Il voto amministrativo necessariamente si orienta sui temi progettuali più peculiari di ogni realtà locale, sui candidati in gioco, sulle storie e le dinamiche politiche, perfino, se vogliamo, su certe suscettibilità tipiche di quel particolare luogo. Eppure non è un vezzo improprio il fatto di ricercarvi sempre la traccia di un indirizzo politico generale che le vibrazioni del corpo elettorale offrono al rabdomante di turno.

Infatti, il rumore di fondo della politica nazionale è insopprimibile e funge da chiave interpretativa necessaria ad enucleare e leggere correttamente il tema di fondo che lo spartito recita ed appare costante, pur tra mille variazioni di tono. Quindi, non sarà certo questa l’occasione in cui non trarre dal voto amministrativo indicazioni ed ammonimenti di carattere politico generale. Anzi, è forse più legittimo farlo oggi che non in altri momenti, per almeno due voti.

Innanzitutto perché il dato politico generale degli ultimi tempi – dalla pandemia, al PNRR, alla guerra – è particolarmente pervasivo, impatta così violentemente l’immaginario collettivo ed, anzi, la prospettiva esistenziale e la coscienza di ognuno. In secondo luogo, perché il risultato elettorale di domenica scorsa e quello dei prossimi ballottaggi si proietta immediatamente sulla prossima consultazione politica. Alla quale si giunge, con una contiguità, tra forze politiche antagoniste, pur associate nello stesso governo, simile a quella con cui due pugili esausti si trattengono reciprocamente i guantoni in mezzo al ring.

Le indicazioni più grossolane che si possono trarre sono almeno queste. Anzitutto, l’astensionismo, anche questa volta, ancora in crescita, per quanto – a parte i referendum – meno eclatante. Le forze politiche in campo avvertono la comune responsabilità di ricercare strade che invertano questa pericolosa china oppure addirittura ci lucrano sopra, come se volessero competere rincorrendosi in discesa? Ma soprattutto la società civile – e su questo dovremo tornare a riflettere – intende assistere passivamente ad un tale fenomeno oppure pensa che anche sulla sua articolata composizione ricada la responsabilità di reagire? In secondo luogo, il fatto che, alla prova dei fatti, l’elettorato sia stato indotto ad un bagno di realtà, da cui è derivata la sostanziale e simultanea sconfitta di Salvini e di Conte.
Gli elettori della Lega, in larga misura, hanno aperto gli occhi e si sono accorti che Salvini non è la soluzione, ma il problema.

I piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti, quel diffuso e minuto ceto medio produttivo che ha rappresentato il grosso del suo elettorato, l’ha adottato come la testa di ariete adatta ad abbattere i muri della burocrazia, delle inefficienze dell’apparato pubblico, dei mille vincoli che rallentano la sua azione, ma si è accorto che, in effetti, per rilanciare davvero il Paese ed il suo protagonismo imprenditoriale, ci vorrebbe un disegno da cui Salvini è lontano mille miglia. In effetti, salvo blandire interessi particolari, settori più o meno circoscritti, corporazioni grandi o piccole, non ha sostanzialmente nulla da proporre. Ed, anzi, rischia di essere il pifferaio che accompagna i malcapitati seguaci fuori dall’ Europa, nei deserti del sovranismo o addirittura in direzione di Mosca.
Un discorso analogo vale per Conte che rimbecca di qui e di là l’azione del governo di cui fa parte, ma chiaramente al di fuori di ogni disegno che non sia una sterile ricerca di visibilità.

Insomma, è una drammatica circostanza per due partiti dichiaratamente, strutturalmente “leaderisti”, ritrovarsi senza un leader. Che tali non sono né Salvini né Conte. Tutt’al più “capi”, ma è tutt’altra cosa. Ad ogni modo, l’elettorato che nei due suddetti ha punito le mille tergiversazioni in ordine all’ aggressione russa dell’Ucraina e circa la complessiva collocazione internazionale del Paese, ha, invece, premiato, sia pure agli antipodi del sistema politico, Partito Democratico e Fratelli d’Italia, che hanno sostenuto quella linea “atlantista” che risponde al tradizionale indirizzo del nostro Paese.

Non a caso la Meloni surclassa Salvini anche nelle sue roccaforti del Nord. E Letta, se per un verso vede compromesso il “campo largo”, per altro verso attesta saldamente il PD come primo partito a livello nazionale, anche qui riscuotendo buoni risultati soprattutto nelle medie o piccole città del Nord. Peraltro, il relativo affermarsi – soprattutto grazie al partito di Calenda – di una terza posizione, diciamo pure, anche se impropriamente “centrista”, non sembra, almeno per ora, modificare sostanzialmente un quadro generale, orientato a riproporre cocciutamente quello schema bipolare che ha fortemente concorso ad ingessare il Paese.

Domenico Galbiati

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