60 anni anni fa moriva Enrico Mattei. Il convincimento più diffuso è che egli venne ucciso a causa di un sabotaggio del velivolo su cui rientrava al quartier generale dell’Agip. Si tratta di uno dei più grandi misteri della storia repubblicana ancora irrisolto tanti furono gli intrecci tra questioni energetiche, politica e la manovalanza della delinquenza organizzata che congiuravano contro di lui. Se è vero che anche il delitto Matteotti, trovava nelle concessioni petrolifere italiane in Libia una delle sue spiegazioni, il “caso Mattei” aprì un ventaglio di scenari e, secondo alcuni, aprì una scia di delitti, altrettanto eccellenti, tra cui quelli del giornalista Mauro De Mauro e Pier Paolo Pasolini.

Può darsi che la sua morte abbia visto il contributo di più mani con una certa similitudine con il delitto Matteotti del giugno 1924. Anche in quel caso è molto probabile che una di quelle mani fosse sporca di petrolio. A conferma della lunga scia che si sono lasciate dietro le vicende energetiche italiane, con il destino di continuare anche dopo il caso Mattei.

Mattei, uno dei principali capi partigiani cattolici, come fu lungimirante con la sua fede antifascista, precedente all’8 settembre del ’43, impose persino a De Gasperi la sopravvivenza dell’Agip destinata, invece, alla chiusura su pressioni estera e per la solita cecità di una parte dei gruppi dirigenti nazionali. Il che significò consentire all’Italia di liberarsi almeno in parte della dipendenza petrolifera dal cartello delle cosiddette “sette sorelle” che facevano il bello e il cattivo tempo anche nel nostro Paese in materia energetica. De Gasperi ebbe l’intelligenza di ascoltare lui invece che gli emissari americani, britannici e francesi che, invece, quella dipendenza volevano mantenere. Fu grazie allo sviluppo delle estrazioni se cominciò a svilupparsi quel reticolo d’imprese che avevano bisogno di energia a più basso costo e porre le premesse per quello che sarebbe stato il “boom” dell’Italia degli anni ’50 e ’60.

Mattei, marchigiano, con una vita largamente spesa al Nord, volle che la ricchezza petrolifera italiana venisse ricercata e sfruttata anche nel Meridione. Non a caso, il suo velivolo precipitò mentre tornava da un viaggio in Sicilia. Un fatto che Amintore Fanfani definì successivamente il primo atto terroristico che colpiva il nostro Paese. Uccidendo lui s’intendeva troncare una vitale azione politica, estrattiva ed economica che si era via via arricchita e dispiegata anche al di fuori dell’Italia. E chissà che soprattutto questo suo vitalismo internazionale non finì per portare alla sentenza di morte emessa contro di lui.

Mattei aveva infatti sostenuto il Fronte di liberazione algerino, concluso accordi con quella che allora si chiamava la Persia e con altri paesi del Mediterraneo ai quali proponeva accordi di sfruttamento alla pari dei giacimenti e la rottura della logica di rapina delle grandi compagnie petrolifere mondiali. In questo, fu anche il realizzatore di quella diversificazione degli approvvigionamenti poi abbandonata facendo tornare l’Italia indietro di molti decenni. La diversificazione per Mattei doveva investire anche il settore dell’energia prodotta con il nucleare civile.

Mattei, in effetti, coniugava la scaltrezza imprenditoriale con un’articolata visione culturale. Quella che lo aveva portato a credere nella possibilità di vivere in un paese libero, democratico e solidale. E lo stesso egli credeva sinceramente possibile per altri popoli ed altre nazioni. In questo senso, il suo autentico patriottismo si sublimò fino a far intravedere la possibilità di vivere in un mondo concepito non sulla base del potere delle armi, ma su quella dell’innovazione, della ricerca e dello sviluppo sostenibile.

La sua parola d’ordine era la creazione del lavoro e per questo fu sempre parte integrante di una certa ala della Democrazia cristiana, quella vicina in particolare a Giorgio La Pira e a Giovanni Gronchi. Egli credeva in uno sviluppo che fosse fatto democratico, partecipato ed elemento di crescita sociale e non di egoismo nazionalistico.

Giancarlo Infante

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