Il risultato più clamoroso è il dato sui votanti in Sicilia. Solo il 34 % è andato a depositare la propria scheda nelle urne. Sul piano nazionale, gli elettori hanno toccato quota 54%.

Con il 46%, dunque, quello dell’astensione si conferma di gran lunga il più grande partito d’Italia. Dalle nostre parti non si registra quella leggera inversione di tendenza espressa nel resto d’Europa dove vi è stato un tendenziale incremento del numero dei votanti.

La Lega, in questo contesto, canta vittoria, mentre Luigi Di Maio si ritrova sconfitto due volte. Nel conteggio generale, infatti, i 5 Stelle sono ampiamente scavalcati dal Pd, in ascesa al secondo posto, e nel meridione subiscono una vera e propri debacle rispetto alle politiche dell’anno scorso. Il reddito di cittadinanza sembra avere influito addirittura in negativo per loro che lo hanno tanto voluto.

In Parlamento, però, le cose sono diverse perché il movimento fondato da Beppe Grillo continuerà ad avere circa il doppio dei seggi di Salvini e a Roma è questo che conta, per il momento.

Non è un caso che Matteo Salvini, dopo aver ribaciato il rosario e ringraziato il cielo per l’intervento divino grazie al quale il suo è diventato il primo partito, è corso a rassicurare che si continuerà ad andare avanti così. Vedremo.

Sul quadro complessivo europeo, però, ed è questo che conta, il sovranismo e i gruppi anti Europa crescono ma restano del tutto ininfluenti.

Alcuni risultati, soprattutto quelli di Regno Unito e Francia sembrano eclatanti, ma un approfondimento si rivelerà necessario.

A Londra canta vittoria Nicolas Farange: con il suo partito della Brexit ha prosciugato i conservatori. Successivamente al precedente voto del 2014, quando registrò un risultato di poco inferiore, non riuscì a portare a Westminster neppure un parlamentare. In effetti, non è tutto oro quel che luccica perché balzano in avanti i liberal democratici, che scavalcano i laburisti, e i verdi. In Scozia trionfano nuovamente i nazionalisti pro Europa. Per cui, alla fine, il voto britannico conferma un’inversione di tendenza rispetto al referendum pro Brexit.

In Francia è prima la Le Pen, ma la leader dell’estrema destra continua ad essere isolata e ad avere tutti gli altri contro.

I sovranisti e i gruppi anti Europa, così, restano minoritari nell’insieme del voto europeo e destinati ad essere ininfluenti sui futuri equilibri nel Parlamento di Strasburgo. Là,  si dovrà dare vita ad una stagione di coalizioni tra i partiti maggiori che restano il Ppe e il Partito Socialista europeo cui si aggiungeranno, probabilmente, i voti di tante formazioni pro Europa e dei verdi, balzati in avanti un po’ dappertutto, Italia esclusa.

In questo contesto anche gente alla Orban potrà alzare un po’ la voce, ma dovrà adeguarsi alle decisioni dei partiti principali, visto che quelli sovranisti non sono in grado neppure di proporre un’ipotesi alternativa grazie alla quale poter giocare un ruolo determinante.

Per quanto riguarda la presenza di liste che si richiamano al mondo cattolico italiano, deve essere purtroppo registrata la continuità di quella “ inconsistenza”, già emersa il 4 marzo dello scorso anno.

Il Popolo della Famiglia è di fatto prosciugato dalla Lega e altri tentativi si sono dimostrati generosi, ma poco capaci di indicare quella via che deve, a maggior ragione dopo questi risultati, portare ad una nuova presenza della voce del pensiero  popolare e cristiano democratico.

Giancarlo Infante

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