditata analisi della situazione, considerando gli interessi geopolitici di tutte le parti, a partire da quelli delle nazioni europee, e avendo sempre presente che mai torto e ragione si separano con un tratto di spada.

Si parla spesso di “pace giusta”. In particolare, il richiamo alla “pace giusta” è stato polemicamente brandito nei confronti di papa Francesco per il suo appello a una trattativa. Tuttavia, ricordo che, fra i requisiti di una pace giusta, dovrebbe esserci anche la volontà degli abitanti dei territori contesi.

Nel frattempo, i conflitti in Ucraina e Terra Santa stanno polarizzando l’attenzione dell’universo politico e mediatico, facendo dimenticare che la lotta più importante per cui è richiesto l’impegno di tutti – destinandovi rilevante parte delle risorse economiche disponibili – è quella contro il riscaldamento climatico, perché altrimenti ne scaturirà un mondo molto più disastrato di quello prodotto dai conflitti in corso.

Giuseppe Ladetto

Pubblicato su www.associazionepopolari.it

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