Le macerie del crollo di Mercatone Uno sono ancora fumanti ed esplode il caso Whirlpoll che chiude lo stabilimento di Napoli. Altri quattrocento posti di lavoro, oltre a mille dell’indotto, che vanno in fumo.

Tutto in una settimana, come se fossimo ormai nel cuore di una crisi greca. E tutto chiamando in causa il Mise, Ministero dello Sviluppo Economico, che aveva dato certezze del solito “piano industriale” con previsione di crescita, investimenti e sviluppo.

Nello stesso giorno, e nella stessa pagina del giornalone economico milanese, un’altra multinazionale che lascia l’Italia: Unilever che non produrrà più da noi il famoso dado Knorr. Ha scelto il Portogallo, dove il costo del lavoro è minore. Non solo le multinazionali: è saltato anche il gruppo Maccaferri che ha chiesto il concordato preventivo, una procedura pur sempre prevista dalla legge fallimentare.

Ma che cosa succede? Se continua così, visto che tutto fa capo al “governo del cambiamento”, sarà il caso di cambiare almeno il nome a questo ministero altrimenti aveva ragione quel tizio che voleva proporre una agenzia di pompe funebri dentro un pronto soccorso. E il Ministro?  Dovrebbe seguire a tempo pieno queste crisi, visto che è anche titolare del Ministero del Lavoro, un privilegio che  nessuno dei suoi predecessori ha mai avuto. Invece pare proprio di no, altrimenti dovrebbe restare nel palazzone di Via Veneto giorno e notte. D’altra parte che cosa si vuole pretendere da chi ha non solo due dicasteri ma  è anche  “capo politico” del suo partito o movimento che sia ed ha  responsabilità pure a Palazzo Chigi.

Né si può dire che il Ministro sia costretto a seguire dossier ancora più rilevanti, come ad esempio quello della colossale fusione proposta tra Fiat FCA e Renault, visto che il suo omologo francese ne parla tutti i giorni mentre da parte italiana non si è sentita una parola. Intanto assistiamo al solito ruolo del sindacato: chiede garanzie sui posti di lavoro, sottoscrive accordi, ottiene incentivi e cassa integrazione lunga e alla fine si trova con le mani in mano e chiede “con forza” il rispetto degli impegni ormai non più rispettabili.

Chi ha vissuto altre stagioni dei Ministri dell’Industria ( si chiamava così) o Ministri del Lavoro che si facevano rispettare per autorevolezza nell’agire in nome del popolo italiano, Giovanni Marcora e Carlo Donat Cattin su tutti, non può che assistere sbalordito davanti a tanto friabile esercizio delle responsabilità. A maggior ragione da parte di chi aveva annunciato agli italiani, dallo storico balcone di Palazzo Chigi, la “fine della povertà”.

I posti di lavoro che si perdono a cascata ci svelano purtroppo una realtà ingenuamente ritenuta troppo gravida di incapacità diffuse. No, non è incompetenza. E’ l’ipocrisia al potere.

Guido Puccio

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