Premessa

La legge di stabilità 2020 è al centro delle proteste delle Camere di Commercio perché l’aumento del 10 per cento della somma da conferire allo Stato ha riacceso la polemica sulla giustificazione di questo riversamento all’Erario  che compromette la funzionalità degli organismi camerali.

Per comprendere il dibattito attuale (autorevoli prese di posizione di Mario Pozza Presidente CCIAA Treviso-Belluno nonché VicePresidente di Unioncamere Italiana e di Alberto Zambianchi Presidente CCIAA di Romagna/Forlì/Cesena/Rimini nonché di Unioncamere Emilia Romagna), occorre riepilogare brevemente quanto è accaduto negli anni.

Fin dal 2010 (ma principalmente con il D.L.95/2012 convertito nella L.135/2012), coerentemente alla logica della spending review, è stato stabilito a carico delle Camere di Commercio il riversamento all’Erario delle somme derivanti da economie obbligate nelle spese. Tralasciando per il momento ogni considerazione sulla legittimità della trasformazione di una tassa – funzionale ai servizi camerali – in tributo, si vuole evidenziare che ogni Camera di Commercio è stata poi costretta dall’art.28 co.1 del D.L.90/2014 (convertito nella L.114/2014 e ripreso dall’art.4 delle norme transitorie di cui al D.Lgs. 219/2016) ad una iperefficienza.Questo perchè alla  riduzione progressiva del diritto annuale ha corrisposto un aumento delle funzioni(Riforma Madia)senza un contestuale aumento delle risorse finanziarie.

La drastica riduzione della misura del diritto camerale per il 2017 (al 50% di quello determinato per l’anno 2014) è stata temperata dalla possibilità dell’incremento del 20 per cento (co.10 dell’art.18 della L.580/1993, come modificato dal D.Lgs. 219/216) per il finanziamento di progetti specifici indicati nelle deliberazioni dei Consigli camerali. Tale “concessione” – intervenuta per riparare in qualche modo all’equilibrio gestionale compromesso – attua un’ulteriore soggezione in quanto, come da Decreto MISE del 22.05.2017, ogni progetto deve svolgersi di intesa con la Regione, su iniziativa dell’Unioncamere e deve ottenere l’autorizzazione del Ministero dello Sviluppo Economico, verso il quale sono vengono introdotti obblighi di rendicontazione analitica.  A questi  nuovi costi vanno aggiunti quelli relativi ai nuovi adempimenti richiesti dal MEF mentre l’accorpamento delle Camere di Commercio  ha lasciato impregiudicato l’importo da riversare –all.’Erario

Il principio del “Buon Andamento” della Pubblica Amministrazione

Per superare queste evidenti contraddizioni è necessario partire dalla natura delle Camere di Commercio che sono “enti pubblici dotati di autonomia funzionale che svolgono, nell’ambito della circoscrizione territoriale di competenza (sulla base del principio di sussidiarietà di cui all’art.118 della Costituzione), funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell’ambito delle economie locali” (cfr.sentenza Corte cost. n.29/2016)

In questa cornice giuridica la causa prevalente delle contraddizioni innanzi citate è da ricondurre innanzitutto alla difficoltà a risolvere il problema dell’efficienza della pubblica amministrazione: strette tra ipertrofia legislativa e atrofia dei risultati, la dottrina e la giurisprudenza hanno cercato di ricondurre il principio di efficienza nella cosiddetta legalità sostanziale.

L’efficienza, ricondotta a dimensione della legalità, ha finito col perdere il significato suo proprio per svuotarsi di contenuto e di forza, perché inevitabilmente al centro dello scrutinio e dell’analisi non sono l’esperienza amministrativa, i suoi risultati e la relativa valutazione, ma l’adempimento e il giudizio di conformità su di esso (Luisa Torchia 2018). Di conseguenza l’implementazione dei rapporti finanziari tra MISE e Camere di Commercio si è realizzata esclusivamente in termini giuridico/autorizzatori /burocratici sotto la vigilanza formale del MEF.

La duplice valenza del principio della “Buon Andamento “ della  Pubblica Amministrazione

La necessità d’integrare la statuizione di principio con la valutazione degli effetti economici dell’azione amministrativa facendo ricorso agli schemi teorico/empirici dell’analisi economica  è stata recepita dalla Costituzione: dall’arretramento  dello Stato nazionale a causa dell’europeizzazione  della politica della finanza pubblica ne è derivata la riforma costituzionale del 2012  che ha accompagnato la statuizione di principio con le relative  norme di comportamento. Questa riforma, oltre ad introdurre il principio del pareggio del bilancio (rectius dell’equilibrio) all’art.81 per il bilancio dello Stato ed all’art.119 per il bilancio degli enti locali, territoriali e non, prevede un nuovo primo comma all’art.97 secondo il quale “le pubbliche amministrazioni in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico”.

Il risultato di questo processo innovatore è quello di un riconoscimento, a livello costituzionale, di una nozione finanziaria di amministrazione pubblica ove l’equilibrio del bilancio, e  la sostenibilità del debito pubblico del complesso delle amministrazioni pubbliche, vengono  ad assumere la funzione di veri e propri “parametri finanziari “  del principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione secondo quella declinazione che emerge anche dalle nuove regole europee in materia di finanza pubblica.Del resto, anche  il terzo comma dell’art.116  collega la concessione di nuove ed ulteriori forme di autonomia con l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione  Europea.

La fine dell’impermeabilità alla Scienza  Economica della  Pubblica Amministrazione ed il :  nesso tra la congruità dei finanziamenti ed il principio del “Buon andamento “della Pubblica Amministrazione

L’innovazione costituzionale illustrata ha determinato la spinta decisiva per il superamento dell’impermeabilità alla scienza economica della Pubblica Amministrazione. La stessa non può più essere oggetto di un’analisi esclusivamente giuridico/formale: principio  recepito dalla migliore scienza giuridica (B.Mattarella 2017) e dalla Ragioneria generale dello Stato, che ha riconosciuto la necessità di rispondere all’esigenza di “un profondo cambiamento culturale al fine di superare  le abituali impostazioni contabili finanziarie-giuridiche-autorizzatorie” (S.Biliardo  2018).

Pertanto l’attuazione del principio di sussidiarietà non è più regolamentata soltanto dalla semplice  statuizione  di principio (art.119 della Costituzione), ma anche dalla norma di comportamento rappresentata  dal duplice vincolo  dell’equilibrio di bilancio e del concorso alla stabilizzazione del debito pubblico. Di conseguenza il MES nell’esigere il  riversamento all’Erario di una quota parte del gettito del diritto camerale ’deve, in forza della duplice valenza del “Buon Andamento”, deve far si che le implicazioni di detto riversamento siano funzionali e non perverse rispetto all’effettivo conseguimento dei risultati per i quali il tributo camerale trova giustificazione…

In altri termini , l’innovazione normativa nel solco della visione europea, ha creato un nesso inscindibile tra la congruità del finanziamento e la duplice valenza del principio del “Buon Andamento della Pubblica Amministrazione” imposto dalla riforma dell’art.97 della Costituzione.

Un’autorevole conferma di quanto sin qui affermato deriva da recenti sentenze della Corte Costituzionale (n.188/2015, n.10/2016) che hanno dato rilievo a detto nesso..Di conseguenza . sono state considerate  legittime le riduzioni delle risorse, purché non siano tali da comportare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa e, in definitiva, non rendano insufficienti i mezzi finanziari a disposizione dell’Ente per l’adempimento dei propri compiti (sentenze n.188, n.131 e n.89 del 2015, n.26 e n.23 del 2014, n.121 e n.97 del 2013, n.246 e n.241 del 2012, n.298 del 2009, n.145 del 2008, n.256 del 2007 e n.431 del 2004).

Revisione dei criteri di determinazione, aggiornamento e ripartizione del diritto camerale

La  determinazione dell’aggiornamento, della riscossione e della ripartizione della misura del diritto camerale  è affidata (ai sensi dell’art.18, commi 4 e seguenti, della Legge n.580 del 1993) al Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentite l’Unioncamere e le organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale.  Conseguentemente, le  tariffe e i diritti di cui all’articolo 18, comma 1, lettere b), d) ed e), della Legge n.580/1993, e successive modificazioni, sono fissati sulla base di costi standard definiti dal Ministero dello sviluppo economico, sentite la Società per gli studi di settore (SOSE) Spa e l’Unioncamere, secondo criteri di efficienza, da conseguire anche attraverso l’accorpamento degli enti e degli organismi del sistema camerale e lo svolgimento delle funzioni in forma associata.

Questo meccanismo di ripartizione è superato perché i costi standard appartengono ai  meccanismi perequativi del  D.Lgs. n.68/20111 , ai quali sia l’allora Ministro dell’Economia G.Tria (Tria 18/04/2019) sia il Prof.Alberto Zanardi dell’Ufficio Parlamentare per il Bilancio (Zanardi 10.07.2019) hanno escluso la possibilità di far ricorso  perché inapplicabili per insolubili problemi tecnici. In particolare il criterio di ripartizione del gettito del diritto camerale (a carico di ciascuna Camera e nel suo complesso) non rispetta il nesso  tra congruità delle risorse disponibili e la duplice valenza del Principio del Buon Andamento perché il Ministero si trova ad essere:

  1. condizionato  dal preponderante peso della vecchia spesa storica, con l’efficacia della spesa vincolata solo ad un mero criterio incrementativo (più spendi ,più ottieni);
  2. connesso al  vecchio sistema dell’analisi ex post, gli effetti negativi vengono visti successivamente e considerati  imprevedibili e irrimediabili;
  3. incapace di coordinare i criteri  di erogazione dei finanziamenti  ministeriali  e quelli scelti in autonomia dalla singola Camera;
  4. articolato esclusivamente in schemi giuridico/burocratici legati all’uso legittimo dei mezzi finanziari, di fatto ignorando la realtà degli squilibri territoriali (non soltanto  il rapporto Nord/Sud);
  5. connesso  al   parametro  del fabbisogno/standard che risulta viziato dall’applicazione di costi medi o meccanismi di standardizzazione che prescindono dai fattori esogeni e dalle peculiarietà sociali e territoriali.

Questi effetti perversi  possono essere  eliminati dal superamento del concetto di spesa storica, richiesto al MISE dalla legge n.243/2012 che necessariamente cambia i criteri attualmente seguiti nel determinare lo spostamento   di risorse  finanziarie  da ogni singola Camera di Commercio al MISE. Il comune vincolo a parametri finanziari della P.A. fa sì che  occorre valutare se il riversamento all’erario di una quota del diritto camerale comprometta  la normale gestione dei servizi, rendendola incompatibile con il buon andamento secondo la più volte richiamata   duplice valenza. Inoltre,  attraverso  la simulazione  ex ante degli  effetti attesi  si eviterebbero   le distorsioni  dell’attuale regolamentazione che, basata sull’ex post, si limita a prendere atto di effetti non più emendabili.

Conclusioni

La causa dell’incompatibilità tra le modalità di riversamento all’Erario di una quota del diritto camerale e la prerogativa delle Camere di Commercio di realizzare in piena autonomia le finalità istituzionali è da individuare nell’arbitrarietà del prelievo statale, improntato a  criteri di riparto seguiti, peraltro del tutto superati dalla duplice valenza del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione.IN effetti l’autonomia funzionale e  l’ottimo svolgimento della gestione.

Camerale sono del tutto pregiudicati dal riversamento all’erario in concomitanza da un canto con la diminuzione delle risorse per l’introduzione del D.L. 66/2014 e L. 52/2015 e ,dall’altro, con la necessità  di nuove risorse finanziarie per far fronte alle nuove funzioni  affidate dalla riforma Madia .

In conclusione, essendo  possibile verificare ex ante per ogni singola Camera la quota parte del gettito del diritto camerale necessaria a realizzare la congruità tra risorse finanziarie e buon andamento, il MISES deve limitare la richiesta di riversamento solo alla quota di risorse  finanziarie, così  residuata in  tal modo, le Camere di Commercio avranno l’autonomia funzionale  effettiva necessaria per  al ruolo di soggettivi attivi del riequilibrio territoriale.

Claudio Leuci e Antonio Troisi

 

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