Mons. Morandi, Vescovo di Reggio Emilia, ha posto una questione di grande interesse, che non può essere svilita – come hanno fatto taluni, imputandogli la proposta di un rinnovato “non expedit” – ma, al contrario, può alimentare una riflessione importante in ordine alle condizioni storicamente nuove secondo cui può esprimersi l’ impegno politico dei credenti. Catechista, lettore, impegnato, a vario titolo, in parrocchia o candidato alle elezioni ?

A prima vista, sembrerebbe che si voglia invocare una incompatibilità sostanziale, una sordità necessaria, opaca, strutturale tra mondo ecclesiale e partecipazione attiva alla vita delle istituzioni della nostra democrazia. Come se il “credente” ed il “cittadino” appartenessero a due sfere separate e differenti, cosicché nella stessa singola persona, nell’ interiorità della sua coscienza e nella percezione di sé stessa, si determinerebbe una dolorosa ed irrevocabile lacerazione. Come se l’attenzione, il riguardo, la cura ed il rispetto che un cattolico deve alla sua comunità di fede fosse praticabile solo a condizione di astrarsi dal mondo, dalla vita quotidiana del popolo cui appartiene, dal discorso pubblico che si impone nella vita di tutti i giorni.

In effetti, nelle parole di Mons. Morandi e nelle disposizioni che ha dato alle parrocchie della sua diocesi, è da cogliere piuttosto una considerazione ed un apprezzamento per ambedue i versanti suddetti. Tale da esigere una chiara e prudente definizione delle loro funzioni, segnalando una distinzione dei rispettivi ruoli che non è da intendere come un’ accidiosa separatezza, ma, al contrario, la condizione previa per un possibile, efficace, condiviso, libero ed autonomo orientamento al “bene comune”. In altri termini, il Vescovo di Reggio Emilia rievoca e ripropone, nelle forme pertinenti ad una condizione storica del tutto nuova, il medesimo valore della laicità dell’ impegno politico che abbiamo appreso da Don Sturzo, che, ben lungi dall’ interdirlo, ne rappresenta, piuttosto, la condizione necessaria.

Viviamo, infatti, in un contesto civile non più sostanzialmente univoco, bensì connotato dal pluralismo delle opzioni politiche dei cattolici, che, accomunate solo dall’ inefficacia sia a destra che a manca, sono spesso, troppo spesso antitetiche e proiettano tale condizione anche sul versante del discorso pubblico.

Per chi appartiene alla mie generazione, il passaggio dalla dimensione pre-politica e formativa dell’ Azione Cattolica alla militanza politica, avveniva in modo sostanzialmente naturale, stava, cioè, nell’ ordine delle cose, secondo la consequenzialità logica di un percorso pressoché scontato. Vi era tra questi due momenti una reciproca fecondazione, in un certo senso, ovvia e spontanea, che oggi va, invece, conquistata secondo un cammino critico e di consapevolezza personale più sofferto e più maturo.

Certo, il fatto che possano convivere – e, di fatto, esistono più’ di quanto forse non si pensi – nella stessa comunità parrocchiale, ad esempio, catechisti palesemente orientati, in termini politici, a destra ed a sinistra, anche secondo posture estreme dall’ una e dall’ altra parte, deve suggerire un atteggiamento di cautela, anche per evitare che si dia “scandalo”, se così si può’ dire, nel microcosmo della parrocchia. Eppure, nel segno del tempo che oggi ci è dato vivere, anche una tale polarizzazione è o potrebbe essere una ricchezza ove suscitasse – ma, forse, raramente questo accade – un impegno di discernimento. Una ricchezza per la comunità dei credenti e, nel suo ambito, in primo luogo, per gli stessi attori di questa divaricazione, che verrebbero, in un confronto fraterno, orientato dalla fede comune, chiamati a dar conto, anzitutto a sé stessi, della coerenza tra i valori che hanno ricevuto in dono, in uno con la fede, ed il loro orientamento politico. Il quale è sì libero e legittimamente plurale, ma non “ ad libitum”, bensì in quanto capace di darsi consapevolmente e criticamente conto di se’, alla luce dei principi, dei valori, dei criteri di giudizio che sono contemplati dalla Dottrina Sociale della Chiesa.

Soprattutto, tale opera di discernimento franco ed aperto, sinceramente appassionato eppure amichevole e pacato, garantirebbe alla comunità ecclesiale la capacità di offrire alla collettività un riferimento esemplare e concreto, orientato a quella condizione di libertà “vera”, come la invocava Don Sturzo, di giustizia sociale e di equilibrio di cui tutti, credenti o no, abbiamo urgente bisogno. A riprova del fatto che quando l’ orientamento verso il “bene comune” e’ sincero, schietto e condiviso, per quanto ci si inoltri per strade parallele, infine si converge e si approda ad un punto comune.

Domenico Galbiati

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