Viviamo in un tempo contrassegnato dalla “crisi”, nella quale io leggo soprattutto una situazione di “aporia”. Aporia come incertezza, come non comprendere e non sapere, come non saper dire né decidere, fare delle scelte… E questo proprio perché mancal’operazione faticosa epaziente deldiscernimento, della lettura dei segni dei tempi e delle urgenze emergenti oggi nel nostro mondo globalizzato,occidentale ed europeo. E cosa osserviamo in quest’ora?
Un’incapacità dei cattolici di stare nella polis, un’afonia dovuta a un’astenia della loro fede, ma anche a un
allontanamento, ormai consumatosi, dall’impegno politico cristianamente ispirato. Come ha scritto Severino Dianich, «l’attuale insignificanza dei cattolici inpolitica è il sintomo diun avvenuto scollamentodella vita di fede del credente dalla percezione delle sue responsabilità politiche».

Va detto che ilaicicattolici sono stati delegittimati e di fatto sostituiti da soggetti ecclesiastici che, negliultimi anni del secolo scorso eneiprimi annidel nostro, hanno avocato solo a sé il discernimento sulla situazione sociale, culturale e politica italiana, fino a intervenire direttamente in materie la cui competenza sarebbe appartenuta di diritto ai laici stessi. Così s’è negata ai laici cattolici la possibilità di essere cristiani maturi, adulti, cristiani appartenenti a un popolo “regale”. E s’è spenta la loro presenza, s’è zittita la loro voce, non permettendo loro di esprimere la capacità
di testimonianza nella polis.

Ora,se è vero che «laChiesa», come più volte ha ricordato Benedetto XVI, «non è e non intende essere un agente politico», spetta invece ai cittadini cattolici una funzione immediata nelpartecipare in prima persona alla vita pubblica «senza abdicare alla molteplice e svariata azione economica, sociale, legislativa, amministrativa e culturale, destinata a promuovere il bene comune».

Quali  sono le modalità in cui tale partecipazione può avvenire?

Un’ipotesi che, in questi ultimi anni, si manifesta tramitela voce di figure autorevoli del laicato cattolico e anche della gerarchia è quella di rifondare un partito d’ispirazione cattolica. Ne ha parlato, in più occasioni, Gastone Simoni, vescovo emerito di Prato: «Mi parrebbe venuta l’ora per stringere i tempi e arrivare all’evento fondativo di un nuovo soggetto politico». Non si tratta di fondare un partito cattolico,ma «della nascita di  un nuovo partito democratico di piena ispirazione cristiana che, come tale, sia impegnato a tradurrelaicamente e democraticamente l’intera gamma dei valori personalistici e comunitari propri della visione antropologica-storica che Paolo VI sintetizzava, nella
Populorum progressio(nn. 42-43),come “lo sviluppo di tuttol’uomo e di tutti gli uomini”».

Si auspica la  partecipazione alla politica da parte di cattolici, attraverso «un partito promosso certamente da cattolici ma aperto ad altri purché non avversi ai fondamentali valori dell’“umanesimo integrale”». L’esito potrà essere «un fatto più o meno piccolo, minoritario, sì, ma non insignificante di testimonianza cristiana in questomomento di emarginazione del pensiero e dello spirito cristiano». Sempre secondo Simoni, questo soggetto dovrà superare, in modo deciso, «quella divisione tra i “cattolici della morale” (o dei valori cosiddetti non negoziabili) e i “cattolici del sociale”,secondo quanto più volte ha detto e richiesto il cardinale Bassetti», presidente della Cei.

In questo stesso solco, va segnalata, più di recente, la pubblicazione di un Manifesto per la costruzione di un soggetto politico “nuovo” d’ispirazione cristiana e popolare,già sottoscrittodacentinaiadipersone, gruppi e associazioni, tra cui Politica Insieme, di cui fa parte Stefano Zamagni, capo della Pontificia accademia
delle scienze sociali.

Questa è un’ipotesi, una scommessa, versola quale va ilmio rispetto, anche se vi ravviso alcune ingenuità nella concreta possibilità di realizzazione. Credo, infatti, che oggi non sia sufficiente convocare, radunare ma, se si vuole compiere un’operazione politica efficace e duratura, occorre dedicare molto tempo alla formazione, a un cammino ecclesiale e nella polis di ascolto attento e continuo di ciò che emerge dalla convivenza sociale.

L’altra ipotesi, peraltro ancora da precisare, è quella di un Sinodo per l’Italia. La sinodalità non è un’opzione possibile,ma è la forma in cui vive la Chiesa, la comunità cristiana. Si tratta di camminare insieme per leggere insieme il cammino percorso, per discernere i segni dei tempi e ciò che è urgente secondo l’egemonia del Vangelo, per decidere e operare insiemenella storia enellaconvivenzaumana.

Se questo è il cammino,ben distante dalle preoccupazioni di un partito di ispirazione cattolica, occorrerà avere come
obiettivo un impegno diretto nella politica da parte dei cristiani, nella consapevolezza che ciò appartiene alla
testimonianza cristiana ed è un dovere che non può essere evaso, quale segno concreto della differenza cristiana nella compagnia degli uomini.

Proprio in questo alveo della sinodalità,da almeno trent’anni, ossia dall’ora della grande crisi apertasi riguardo alla partecipazione dei cattolici alla vita politica, ho proposto una via concreta che permetterebbe una polifonia di voci e azioni ispirate da una stessa fede.

Contro ogni tentazione di integralismo e di ricerca di una presenza “occupante” nella politica, a mio avviso i cattolici dovrebbero imparare ad abitare lo spazio in cui regna Cesare senza per questo renderlo uno spazio teocratico.  Finita la stagione della cristianità, finita la stagione del partito cattolico ed esauritosi il “progetto culturale”, occorre iniziare un nuovo percorso che può solo realizzarsi mediante una prassi ecclesiale vissuta a livello di comunità cristiane e di chiese locali.

Laproposta è,dunque,quella di dare vita nelle nostre chiese locali, diocesane o regionali, a uno spazio al quale tutti i cattolici possano essere convocati e quindi partecipare. Non un’assemblea dei soliti scelti o eletti in base all’appartenenza ad associazioni o istituti pastorali,ma un’assemblea realmente aperta a tutti,che sappia convocare uomini e donne muniti solo della vita di fede,della comunione ecclesiale,della consapevole collocazione nella compagnia degli uomini.

Questo sarebbe un confronto in cui si esaminano i problemi che si affacciano nella vita del Paese e si cerca
di discernere insieme le ispirazioniprovenienti dal primato del Vangelo. Da questo ascolto e confronto reciproco possono emergere convergenze pre-politiche, pre-economiche,pre-giuridiche che confermanol’unità della fede ma lasciano la libertà della loro realizzazione plurale insieme ad altri soggetti politici nella società.

Un forum, dunque, uno spazio pubblico reale in cui pastori e popolo di Dio, in una vera sinodalità, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle Chiese e facciano discernimento per trarre indicazioni e vie di testimonianza, di edificazione della polis e della convivenza buona nella giustizia e nella pace.

Qui si possono delineare le istanze evangeliche irrinunciabili, che poi i singoli cattolici con competenza e responsabilità tradurranno in impegni concreti.Così sarebbe assicuratal’unitàdell’ispirazione evangelica, ne sarebbe garantita l’autenticità, senza tentazioni di integralismo,dando vita–come dice Francesco– a«una polifonia ispirata a una stessa fede e costruita con molteplici suoni e strumenti».

Enzo Bianchi

Fondatore della Comunità di Bose