Le parole in politica, come in altri campi, non sempre favoriscono il dialogo, cui certo oggi non siamo molto interessati- dato che preferiamo le parole-proiettile alle parole-luce, per usare i termini di Massimo Recalcati. Una delle ragioni di questo uso improprio sta nel fatto che le parole durano nel tempo immutate, si trasmettono da epoca ad epoca finendo spesso per veicolare contenuti molto diversi dagli originari, talvolta anzi opposti a quelli originari. A questo punto, nel confronto politico, la parola divenuta babelica, non è più luce e può finire per essere usata come un proiettile o una pietra: parliamo, parliamo, parliamo e non ci intendiamo mai come dice il capocomico pirandelliano del “Sei personaggi”. Di fatto poi non ci vogliamo intendere. Vogliamo dominare o “vincere”.
Nei giorni scorsi, il leader dei 5 stelle, Giuseppe Conte, ha messo in questione l’uso della parla “progressisti” e proposto la definizione di “progressisti indipendenti” per la sua parte politica, ha sentito cioè il bisogno di introdurre un attributo ulteriore per specificare il termine. Ma poi lo stesso Conte ha ulteriormente precisato che essere progressisti, per lui, significa attuare la Costituzione. Passaggio questo tanto più interessante, proprio per il fatto che il termine “progressista” non compare mai in Costituzione, come mai compare il termine “progresso”, che invece abbonda nei Trattati europei (“progresso sociale….scientifico e tecnologico” art. 3 co. 3 TUE) che sfortunatamente ( o fortunatamente?) non sono una Costituzione. Eppure la Costituzione promuoverebbe una forma di “progressismo”. Una contraddizione logica? Forse no , ma dobbiamo in via preliminare intendere a fondo i sensi del termine “progresso” e del termine “progressismo”.
Pur non essendo chi scrive un costituzionalista, direi che il termine “progresso” è di per sé un termine lontano dal linguaggio costituzionale. Manca del carattere essenziale di un testo costituzionale, quello di essere un termine certo, vincolante e generale, come quelli dei testi giuridici, ma anche un termine flessibile, capace cioè di adattarsi, senza contraddirsi, al mutare dei tempi entro cui la Costituzione deve durare, ma mai generico o tanto meno ambiguo. E per questo motivo credo non sia scritto in Costituzione.
Ma cosa si intende oggi per “progresso” ? La definizione della Treccani dice che è “ un avanzamento in senso verticale verso gradi o stadi superiori con implicito quindi il concetto del perfezionamento, dell’evoluzione di una trasformazione graduale e continua del bene in meglio…”.
Progressista sarà dunque chiunque opera per favorire l’affermazione di questo “progresso”. In Italia “progressismo” è termine di conio ottocentesco espressione del campo politico della Sinistra storica, portatrice di istanze sociali legate in prevalenza al democratismo risorgimentale e poi al socialismo di indirizzo marxista o positivista. Progressista è contrapposto a conservatore o, anche, a reazionario, i termini con cui si designano i difensori dello status quo.
I due termini nascono nell’acceso dibattito post rivoluzione francese, la rivoluzione che aveva cercato di mutare la società e non solo l’assetto politico. All’inizio del XIX secolo si parla di movimento e resistenza ( che poi diverranno progressismo e conservazione) per riferirsi agli atteggiamenti opposti di chi intendeva conservare immutata la società coi suoi privilegi e chi intendeva mutarla.
In Italia il termine è divenuto obsoleto, per poi essere riutilizzato in competizione elettorale nel 1994, oltre un secolo dopo, quando in relazione alla mutata legge elettorale ( maggioritaria) si forma l’ Alleanza dei Progressisti contro il fronte delle Destre riunite attorno a Forza Italia.
Il conflitto sociale tra classi opposte e ben definite non aveva mai reso necessario precisare ulteriormente il termine. Tutto era chiaro. “Progresso” era allora, ed è anche oggi senza dubbio l’estensione legale del diritto di voto e della partecipazione politica, la conquista di piene libertà politiche e sindacali, la riduzione della giornata lavorativa, le ferie pagate, le pensioni ed i sistemi di welfare, l’assistenza sanitaria in particolare, la separazione Chiesa- Stato e la laicità dello Stato, l’emancipazione femminile nelle sue varie declinazioni, la gratuità ed il diritto all’istruzione,gli interventi a tutela del diritto alla casa e via dicendo. Sono le questioni sociali e gli obiettivi che ancora oggi troviamo nelle dichiarazioni dei “progressisti”. Chi potrebbe contestarli tra i “progressisti”? Ma basta difenderli oggi? Basta ancora rivendicarli, senza indicare le strade nuove attraverso cui realizzarli o le nuove modalità che essi assumono? Come mai una volta al governo chi sostiene quegli obiettivi ha difficoltà a realizzarli? i
Le cose sono enormemente cambiate negli ultimi decenni, nell’età della fine della politica, del tecno-liberismo, della tecno-scienza, della società liquida o “società dell’astrazione” , della crisi finanziaria degli Stati, della crisi ecologica, dell’avvento dell’ Intelligenza artificiale e, da ultimo, del ritorno della guerra come evento ordinario e forse anche permanente . Sono comparsi aspetti nuovi entro lo stesso “progresso” aspetti che evidenziano i “lati oscuri” che sinora non vedevamo e continuiamo a non vedere.
Cosa sta succedendo ? Tanti anni fa notò Gunhter Anders, nel testo del 1956, L’uomo è antiquato qualcosa che ci può illuminare in merito:
“Come un pioniere, l’uomo sposta i propri confini sempre più in là, si allontana sempre più da sé stesso: si “trascende” sempre di più e anche se non s’invola in una regione sovrannaturale, tuttavia, poiché varca i limiti congeniti della sua natura, passa in una sfera che non è più naturale, nel regno dell’ibrido e dell’artificiale”.
Nella nostra “trascendenza secolarizzata” una volta che siamo entrati, grazie a questo “progresso”, entro la “sfera dell’ibrido e dell’artificiale” dobbiamo affrontare problematiche nuove. E quali sono queste problematiche?
Se andiamo alle radici del concetto di “progresso” è agevole constatare che il progresso illuministico e moderno ha le sue radici nell’ umanesimo italiano e nella rivalutazione della dignità dell’ uomo. Nella celebre Oratio de dignitate hominis ( 1468) Pico della Mirandola affermava la grandezza e la dignità umana legandola alla peculiarità che contraddistingue la persona umana tra le altre creature . Peculiarità che sta nel fatto di essere l’unica creatura cui è lasciata la libertà di scegliere la propria collocazione nel mondo e addirittura di determinare i limiti della propria natura, una libertà che non appartiene né agli animali né agli spiriti superiori, per Pico . Ma, dovremmo precisare meglio: anche una libertà “faustiana” di andare oltre se stesso di protendersi verso l’ oltre-uomo, verso l’ Ubermensch di Nietzsche? Una libertà di muoversi senza ostacoli entro territori inesplorati, sconosciuti e al limite non conoscibili sino in fondo ? Questo il rischio implicito nella asserzione coraggiosa del grande umanista.
Messa da parte, nella modernità la trascendenza religiosa, l’uomo infatti non smette affatto di rivolgersi ad una trascendenza diversa o di cercare di crearla in proprio. Lo ha intuito perfettamente Gunther Anders, interrogandosi sul progresso in relazione alla bomba atomica, come dimostra la citazione sopra enunciata.. Ma noi potremmo sottoscriverne le parole in relazione ad una Intelligenza Artificiale che pare dominare l’uomo o anche al fenomeno della “guerra permanente ed ibrida” in cui i confini tra terrorismo e guerre convenzionali sembrano ormai inesistenti. (Segue)
Umberto Baldocchi