Il tema del Lavoro e della tutela dei lavoratori è sempre più presente nel sentire popolare e la questione del ritorno all’art.18 sta animando il dibattito cui, anche noi, cerchiamo di dare un certo rilievo con l’obiettivo sempre di recuperare quella “dignità” del Lavoro progressivamente erosa e mortificata nel corso degli ultimi decenni. Qualche giorno fa pubblicammo un intervento di Roberto Pertile, responsabile del dipartimento di INSIEME “Lavoro, Politiche industriali e Innovazione”,  da titolo “Art 18 o innovazione e partecipazione?” (CLICCA QUI). Oggi è la volta di Vincenzo Fertitta, Coordinatore di INSIEME in Emilia Romagna, a conferma che la questione dell’art 18 sollecita un’ ampia ed articolata serie di posizioni

Assistiamo, in questi giorni, a una disputa tra la C.G.I.L. e la U.I.L. contro il nostro Governo e l’altro sindacato confederale la C.I.S.L., sulla richiesta di reintroduzione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, tolto secondo me e secondo la C.G.I.L./U.I.L., dalla legge più ingiusta degli ultimi trenta anni, il “Jobact”. Con la riforma Fornero l’art. 18 viene modificato passando dalla tutela reale alla tutela indennitaria con una tutela reale piena per tutti i lavoratori a prescindere dalle dimensioni occupazionali del datore di lavoro.

Qualcuno parla di ritorno alla lotta di classe tra i lavoratori e gli imprenditori. Io dico che sarebbe l’occasione di reintrodurre un diritto universale e inviolabile dei lavoratori che è quello del divieto di licenziare senza giusta causa e di tornare al vecchio art.19 L. 300 che recita: “il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale. Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali ( cit. Art.18 L.300 del 1970)”.

Mi chiedo se chi dice di introdurre la partecipazione del lavoratori nei C.d.A. delle aziende, sa cosa significhi fare l’operaio, il commesso, l’impiegato ecc. , perché è evidente che in quei C.d.A. ci andrebbero gli “ amici” cioè coloro che, per interessi alcune volte personali, non hanno nessun interesse a mettersi in contrapposizione con il datore di lavoro.

Penso che sia evidente, anche a un bambino, che la nostra Costituzione dovrebbe tutelare il più debole e invece con il Jobact tuteliamo il più forte. Ritengo, allora, che se una “lotta” sia giusta, anche se la propone la C.G.I.L., valga la pena farla per ridare dignità a tutti/e i lavoratori e lavoratrici.

Vincenzo Fertitta

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