Giorgia Meloni comincia a parlare davvero convinta di aver ricevuto un plebiscito. Dimentica del fatto che ha incassato, sì, il 26%, ma di un corpo elettorale ridotto a meno del 65% . Sarebbe il caso che, invece, come forse sta già facendo, cominciasse a preoccuparsi di Matteo Salvini.

Il capo della Lega appare come uno degli sconfitti di questa tornata elettorale. In effetti, egli si ritrova non solo con un voto inferiore al 9 %, ma con una netta inversione rispetto a Fratelli d’Italia per ciò che riguarda la composizione delle due camere. Se quattro anni fa, egli la faceva da padrone nel centrodestra, forte com’era di 131 deputati e 61 senatori, mentre la Meloni ne raccolse rispettivamente 40 e 21, adesso c’è un rovesciamento dei pesi con 119 deputati e 66 senatori per Fratelli d’Italia e 67 onorevoli e 29 presenti a Palazzo Madama per il Matteo leghista.

Ma chi pensa che questa situazione significhi un totale ridimensionamento di Salvini, ad esempio Roberto Maroni che ne fu mentore, suona la campana per la fine del suo ex figlioccio come segretario nazionale, probabilmente non fa bene i conti.

Intanto, gli addetti ai lavori, dopo aver passato ai raggi x tutti gli eletti leghisti, sostengono che si è trattata di una vera e propria “militarizzazione” operata da Salvini. Pochissimi gli eletti leghisti che rispondono ad altri. Come ad esempio a Giancarlo Giorgetti che sembra essere uscire abbastanza malconcio dall’esperienza Draghi nel corso della quale il Ministro per lo sviluppo economico ha svolto un ruolo particolare ed è anche stato indicato come l’autore del controcanto al suo segretario. Non è un caso se Salvini ha dichiarato che il Governo sbagliava visto che il voto emerso dalle urne ha premiato l’opposizione.

Chi si attende un “colpo di stato” antisalviniano rischia di rimanere deluso. Se è vero in fatti che il voto in termini di voti usciti dalle urne è stato oltre modo penalizzante, è altrettanto vero che la Lega in mano a Salvini resta fondamentale per assicurare la maggioranza al centrodestra.

E questo spiega perché il Matteo “lumbard” non ha fatto una piega e si è solo limitato a riconoscere che le cose non sono andate poi benissimo. Aggiungendo di attendersi che nel corso del primo Consiglio dei ministri venga subito adottata l’autonomia differenziata: l’ennesimo grande regalo fatto alle regioni più forti e più ricche del nord. Probabilmente, riceverà anche il sostegno in questo di Bonaccini e di qualche altro governatore del Pd che, pur di vedere aumentare il proprio potere e la propria libertà di movimento, si disinteresserà del Mezzogiorno preso nel suo complesso.

Salvini si sintonizza nuovamente sulle frequenze più familiari ai suoi. Giunge ad auspicare che il Bossi, anche da lui giubilato e a mortificato, sia fatto Senatore a Vita. Loro lo fanno fuori e, poi, pensano che debbano essere i soldi dei contribuenti a rimediare le cose. In ogni caso, Salvini ha bisogno di portare a casa qualche risultato perché vorrà far valere per i parlamentari, e in questo sarà sulla stessa scia Berlusconi, lo stesso principio che l’avvocato Agnelli assegnava alle azioni: si pesano e non si contano. Lo stesso potrà valere per altri temi che egli agita da tempo e che, forse, gli sono serviti per arginare almeno in parte l’emorragia cui la Lega è andata incontro dopo il sostegno e la partecipazione assicurati all’Esecutivo di Mario Draghi: discostamento di bilancio per almeno 30 miliardi, pace fiscale, flat tax e pugno duro con i migranti.

Nonostante Giorgia Meloni sia sulla stessa lunghezza d’onda su molto di ciò, c’è però da considerare che, adesso, è cambiato il suo status. Già prova a presentarsi con un volto moderato e tranquillizzante. Del resto, subito nella seconda metà di ottobre, si dovrebbe assistere al passaggio di testimone con Draghi. Non solo quello formale della campanella a Palazzo Chigi, ma quello ben sostanziale che riguarda i dossier attesi dall’Europa e di cui per gran parte, al di là di un certo fumo che si proverà a fare per sostenere che qualche cambiamento al Pnrr sarebbe possibile, segnerà la prosecuzione della linea Draghi. Il che poi significa, visto che un’agenda Draghi vera e propria non esiste, viaggiare in piena sintonia con la Commissione europea. Cioè con tutto ciò che la Meloni ha contestato per 18 mesi.

E pertanto vediamo se, dopo essersi rovesciati i numeri e i rapporti di forza, non sarà proprio Salvini a fare nella maggioranza quello che la Meloni ha fatto dall’opposizione.

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