Sangue infetto e risarcimento dei danni sono parole che si leggono ancora troppo spesso sulle pagine di giornale o all’interno di siti web specializzati.

Numeri alla mano, i casi di persone che hanno contratto una grave infezione come l’epatite C o il virus dell’HIV a causa di una trasfusione di sangue infetto sono davvero tanti.

A oggi il numero di controlli a cui viene sottoposto e analizzato ogni singolo centilitro di plasma è elevato,  ogni singola sacca di sangue viene sottoposta ad un check scrupoloso e attento. Il rischio di contagio da sangue infetto a seguito di una trasfusione è molto più limitato rispetto a quanto visto nei decenni scorsi.

Tuttavia, anche se oggi i casi segnalati non sono molti, dobbiamo ricordare che le vittime di sangue infetto mostrano i primi segnali dopo un lungo periodo di latenza, tuttavia la legge tutela i soggetti contagiati con un risarcimento per i danni da trasfusione di sangue infetto.

Occorre ricordare che le persone contagiate da sangue infetto si possono idealmente suddividere in 3 categorie:

  • trasfusi occasionali, contagiati in occasione di un incidente stradale, parto o operazione chirurgica che hanno reso necessaria una o più trasfusioni;
  • trasfusi abituali quali talassemici, che per sopravvivere hanno bisogno di continue trasfusioni di sangue;
  • coagulopatici, cioè persone con problematiche di coagulazione del sangue, come emofilici o affetti dalla malattia VonWillembrand e altre patologie similari.

In effetti,non esistono dati ufficiali su quanti siano gli italiani danneggiati da una trasfusione.

Il Comitato Vittime Sangue Infetto parla di 80-200mila tra gli anni ’60 e ’90 e si tratta di una stima attendibile in quanto risultato di anni di indagini svolte con il contributo delle varie Associazioni, degli studi legali e in relazione alle domande pervenute al Ministero della Salute per ottenere i benefici della legge 210/92, che prevede un indennizzo per chi è stato danneggiato.

Da quegli anni ad oggi, una parte di queste persone è morta. Altre sono invece in vita. malate e in attesa di un risarcimento che non arriva mai.

Ad oggi, sono oltre 7.000 i danneggiati da emotrasfusione che hanno inoltrato istanza di transazione dei giudizi intentati che, tuttavia, non sono ancora arrivati alla  conclusione.

Una grave criticità contro la quale il Comitato combatte fin dal 2007 ossia dalla data della  sua fondazione a Torino, in concomitanza con l’emanazione delle leggi 222/07 e 244/07, introdotte nel nostro Ordinamento proprio al fine di risarcire il maggior numero possibile degli aventi diritto e porre fine al contenzioso con il ministero della Salute attraverso una maxi transazione.

Ma di quel risarcimento atteso a lungo non vi è alcuna traccia (!!)

Secondo Monica Trapella e Sandra D’Alessio, rispettivamente presidente e vicepresidente del Comitato è necessario avere una risposta in tempi rapidi che possa porre fine a questa triste vicenda che lede la dignità delle Vittime e dei loro familiari..

Certo nessuna somma potrà risarcire i danneggiati in vita o peggio gli eredi delle Vittime, ma almeno potrebbe garantirebbe un’esistenza dignitosa e consentirebbe agli ammalati di potersi curare adeguatamente e fruire di cure specialistiche a proprie spese.

Il Comitato sottolinea che,” pur essendo consapevoli della difficile situazione economico e finanziaria del Paese, non si possono ignorare gli enormi sprechi perpetrati ogni giorno nella Sanità, ma, nonostante ciò, siamo disposti a trattare ma nel rispetto dell’equità e della dignità dei malati”

La denuncia del Comitato è arrivata fino a Bruxelles, in occasione di una conferenza stampa svoltasi il 23 marzo 2011 presso il Parlamento Europeo, che approvò anche una dichiarazione scritta sulla necessità di garantire adeguati risarcimenti alle vittime da sangue infetto, ma neppure tale sollecitazione è stata accolta dai Governanti Italiani..

Va sottolineato che nel  2004  lo Stato, dopo una lunghissima trattativa, ha concluso una transazione con circa 800 emofilici, che rinunciando alle cause in corso, hanno ricevuto dal Ministero della Salute cifre comprese tra 388.000 euro e 464.000 euro per i soggetti viventi e la somma di euro 619.000 per gli Eredi di coloro che nel frattempo erano purtroppo deceduti.

Le leggi emanate nel 2007 avrebbero dovuto condurre all’estinzione del contenzioso relativo alle cause di risarcimento del danno da sangue infetto instaurate contro il ministero della Salute dai danneggiati di tutte le categorie citate e pendenti, tuttavia, nonostante circa 7.000 soggetti abbiano inoltrato, attraverso i propri Legali, istanza di transazione, l’iter amministrativo non si è affatto concluso.

Peraltro, i moduli transattivi avrebbero dovuto essere redatti, per legge, in analogia e coerenza con i criteri transattivi già fissati per i soggetti emofilici dal decreto del ministro della Salute del 3 novembre 2003.

Nondimeno, la proposta transattiva formulata dal Ministero della Salute non era stata redatta in analogia e coerenza con i criteri applicati nel 2004 e le cifre messe a disposizione erano state ridotte ed, in alcuni casi, sono apparse quasi offensive in relazione alle patologie contratte e conseguenti danni patiti dai malati..

Come se non bastasse in relazione alle cifre offerte, venivano introdotte differenziazioni tra categorie di malati.

Inoltre l’Avvocatura dello Stato sostenne l’esclusione dei danneggiati considerati ‘prescritti’ ovvero di coloro che non avevano iniziato le cause di risarcimento entro il termine di 5 anni dall’inoltro della domanda di indennizzo ex lege 210/92 o di coloro che erano stati trasfusi prima del 1978.

Associazioni e Legali hanno avanzato proposte di modifica e il Consiglio dei Ministri, aveva avviato l’esame di un nuovo decreto-legge, che, sanando il contenzioso e superando i ritardi  della procedura amministrativa, attribuiva un indennizzo straordinario, rateizzato ai soggetti che avevano presentato istanza di transazione entro il 19 gennaio 2010 ma purtroppo anche tale decreto è rimasto nei cassetti.

Nel frattempo il contenzioso è proseguito e-secondo il Comitato ”sono migliaia le cause, in sede civile, nelle quali il Ministero è stato condannato ripetutamente per aver omesso ai propri doveri di sorveglianza in ordine alla circolazione del sangue e degli emoderivati e per aver provveduto con ingiustificato ritardo ad evitare l’accaduto”.

In sede penale sono stati avviati numerosi giudizi, con capi d’accusa che vanno dall’epidemia colposa a quella dolosa aggravata dall’evento, nei quali il Ministero si è addirittura costituito parte civile nei confronti delle case farmaceutiche, mentre in sede amministrativa vi sono stati avviati giudizi per i ritardi connessi all’iter transattivo.

E così la battaglia va sempre avanti anche perché, grazie ad internet (blog, social network, ecc..), il Comitato è divenuto luogo virtuale d’incontro dei tanti danneggiati, che finalmente hanno trovato il modo per confrontarsi non solo sulle loro patologie, ma anche sul riconoscimento dei propri diritti lesi..

Oggi curarsi in Italia è divenuto un lusso, soprattutto per chi a causa della malattia non trova un lavoro o non è in fisicamente in condizioni di lavorare e quindi attende il riconoscimento dei propri diritti lesi.

Per fortuna, è intervenuto in questi giorni un nuovo orientamento della Suprema Corte di Cassazione sulla importante questione dell’accertamento del diritto all’indennizzo..

Le Sezioni Unite Civili della Cassazione, con Sentenza n. 19129 del 06/07/2023,   decidendo su questione oggetto di contrasto giurisprudenziale, hanno affermato i seguenti principi:

«a) nel giudizio risarcitorio promosso nei confronti del Ministero della Salute in relazione ai danni subiti per effetto della trasfusione di sangue infetto, il verbale redatto dalla Commissione medica di cui all’art. 4 della legge n. 210 del 1992 non ha valore confessorio e, al pari di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale, fa prova ex art. 2700 cod. civ. dei fatti che la commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati dalla stessa compiuti, mentre le diagnosi, le manifestazioni di scienza o di opinione costituiscono materiale indiziario soggetto al libero apprezzamento del giudice che, pertanto, può valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non può attribuire allo stesso il valore di prova legale;

b) nel medesimo giudizio, il provvedimento amministrativo di riconoscimento del diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992, pur non integrando una confessione stragiudiziale, costituisce un elemento grave e preciso da solo sufficiente a giustificare il ricorso alla prova presuntiva e a far ritenere provato, per tale via, il nesso causale, sicché il Ministero per contrastarne l’efficacia è tenuto ad allegare specifici elementi fattuali non potuti apprezzare in sede di liquidazione dell’indennizzo o sopravvenute acquisizioni della scienza medica, idonei a privare la prova presuntiva offerta dal danneggiato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza che la caratterizzano;

c) nel giudizio di risarcimento del danno il giudicato esterno formatosi fra le stesse parti sul diritto alla prestazione assistenziale ex lege n. 210 del 1992 fa stato quanto alla sussistenza del nesso causale fra emotrasfusione e insorgenza della patologia ed il giudice del merito è tenuto a rilevare anche d’ufficio la formazione del giudicato, a condizione che lo stesso risulti dagli atti di causa.».

In sintesi,la Cassazione ha richiamato il principio di diritto enunciato dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza 11 gennaio 2008 n. 577  in base ala quale “il verbale redatto dalla Commissione, al di fuori del procedimento amministrativo nel quale si inserisce, ha il medesimo valore di ogni altro atto redatto da pubblico ufficiale e, pertanto, fa piena prova, ex art. 2700 cod. civ., dei fatti che la Commissione attesta essere avvenuti in sua presenza o dalla stessa compiuti, mentre non costituisce una prova legale quanto alle valutazioni, alle diagnosi, alle manifestazioni di scienza o di opinione, espresse dall’organo tecnico, che il giudice può apprezzare, senza, però, attribuire alle stesse il valore di vero e proprio accertamento”.

Le SS.UU. hanno pure sottolineato che “la diversità fra il diritto al risarcimento del danno ed il diritto all’indennizzo ex lege n. 210 del 1992 atteso che in ambito assistenziale e previdenziale le deliberazioni collegiali mediche, quale che sia la loro natura, sono prive di efficacia vincolante, sostanziale e processuale, in quanto meramente strumentali e preordinate all’adozione del provvedimento di attribuzione o negazione della prestazione richiesta”.

La Suprema Corte ha pure rilevato che tale orientamento, seguito senza oscillazioni nel successivo decennio, è stato ritenuto da Cass. 15 giugno 2018 n. 15734 inapplicabile nel caso in cui l’azione risarcitoria venga proposta nei confronti del Ministero della Salute, perché in detta fattispecie, nella quale le parti del giudizio coincidono con quelle del procedimento amministrativo, l’accertamento è imputabile allo stesso Ministero, che lo ha espresso per il tramite di un suo organo( la Commissione Medica, Ndr), e, pertanto, nel giudizio di risarcimento del danno il giudice deve ritenere «fatto indiscutibile e non bisognoso di prova» la riconducibilità del contagio alla trasfusione” (Sic!!).

La importante sentenza riapre, quindi, la strada per un indennizzo decoroso da parte dello Stato non più rifiutabile o rinviabile agli emotrasfusi rimaste Vittime incolpevoli dell’accaduto nelle corsie ospedaliere.

In molti si sono chiesti, come è possibile richiedere un indennizzo a seguito di una errata trasfusione di sangue infetto.

In particolare, si chiede se il rimedio risarcitorio presuppone un fatto illecito e può trovare applicazione solo qualora il trattamento sanitario sia stato in concreto attuato senza adottare le cautele o omettendo i controlli ritenuti necessari sulla base delle conoscenze scientifiche.

Va chiarito, sul punto, che la richiesta di un indennizzo, nei casi di lesione irreversibile derivata da emotrasfusioni o dalla somministrazione di emoderivati (diversa è la ratio dell’istituto nell’ipotesi di vaccinazione obbligatoria), trova il suo fondamento nel dovere di solidarietà sociale prescritto dall’art. 2 Cost. e, «in un’ottica più avanzata di socializza zio ne del danno incolpevole», valorizza i principi desumibili dall’art.38 Cost., quanto alla protezione sociale della malattia e dell’inabilità al lavoro, chiamando la collettività a partecipare, nei limiti delle risorse disponibili, al ristoro del danno alla salute che, altrimenti, rimarrebbe esclusivamente a carico del danneggiato.

Con le leggi attualmente in vigore, a seguito di una trasfusione di sangue infetto, è possibile richiedere, quindi, un indennizzo allo Stato anche in base alla sentenza innanzi citata.

Per ottenere tale indennizzo è necessario che venga riconosciuto il nesso di causalità tra la trasfusione di emoderivati e l’insorgenza dell’infezione.

Nulla quaestio se tale nesso risulta dagli accertamenti svolti dalla Commissione Medica ministeriale.

Un dettaglio da non sottovalutare è anche quello che se, in conseguenza al danno da emotrasfusione la persona lesa decede, anche i parenti hanno diritto ad essere risarciti

Ci sono molti casi, molte storie giudiziarie, di malagiustizia da narrare con alcune eccezioni….

Una tra queste, a titolo esemplificativo, ha  stabilito che lo Stato dovrà risarcire gli eredi di un uomo di Caserta che nel 1989, contrasse l’epatite C in seguito a una trasfusione di sangue infetto.

All’epoca l’uomo ricevette delle trasfusioni, durante un intervento chirurgico eseguito presso l’ospedale Maddaloni; anni dopo analisi approfondite rivelarono che aveva contratto l’epatite virale di tipo C, comunemente conosciuta con l’acronimo Hcv. A seguito di complicazioni, l’uomo morì nel 2009.

Gli eredi hanno così deciso di agire per la richiesta dei danni che il proprio familiare ha subito in vita e per il danno da perdita del rapporto parentale.

Il Tribunale adito, concluso l’iter processuale, ha emesso una sentenza che ha dato ragione alla famiglia e ai suoi cari ed ha condannato il Ministero della Salute al pagamento di circa 850mila euro circa.

Ma con il pronunciamento della Suprema Corte siamo solo all’inizio di un nuovo orienta mento dei Giudici diretto a rendere Giustizia agli emotrasfusi, com’è giusto che sia e senza tante discussioni, lungaggini o inutili attese.

Mario Pavone

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