La situazione sul fronte del Covid 19 è drammaticamente precipitata nell’ultima settimana, dopo la firma dell’ennesimo inconcludente decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, senza che le misure da questo previste – e ancor meno quelle annunciate, a chiacchiere, come imminenti, “allo studio”, o “inevitabili qualora” – riuscissero in alcun modo a frenare o rallentare la vera e propria esplosione del contagio. E del resto, sin dall’intervento di Giuseppe Conte in televisione, lo scorso 18 Ottobre – immancabilmente all’ora del massimo ascolto – le reazioni erano state quasi tutte negative.

E come poteva essere differentemente?  Non solo le misure annunciate erano di fatto inesistenti. Esse erano anche caratterizzate da un netto tentativo di scaricare sui Sindaci il compito (e quindi le eventuali responsabilità penali) di controllare la cosiddetta “movida”, e di prenderne l’impopolarità che ne consegue presso quella fascia della popolazione, che non dovendo alzarsi presto la mattina per andare a lavorare, può permettersi di tirare tardi nelle ore notturne.

E poi abbiamo visto tutti la grande attenzione dedicata dal Presidente del consiglio alla questione delle Sale bingo e a quella delle palestre. Su quest’ultima, data l’enorme rilevanza che Conte evidentemente le attribuisce nella vita della Nazione, il premier si è concessa un’altra settimana, e ha poi chiesto ancora altri dieci giorni di tempo (ed ovviamente di contagi) per decidere se lo Stato possa osare imporre qualche limitazione agli emuli non solo dei fratelli Bianchi, quelli che hanno ammazzato di botte il povero Willi, ma anche di quel meno celebre personaggio che, nella sala d’attesa di un ospedale,  per un piccolo screzio, anzi  addirittura per una battuta, ha estratto e asportato “a mano” il bulbo oculare di un essere umano. Anche questa, infatti, è una tecnica che si impara in certi corsi di arti marziali.  Basta mettere il palmo della mano sulla testa dell’altra persona con le dita fermamente dietro la nuca e con il pollice spingere nell’occhio con quanta più forza si ha, prima a fondo, e poi di lato.

Pochi hanno invece notato che neanche una parola è stata dedicata ai problemi che il Covid-19 crea nei settori produttivi, nonché a quello importantissimo della distribuzione.  Nessuna traccia sembra aver lasciato nella memoria di Giuseppe Conte l’allarme, forse allora eccessivo, ma non senza fondamento, suscitato da manifestarsi, la primavera scorsa, di focolai di infezione in qualche impianto di macellazione, ed in una importante società di trasporto merci.

Né dalle autorità regionali – che così chiaramente hanno approfittato della pandemia per cercare di rubare ruolo allo Stato – , e ancor meno dall’arrendevole governo centrale a proposito della pandemia viene uno straccio di informazione. Quotidianamente, e in grande disordine vengono forniti al pubblico solo alcuni dati quantitativi aggregati, ma pressoché nulla relativamente a quali sono le attività più direttamente toccate, e più responsabili per i contagi.  Eppure, non dovrebbe essere tanto difficile capire che, se venissero investite in maniera seria le attività distributive, come è in parte avvenuto negli Stati Uniti, proprio nel settore della carne, non solo l’isolamento e le quarantene in casa diventerebbero molto più difficili, ma – con l’indisponibilità nei centri urbani dei beni di prima necessità – salterebbe in aria l’ordine pubblico.

Per mesi, il governo – come l’opposizione, peraltro –  ha pensato ad altre cose:  al referendum, alle elezioni regionali, e ai giochi di potere in genere,  e si è persino fatto vanitosamente  vanto del fatto che fino a un paio di settimane fa i numeri dei nuovi contagi Italia erano nettamente più bassi di quelli degli altri paesi europei, in particolare della Francia e dell’Inghilterra.  Ma ci si è ben guardato dal far notare come ciò sia stato in gran parte dovuto al fatto che – come accade ogni anno – nell’Europa continentale le scuole avevano riaperto due o tre settimane prima che nella Penisola, dove  dal punto di vista meteorologico la stagione estiva dura praticamente fino alla fine di settembre.

Di fronte a questa totale nullità della presentazione fatta da Conte di decreti e dichiarazioni, che venivano ad aggiungersi ad altri vecchi solo di pochi giorni ed altrettanto insignificanti,  spicca invece la presa di posizione assai ferma assunta – per una volta – dal premier sulla questione del MES: una posizione contro un “prestito” – come ha ripetutamente sottolineato Conte rifiutato da ogni altro paese, e che renderebbe l’Italia completamente dipendente dal “vincolo esterno”, cioè dalla Germania.

Non sappiamo dove il cosiddetto Capo del Governo abbia trovato l’ispirazione e l’energia per dire quello che ha detto, in parte comunque rimangiato e rimesso in dubbio un giorno a due dopo.  Ma è di un certo interesse cercare di capire le ragioni di una posizione così insolitamente ferma. Una posizione che va comunque considerata un segnale per capire in che direzione andrà l’Italia nell’immediato avvenire, dato che Giuseppe Conte, si muove sempre come uno di quegli anemometri – anticamente dette banderuole – che indicano la direzione in cui momentaneamente soffia il vento. Questa posizione, piuttosto scettica sui meriti del MES, è probabilmente assunta per analogia con l’orientamento strategico di uomini o di gruppi di qualche peso, forse all’esterno della comunità nazionale, forse dall’altro lato dell’Atlantico, dove qualcuno incomincia a guardare con un po’ di irritazione il dinamismo di Berlino nel satellizzare l’Italia.

A meno che esso non sia semplicemente frutto di un convincimento tattico dell’uomo col fazzolettino bianco sporgente dal taschino. Convincimento del fatto che, come ieri, un rapidissimo renversement des alliances lo mantenne a Palazzo Chigi, così oggi, solo non facendo nulla in un senso né nell’altro,  egli può garantire a se stesso di sedere ancora un po’ sulla poltrona in cui fu scaraventato in quel (per lui) miracoloso 2 giugno 2018.

E l’epidemia? E i 35.000 morti della scorsa primavera? E quelli che li seguiranno visto che, al 24 di Ottobre, siamo a poco meno di ventimila nuovi casi al giorno, e in Campania, in Lombardia e forse anche nel Lazio, i posti letto sono già praticamente esauriti?

“Quella non è responsabilità del governo” ha l’aria di dire Giuseppe Conte. O meglio, come da qualche giorno non cessa instancabilmente di ripetere la stampa di regime, quella è responsabilità collettiva di tutti gli Italiani. “A causa del ritmo di crescita del contagio anche le prossime settimane si preannunciano molto complesse. Non potremo in alcun modo abbassare la guardia di fronte all’avanzata del virus”, ha infatti ripetuto il premier Conte in un videomessaggio per l’Assemblea annuale di Cna, la Confederazione nazionale dell’Artigianato, usando un plurale che non è un pluralis maiestatis. “Se non proteggeremo la salute del cittadino non potremo proteggere nemmeno la nostra economia, vanno di pari passo”. Ancora una volta: ma chi siamo questi “Noi”?

Sono tutti, probabilmente, ai suoi occhi. Escluso forse lui stesso, che è occupato ad esortare gli altri. E magari esclusi un po’ anche quelli che, sapendo di non poter essere mai più rieletti, si si stanno occupando di come avere un posto di funzionario alla Camera e al Senato.

Per il resto, siamo tutti. Da quelli che, per andare a lavorare continuano (ma che ostinati!) a prendere la metropolitana o l’autobus, anche se è impossibile tenere il metro di distanza, fino a quelli che, essendosi riusciti a procurare una “prescrizione dematerializzata” hanno poi fatto fino a 14 ore di fila al drive in per fare il tampone. Da quelli che hanno già perso in primavera il loro posto di lavoro, a quelli che inevitabilmente lo perderanno nei prossimi, spaventosi mesi invernali che ci attendono.

Giuseppe Sacco

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