Ecco la narrazione, chiara e fresca, di una ricca conversazione di Zygmut Bauman, il grande intellettuale polacco che ha influenzato il pensiero occidentale del Novecento. “A tutto campo” (Laterza) è un racconto di facile lettura che raccoglie gli ultimi “messaggi all’umanità” del pensatore, scomparso nel 2017, sotto la forma di un raffinato colloquio avuto con Peter Haffner e arricchito da appunti e dati biografici consegnati dallo stesso protagonista.

Il tempo che viviamo secondo Bauman è quello della paura e dell’incertezza, dove l’individuo è costretto a trovare da solo soluzioni individuali a problemi causati dai mutamenti del mondo globale sulla azione degli Stati e quindi sulle società.

Quasi dovunque, dice Bauman, in Europa la gente è stanca e nuovi movimenti sociali, “che non si sa da dove vengono, fanno grandi promesse, anche se i politici operano quasi tutti su orizzonti che non vanno al di là della data delle prossime elezioni.” Sono i populismi, che nascono dalla paura un po’ dovunque, viaggiano su dimensioni complesse e dicono solo ciò che non vogliono.

Nel mondo globalizzato i cambiamenti sono ormai una costante e ciò che solo ieri è cambiato, oggi lo vediamo cambiare ancora. Da qui la “società liquida” come i corpi che in fisica non possono mantenere a lungo la stessa forma.

Tra le conseguenze di questa situazione il potere è trasmigrato dalla politica ed oggi prevale piuttosto la società dei consumi dove il mercato ha come fine la soddisfazione del cliente: ma il cliente soddisfatto è la minaccia più grande perché il mercato ha possibilità di crescita finché dura l’insoddisfazione del cliente. Inoltre, imitare uno stile di vita che viene esaltato dai media e dai social non è più letto come una pressione che nel secolo scorso veniva dall’esterno ma piuttosto come una manifestazione di libertà.

Quando Haffner gli chiede se si sente uomo del Rinascimento, ovvero interessato a tutto ciò che è interessante sapere, Bauman sorride: no, risponde, perché “a quel tempo gli uomini avevano il vantaggio di coltivare l’idea della afferrabilità del mondo e di elaborare l’insieme delle informazioni”. Oggi questa ambizione è impensabile. Basti considerare che una sola edizione domenicale del “New York Times” contiene più bit di informazioni di quanto l’uomo del Rinascimento riceveva in tutta la sua vita. Da qui l’abbondanza di informazioni che ci condanna a sentirci sempre sotto informati.

Bauman, che ha conosciuto il nazismo ed è passato dalla esperienza dello stalinismo, in fondo è un liberale nel senso di ritenere che il valore fondamentale della libertà non può prescindere dalle strutture economiche della società. Anche se constata che l’incremento del valore della crescita economica “scivola nelle tasche dei più ricchi, cioè dell’uno per cento della popolazione ed è per questo che i ceti medi oggi rientrano nel precariato”. Per non dire dei mercati del lavoro che in larga parte del mondo sono privi di regole. La conseguenza è che il numero delle persone che perdono il posto di lavoro e vengono private della loro base di sostentamento e di sicurezza è destinato a crescere in maniera inarrestabile.

Così come per i migranti, che nel 1950 erano un milione secondo la statistica ed oggi sono sessantacinque milioni secondo i dati delle Nazioni Unite: “senza Stato, senza abitazione, senza funzione, senza documenti”. I governi da soli possono mettere in campo ben poco e non mancano quelli che alimentano pregiudizi contro stranieri ed emarginati “perché non vogliono vedere le cause vere della insicurezza esistenziale dei loro elettori”. Come un tempo avveniva per le streghe.

Il capitolo conclusivo è un invito alla speranza. Non resta che lavorare duro per alimentarla, avere orgoglio per un lavoro ben fatto, avere padronanza di un compito da eseguire, anche fosse solo quello di coltivare un fiore. E preoccuparci anche della sicurezza di altri uomini. Il futuro non può essere previsto “perché non esiste. E se esiste non è più futuro ma presente”.

Guido Puccio

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