Dall’ Associazione e dal Manifesto. Attraverso l’Assemblea costituente, fino alla forma organizzata del nuovo soggetto politico, il percorso intrapreso da Politica Insieme può e deve accelerare il passo purché i tempi e le fasi che via via si devono inanellare l’una nell’altra, vengano scandite secondo una successione che sia appropriata dal punto di vista cronologico, ma sia soprattutto logica e politicamente conseguente.
In altri termini – intanto che procede il lavoro di elaborazione del programma si deve procedere, diciamo così, a “fidelizzare” – per quanto ancora non si tratti di un atto di formale “iscrizione”, nel senso classico del termine – gli amici che, avendo espressamente sottoscritto il Manifesto o concorrendo di loro stessa iniziativa al lavoro dei “gruppi di programma”, hanno di fatto manifestato una adesione convinta ed operativa al nostro percorso. E’ un lavoro che in Lombardia intendiamo sviluppare per aree provinciali e cominciamo da Brescia.
Significa, cioè, identificare coloro che intendono dotarsi di una, sia pure ancora informale, rappresentanza territoriale.
E’ vero che siamo nell’era dei “social”, strumenti oggi indispensabili, purché incardinati in una struttura che abbia, in ogni caso, un radicamento nella fisicità “reale” di un territorio che è sempre e comunque più ricco e più vero di quanto non possa contemplare la “virtualità” della rete.
Vale anche qui il principio dell’ “incarnazione” – se possiamo permetterci un simile linguaggio – nella materialità polimorfa, contraddittoria, a tratti bruta, ma pur sempre concreta di un riferimento locale. Se ci affidassimo solo alla “virtualita'” forse saremmo meno prosaici e più effervescenti, ma “effervescenza”, in tal caso, farebbe rima con “evanescenza”. Provare per credere: basta guardare a Lega da una parte; Movimento 5 Stelle – caduche e cadenti come la notte di San Lorenzo – dall’altra.
Quando ci occuperemo, più da vicino, della struttura operativa del nuovo soggetto politico, dovremo studiare un appropriato mix tra “territorio” e “rete”. Per ora si tratta di andare avanti e riconoscere come i processi politici abbiano una loro ineluttabile dinamica interna la cui progressività va rispettata.
Se ci si ferma si arretra.
Ancor peggio, se ci si lascia prendere la mano da discussioni più o meno strategiche e capziose, con il risultato di impantanarsi in una trincea fangosa dove, ad un certo punto, perfino il fuoco amico ti può ferire. Meglio una sortita e procedere oltre.
Del resto, natura e fisionomia del nuovo soggetto politico devono fare i conti con una stagione storica che non ha più nulla a che vedere con i classici e tradizionali partiti di massa di matrice ottocentesca. Questi ultimi non torneranno, né potrebbero funzionare, ma soprattutto non servono secondo la dimensione e la complessità d’apparato che abbiamo conosciuto e sperimentato in altre stagioni, quando, peraltro, esattamente questi caratteri oggi improponibili e addirittura controproducenti, hanno, invece, rappresentato la forza di quelle grandi formazioni popolari.
Insomma, ogni cosa a suo tempo. Dovremo tornare su questi temi. Ed insistervi con la dovuta attenzione, se – in vista dell’ assemblea costituente – vogliamo partire con il piedi giusto.
Quello, però, che, almeno a mio avviso, va detto subito è che per noi la vera sfida non è tanto “partito si’-partito no”, ragionando secondo parametri superati, quanto la capacità o meno di costruire una forma di presenza politica organizzata che risponda ad un criterio, quanto più possibile, di collegialità e si proponga, sul piano del metodo, come esempio di modello alternativo al partito leaderistico e carismatico.
Respingere e contraddire quest’ ultimo significa anche sviluppare una certa azione di pedagogia democratica nel Paese. Incominciamo, quindi, anche a dire quello che rifiutiamo di essere: serve a definire meglio il campo del nostro confronto e della nostra riflessione.
Del resto, il partito “personale” – a parte i guai che ovunque si collochi, a destra o a manca, reca inevitabilmente con sé – è anche eticamente un equivoco in cui non cadere.
Infatti, se ci si fa caso, è una gabbia da cui, una volta catturati, ci si può liberare solo in due modi: o soccombendo con il capo, quando la sua parabola volge all’inedorabile declino, oppure tradendolo, esercizio tanto poco commendevole quanto largamente abusato.
Domenico Galbiati

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