La “dignità”, come l’ ha posta il Presidente Mattarella, nel cuore del discorso di insediamento, davanti al Parlamento in seduta congiunta, non attiene solo l’occasionalità’ di un momento sia pure così alto e rilevante dal punto di vista istituzionale.

Se si rilegge attentamente, con l’attenzione dovuta e necessaria ad entrare nel contesto tematico di parole soppesate con cura, ci si accorge di essere di fronte ad una vera e propria “categoria interpretativa”. Cioè ad un criterio di possibile discernimento e di indirizzo che ci può consentire di cogliere, nella selva intricata e confusa delle mille istanze e delle illimitate opzioni che si rincorrono, la traccia di un cammino in grado di condurre ad una sintesi costruttiva ed efficace le linee architettoniche di un nuovo edificio sociale e politico-istituzionale.

In questo senso, il discorso del Presidente è stato fortemente, intrinsecamente “politico”. Non certo, nel senso del “prendere parte” o dell’ interferire, bensì mostrando come sia necessario alzare, alzare di molto l’asticella delle sue aspirazione, della fiducia in sé stessa, della consapevolezza del suo compito perché la Politica riguadagni la nobiltà che pur sempre, anche quando s’ingrotta nell’inerzia, di per sé le appartiene. Lo sa il Cielo quanto abbiamo bisogno – superate, storicamente implose le vecchie categorie – di vederne maturare di nuove, di guadagnare, cioè, uno sguardo limpido per poter leggere, comprendere, interpretare la fase nuova che la storia ci propone.

Non si tratta di assecondare un concetto astratto secondo cui “teorizzare” nuovi modelli di convivenza civile, ma, piuttosto, di assumere un asse che sia in grado di orientare, sul piano concreto della fattualità quotidiana, un’azione politica strutturata, capace di ispirare e sorreggere un processo di rinnovata condensazione di quella liquidità ingovernabile, viscida e sfuggente che lamentiamo come cifra che caratterizza e segna il nostro tempo.

La dignità, infatti, la dignità della Vita, anzitutto – assunto ben più ricco e coinvolgente di quanto non sia la mera “qualità” della Vita – può essere detta in una varietà di modi, in una molteplicità di accezioni culturali ed in una pluralità di direzioni – nelle quali non a caso si inoltra, con rara efficacia, il pensiero del Presidente – che né si contraddicono né si escludono a vicenda, bensì reciprocamente si tengono e, prese le mosse da una sorgente comune, ricompongono l’ampio ventaglio, in cui pure si articolano, in un comune approdo.

La “dignità”, correttamente intesa, assume la fisionomia e l’intensità di un programma: suppone la libertà, esige la giustizia, rifiuta l’abisso di diseguaglianze in cui rischiamo di affondare. Come il “bene comune”, la dignità della persona e della vita non si può tagliare a fette, cosicché via via si assottigli o vada ad esaurirsi, come se dovessimo distribuirne coriandoli o briciole a ciascuno. Al contrario, essendo un bene indiviso ed indivisibile, quanto più la si promuove, tanto più si incrementa e cresce, contagia nuovi ambienti, abita spazi sempre meno angusti, in un processo che, da una certa soglia in poi, si autoalimenta.

La dignità ha a che vedere con lo sguardo che proiettiamo sulle cose del mondo, là, fuori di noi, con l’incessante ricerca del senso compiuto cui ricondurre gli eventi che fanno, giorno per giorno, la storia, con la ricchezza, dunque, che vi ravvisiamo e con il rispetto, che, quindi, dobbiamo riconoscere loro. Ha a che vedere, ancor più, con lo sguardo che riverberiamo su noi stessi. E’ il fondamento di quella elementare “autostima” che, perfino nei momenti meno felici, dobbiamo pur coltivare, se vogliamo che i gesti che poniamo in essere siano consistenti, cioè non contradditori e sparpagliati, ma coerenti, almeno distribuiti su canovaccio che li componga in un disegno sensato.

Siamo entrati in una stagione inedita e straordinaria nella quale, per la prima volta, almeno in una forma talmente pervasiva, l’uomo è, ad un tempo, soggetto ed oggetto della propria azione. Lo sguardo che rivolgiamo a noi stessi ha bisogno di un più rispetto, di una più ricca consapevolezza della dignità che ontologicamente ci appartiene, perché è uno sguardo che non si limita ad osservare e descrivere, ma ci trasforma. E’, in fondo, la lezione e la sfida alla nostra responsabilità che ci recano, ad esempio, le biotecnologie e le mille modalità applicative che ci offrono.

La dignità concerne la dimensione sacra della vita e la dimensione profana. Tutt’uno con ciò che, nel profondo della vita di ognuno è intangibile e, nel contempo, esige di abitare ogni comportamento nell’immediata contingenza degli accadimenti che, incessantemente, si inanellano l’uno nell’altro. Riguarda la vita in quanto “dono” ed è ugualmente donata a tutti, mai concessa, ma originariamente propria a credenti e non credenti. Attraversa la dimensione immanente della vita e ne testimonia la trascendenza.

Tradotta sul piano politico, molto ha a che vedere con quelle parole sulla società, anzi sullo Stato del “valore umano” che stavano a cuore al Presidente Moro, fin dai suoi anni giovanili. Quel “valore umano”  più ricco e più diffuso di quanto comunemente pensiamo. Quanto più è vero e tanto più è discreto; sta spesso nascosto nelle pieghe di una società che ha perso la sensibilità necessario a sentirlo, ad intercettarlo nella vita di tutti i giorni.

Il Presidente Mattarella ci ha trasmetto una lunga, puntigliosa indicazione degli ambiti in cui si attesta e matura la dignità, degli spazi in cui è negata, dei luoghi in cui deve trovare una nuova cittadinanza. Anche la politica trarrebbe grande giovamento da un’indagine puntuale che ciascuno può fare da sé, rintracciando nelle proprie esperienze, soprattutto professionali, quei campi in cui la dignità delle persone è apparsa violata o piuttosto ha arricchito un orizzonte altrimenti oscuro.

Domenico Galbiati 

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