«Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni. La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato» (Antonio Gramsci)

Come espresso da Paolo Terenzi nell’articolo dello scorso 25 settembre, La libertà di educazione, la scuola di Stato è un patrimonio grande e prezioso che va protetto, salvato; solo che quanti difendono il monopolio statale dell’istruzione non aiutano la scuola di Stato a sollevarsi dalle difficoltà in cui versa. Nessuna scuola sarà mai uguale all’altra – un preside più attivo, una segreteria più operosa, una biblioteca ben fornita, un laboratorio ben attrezzato, insegnanti più preparati, ecc. bastano a fare la differenza. Me se nessuna scuola sarà mai uguale all’altra, non sarà allora che tutte potranno migliorarsi attraverso la competizione? In breve, non esistono forse buone ragioni per affermare che è tramite la competizione tra scuola e scuola che si può sperare di migliorare il nostro sistema formativo: la scuola statale e quella non statale?

Il monopolio statale dell’istruzione è negazione di libertà: unicamente l’esistenza della scuola libera garantisce alle famiglie delle reali alternative sia sul piano dell’indirizzo culturale e dei valori che sul piano della qualità e del contenuto dell’insegnamento.

Il monopolio statale dell’istruzione viola le più basilari regole della giustizia sociale: le famiglie che iscrivono il proprio figlio alla scuola non statale pagano due volte; la prima volta con le imposte – per un servizio di cui non usufruiscono – e una seconda volta con la retta da corrispondere alla scuola non statale.

Il monopolio statale dell’istruzione devasta l’efficienza della scuola: la mancanza di competizione tra istituzioni scolastiche trasforma queste ultime in nicchie ecologiche protette e comporta di conseguenza, in genere, irresponsabilità, inefficienza e aumento dei costi. La questione è quindi come introdurre linee di competizione nel sistema scolastico, fermo restando che ci sono due vincoli da rispettare: l’obbligatorietà e la gratuità dell’istruzione.

Chi difende la scuola libera non è contrario alla scuola di Stato: è semplicemente contrario al monopolio statale nella gestione della scuola. E questa non è un’idea di bacchettoni cattolici o di biechi e ricchi conservatori di destra, come dimostra anche la citazione di Antonio Gramsci riportata in esergo. É la giusta terapia per i mali che necessariamente affliggono un sistema formativo intossicato dallo statalismo. Scriveva Gaetano Salvemini: «Dalla concorrenza delle scuole private libere, le scuole pubbliche – purché stiano sempre in guardia e siano spinte dalla concorrenza a migliorarsi, e non pretendano neghittosamente eliminare con espedienti legali la concorrenza stessa – hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere» (“L’Unità”, 17 ottobre 1913).

Insomma, con Salvemini si trova d’accordo Luigi Einaudi allorché afferma che il danno creato dal monopolio statale dell’istruzione «non è dissimile dal danno creato da ogni altra specie di monopolio». E non è da oggi che contro le disastrose conseguenze del monopolio statale dell’istruzione si sono schierati, in contesti differenti, grandi intellettuali come Alexis de Tocqueville, Antonio Rosmini e John Stuart Mill e, dopo di loro e tra altri ancora, Bertrand Russell, Luigi Einaudi, Karl Popper, don Luigi Sturzo e don Lorenzo Milani.

Tra le diverse proposte – tese a sradicare in ambito formativo il diffuso, insensato e deleterio pregiudizio stando al quale è buono solo ciò che è pubblico ed è pubblico solo ciò che è statale – la migliore è sicuramente quella del “buono-scuola”. Idea avanzata da Milton Friedman e ripresa successivamente da Friedrich A. von Hayek e sulla quale, da noi, ha insistito negli anni passati Antonio Martino. Con il “buono-scuola” i fondi statali sotto forma di “buoni” non negoziabili (voucher) andrebbero non alla scuola ma ai genitori o comunque agli studenti aventi diritto, i quali sarebbero liberi di scegliere la scuola presso cui spendere il loro “buono”. Ed è così, che pressata nel vedere diminuire l’iscrizione alla propria scuola o vedere allievi già iscritti scappare da essa, ogni scuola sarà spinta a migliorarsi, e sotto tutti gli aspetti.

In poche parole: quella del “buono-scuola” è una misura in grado di coniugare libertà di scelta, giustizia sociale ed efficienza del sistema formativo. Una domanda ai politici di sinistra da sempre ostili all’idea del “buono-scuola”: ma quando riuscirete ad aprire gli occhi e capire che il “buono-scuola” è una carta di liberazione per le famiglie meno abbienti? E una domanda ai politici liberali e a tutti gli altri sedicenti tali: uno Stato nel quale un cittadino deve pagare per conquistarsi un pezzo di libertà è ancora uno Stato di diritto?

Dario Antiseri e Flavio Felice

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