Domenica milioni di italiani sono chiamati alle urne. E’ come se il Paese fosse raccolto sui blocchi di partenza, in attesa dello sparo dello starter. Parte, infatti, una gara destinata a non risolversi in uno sprint, che tutt’al più può rappresentare la prima frazione di una competizione che richiede agli atleti in gara anche doti di mezzofondo e l’attitudine a superare gli ostacoli e le riviere della corsa a siepi.

Si tratta di un percorso frastagliato e difficile da interpretare. Vi concorrono, più che singole forze, delle coalizioni che, per quanto gareggino a staffetta, sono animate da una tensione intestina che non garantisce la fluidità degli scambi e soprattutto non chiarisce a chi tocchi correre l’ultima frazione e, quindi, portare il testimone sul filo di lana.
Ma soprattutto non è chiaro se per tutti i concorrenti le tappe intermedie abbiano lo stesso valore ed a quale ultimo traguardo siano finalizzate. Anzi, lo striscione d’arrivo dov’è ?

Alle prossime politiche, così da risolvere, anzitutto, una contesa di potere tutta in chiave interna? Ed a questo punto, quando? Oppure, il podio della premiazione e l’alloro del vero vincitore lo ritroviamo solo più avanti, laddove conclusa la maratona del PNRR, sapremo se finalmente saremo stabilmente dentro un reale processo di unificazione europea da sviluppare per tappe ancora successive, ma ormai sostanzialmente acquisito? Insomma, vince chi la spunta in Italia oppure chi è in grado di portare davvero, una volta per tutte, senza stucchevoli balbettii, il Paese in Europa?

In effetti, a questo punto, va detto che, fuori dalla metafora sportiva, la questione si fa più delicata. Infatti, il giudice di gara – il popolo “sovrano” – non è neutrale, bensì parte attiva del gioco ed, anzi, decide di suo la partita. L’ equilibrio tra la forza politica che propone determinati indirizzi, l’elettorato che, secondo la legge dei grandi numeri, li assevera o meno ed ancora gli eletti che tali indicazioni devono declinare nel linguaggio politico-istituzionale delle alleanze e del lavoro legislativo si muove su un crinale delicato, che richiede, ad un tempo, capacità di ascolto, fermezza e flessibilità.

Quando vigeva la “prima repubblica”, per quanto la democrazia si dicesse “incompiuta”, bastavano moderate variazioni in termini di consenso per orientare una ridefinizione del quadro politico complessivo, che, pur attraverso conflitti aspri, si riassestava su un nuovo equilibrio. Il sistema politico funzionava, per lo più, come un sismografo calibrato su una sintonia fine che suggeriva una rotta anche nei momenti di maggiore turbolenza. Ad esempio, alla metà degli anni ’70 quando teneva banco il “sorpasso”, peraltro mancato, ed Aldo Moro constatò come due fossero i vincitori di quel confronto elettorale, con tutto quello che ne seguì.

Siamo poi entrati in una fase nuova in cui si sono via via succedute leadership che cresciute vertiginosamente, sono andate presto incontro ad un declino rapido e sorprendente. Insomma, il sistema è apparso e tuttora appare privo di un baricentro, quindi esposto ad ondeggiamenti che tradiscono spesso la pulsione emotiva del momento piuttosto che una ponderata evoluzione delle relazioni politiche e dei rapporti di forza tra i differenti gruppi sociali. Il sistema politico non a caso è stato, secondo il linguaggio di taluni osservatori, “commissariato”, in quanto incapace di mettere in atto una effettiva “autopoiesi”, cioè quei processi di feed-back che ottengono l’omeostasi di un apparato vivente, garantendo una relazione aperta ed un rapporto biunivoco con l’ambiente in cui è immerso, piuttosto che avvizzirsi, rannicchiato su di sé, come sta succedendo al nostro decotto sistema politico.

In queste condizioni dobbiamo affrontare, dopo l’attuale tornata elettorale amministrativa nelle maggiori città del Paese, l’elezione del Capo dello Stato, le prossime politiche ed il completamento del PNRR che va oltre i tempi dell’attuale legislatura. Non è fuori luogo chiedere e sperare che gli italiani siano posti in grado di esprimere compiutamente, al di là delle strettoie del maggioritario bipolare, la sovranità che appartiene al popolo.

Domenico Galbiati

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