La Petizione sulla Legge 194/78 ha il seguente titolo:
Attuare pienamente la legge 194/78 sulla maternità : più diritti sociali, più consapevolezza, più vita
Presentazione
Il tema della vita, la coscienza del suo valore intangibile, originario ed incondizionato, fondativo dei doveri e dei diritti attraverso i quali la persona attesta la propria libertà, rappresenta il baricentro della proposta politica che intendiamo avanzare.
La consapevolezza che la vita sia un dono e, come tale, indisponibile, a sua volta da donare; la convinzione che la libertà sia, ancor più che un diritto, un dovere da compiere, un’ opera perennemente incompiuta da custodire e far crescere nell’interiorità di ciascuno; la certezza che vi sia un rapporto sostanziale e necessario, inamovibile, tale per cui ove chiunque sia vittima di un’ingiustizia e le diseguaglianze sociali imperversino, la libertà di ciascuno e di tutti ne risulti compromessa alla radice, delegittimata; la responsabilità personale che, per ognuno, singolarmente, da ciò consegue, nel segno di una concezione cristiana dell’uomo, della vita e della storia.
Ed ancora, l’assunto che – oggi, in modo del tutto particolare, come impongono lo smarrimento della pandemia ed il cinismo della guerra – la politica debba affrontare un processo di “rifondazione antropologica”.
Sia tenuta ad accettare la fatica e l’umiltà di riandare alla fonte originaria del suo impegno, riguadagnare il pieno rispetto della vita, in ogni forma, in ogni sua articolazione e la dignità integrale della persona, come criteri invalicabili della responsabilità che le compete e fondamentali categorie interpretative del momento storico e dei suoi sviluppi.
Per questo lanciamo una “petizione” al Parlamento perché adotti politiche e strategie dirette alla prevenzione dell’aborto, nel solco dei primi articoli della stessa legge 194.
Vogliamo ottenere risultati concreti nei confronti di un fenomeno che, negli oltre quarant’anni dall’ approvazione della legge, ha assunto forme nuove, anche più preoccupanti e gravi.
Intendiamo, nel contempo, proporre un momento di disincanto e di verità che interroghi la politica perché, in una fase storica nuova, progetti e promuova una nuova stagione di diritti sociali e di solidarietà civile.
Testo
Ad oltre quarant’anni dall’approvazione della legge n. 194/1978, che ha introdotto nel nostro ordinamento, norme che regolano la facoltà per la donna d’interrompere volontariamente la gravidanza, riteniamo sia necessario, anche alla luce della profonda crisi demografica che vive il Paese e nel segno della cesura epocale determinata dalla pandemia, studiare ed adottare strategie dirette ad un’efficace prevenzione dell’aborto.
Prendendo, del resto, le mosse dai primi articoli della legge stessa, che richiama, nel titolo, la “tutela sociale della maternità”, in attuazione dell’art. 31, secondo comma, della Costituzione ed all’ art.1 sancisce che “lo Stato […] tutela la vita umana dal suo inizio”.
Un’efficace strategia di prevenzione deve muovere dalla stessa legge 194, principalmente attraverso due linee di intervento, che tengano conto dell’inefficacia fin qui riscontrata, in sede applicativa, dei dispositivi di prevenzione/dissuasione che essa stessa prevede.
La prevenzione dell’aborto sviluppando, come già accennato, anzitutto, i primi articoli della stessa legge 194, può attuarsi principalmente attraverso due indirizzi:
1 – un impegno attivo diretto ad educare le giovani generazioni alla “procreazione cosciente e responsabile”, secondo la stessa indicazione dell’art. 1 della legge, che qualifica tale formazione come “diritto”.
Non si tratta, ovviamente, d’interpretare riduttivamente tale compito, che la legge assegna, oltre che allo Stato, alle Regioni ed agli stessi enti Locali, in termini di mera informazione in ordine alle modalità di contraccezione, bensì in quanto educazione al valore della sessualità ed alla genitorialità responsabile;
2 – una forte e convinta valorizzazione, attraverso un’apposita iniziativa di carattere legislativo, del ruolo dei consultori familiari, pubblici e privati, di cui all’art. 2 della legge, richiamando il secondo comma dello stesso articolo, in ordine alla collaborazione di “associazioni del volontariato che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, oltre che, anzitutto, come recita il primo comma dell’art. 5, “aiutare (la donna) a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”.
Va osservato come un’azione di aiuto alla donna, in questo specifico momento, necessiti dell’attività di un’equipe multidisciplinare, in quanto l’interruzione volontaria della gravidanza, pur essendo atto medico, implica, nel suo percorso di valutazione, una serie di competenze e sensibilità che vanno oltre la mera certificazione sanitaria
La ridefinizione delle politiche per la famiglia, in atto nel nostro Paese, dopo anni di colpevole latitanza, offre un’occasione importante affinché l’attività dei consultori familiari possa essere utilmente integrata nella prospettiva aperta dall’introduzione dell’assegno unico ed universale per i figli a carico: i consultori familiari possono diventare un vero e proprio strumento di sostegno alle famiglie, così come accade nelle Province autonome di Trento e di Bolzano, ampliando la loro offerta di aiuto alla genitorialità intesa in senso integrale, aprendosi al sostegno all’intero ciclo della vita familiare, dalla fase della sua formazione, a quella dell’assistenza e consulenza alle diverse funzioni genitoriali.
La consapevolezza comune a chi contrasta la legittimità dell’aborto e, nel contempo, a chi la sostiene, è come, in ogni caso, per la donna, cancellare una vita che si sviluppa nel suo grembo, costituisca un evento drammatico, nel senso etimologicamente proprio del termine.
È posta, cioè, nella condizione di vivere un conflitto esistenziale insanabile e profondo, il quale, nella misura in cui contraddice e nega la sua naturale attitudine materna, è, ad ogni modo, destinato a lasciare una traccia indelebile ed amara nel suo vissuto.
Ogni aborto, peraltro, ferisce anche la collettività ed incrementa il carico di sofferenza che la rende più fragile e vulnerabile, disorientata e confusa.
L’innata consapevolezza del valore originario ed incondizionato della vita viene, in certa misura, compromessa e sfuocata nel sentimento collettivo e poi nel costume che via via prevale nella cultura corrente.
È tempo di abbandonare quella narrazione ideologica della facoltà di abortire quale attestazione della libertà della donna, intesa come capacità di autodeterminazione, che rischia di essere addirittura irridente nei suoi confronti, riducendo la maternità ad un fatto meramente privatistico, che può essere risolto, magari, nella totale solitudine della donna.
Entriamo, del resto, in una fase storica che, dopo la devastante esperienza di morte della pandemia, dovrebbe coraggiosamente mettere a tema una profonda riconsiderazione del primato della vita quale criterio di guida e di indirizzo dello stesso orientamento politico.
Un recente documento della “Pontificia Accademia per la Vita” sostiene che, in ordine, appunto, a questi primi articoli della 1egge 194: “potrebbe ancora essere cercata ed alimentata un’idea di civiltà condivisa”.
Per quanto ci riguarda, attraverso questa petizione che presentiamo al Parlamento, non siamo alla ricerca di un argomento divisivo.
Riteniamo, al di fuori di ogni contrapposizione ideologica, compito di tutti e di ognuno, qualunque sia la propria originaria cultura, il proprio credo religioso o meno, custodire la vita, proteggerla e promuoverla, soprattutto nell’attuale momento storico.
Questo vale per la prevenzione dell’interruzione volontaria della gravidanza e più in generale per una strategia, anche più ampia, di attenta, rigorosa difesa di tutto ciò che è più autenticamente “umano”.
Va impedito che, di per sé, la pratica dell’aborto assuma il carattere di una consuetudine, cioè venga via via metabolizzata ed acquisita dal corpo sociale come un comportamento non solo consentito dalla legge, bensì sostanzialmente scontato o, addirittura, necessario, ove la gravidanza comunque non sia desiderata.
Ciò determinerebbe uno scostamento inaccettabile dallo stesso art.1 della legge, laddove si afferma la necessità che, in nessun modo, l’aborto sia praticato ai fini della limitazione delle nascite.
Occorre riconoscere che la dimensione di prevenzione/dissuasione dell’aborto, pure articolata espressamente nel testo normativo, non ha funzionato: la concreta prassi applicativa della legge e con essa l’assenza di investimenti dedicati che conferissero concretezza alle “alternative all’aborto”, ne hanno smentito l’ispirazione di fondo.
L’aborto, in spregio alla lettera della 194, è diventato ben presto una prestazione a richiesta, dovuta dal sistema sanitario pubblico, e uno strumento per il controllo delle nascite, come attestano i quasi 6 milioni di I.V.G. “legali” realizzate fino a tutto il 2018: un contributo non marginale all’inverno demografico che attanaglia il nostro Paese.
Occorre, quindi, scongiurare una sorta di assuefazione all’aborto, attraverso la sua banalizzazione, che avviene, in modo particolare, tramite il ricorso all’aborto farmacologico, espletato a domicilio, in condizioni precarie di sicurezza sanitaria ed in chiaro contrasto con la stessa lettera della legge 194.
Come fanno, peraltro, anche le “linee-guida” ministeriali in ordine alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” e, a maggior ragione, la facoltà, anche per le minorenni, di poterla ottenere in farmacia, pure senza prescrizione medica, come stabilito dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) con la determina n.998 dell’8 ottobre 2020.
Non vi è dubbio che il suddetto provvedimento permette di ricorrere a nuove forme di aborto, di fatto illegali, cioè non previste dalla stessa n.194 di cui rappresentano una evidente violazione.
Forme e modalità d’aborto tanto più insidiose, quanto più nascoste.
Infatti, le I.V.G. compiute in fase precocissima vengono ignorate sia in virtù di artifici linguistici che definiscono come “contraccezione” percorsi di fatto abortivi, sia attraverso manipolazioni concettuali che fanno iniziare la gravidanza con l’annidamento dell’embrione nell’utero materno, piuttosto che all’atto del concepimento.
Con le nuove indicazioni ministeriali sull’aborto farmacologico sembra giunto a conclusione un percorso iniziato nel 1978. Ora nel nostro Paese è definitivamente diventato un esclusivo problema delle donne, che fa parte del novero delle scelte personali come lo è un qualsiasi atto medico, senza alcuna valutazione dell’evento in quanto tale, e che riguarda il Servizio sanitario nazionale solo se la situazione precipita dal punto di vista clinico e la donna deve recarsi urgentemente in ospedale per evitare il peggio.
Siamo convinti che, introdurre, sostenere e diffondere la RU486 significhi introdurre, sostenere e diffondere una procedura che porta con sé l’idea della privatizzazione totale dell’aborto, l’idea della estraneità della società dal dramma dell’aborto, una questione che non è più una piaga sociale, un segno di sofferenza e di disagio, ma si trasforma in una scelta che riguarda esclusivamente chi la fa.
L’avventarsi della politica su apparenti procedure tecniche a svelare la strategia che utilizza la RU486: scivolare giù per una china involutiva che via via svilisce e compromette, nella generalità della cultura diffusa, il senso stesso della genitorialità, il significato pregnante di quell’atto fondamentale che consiste nel trasmettere la vita.