Forse, ancora una volta la Corte costituzionale ci deluderà. L’ha fatto, l’ultima volta, con la sentenza 242 del 2019 allorché sentenziò – peraltro senza giudicare incostituzionale il reato di aiuto al suicidio in generale (art. 580 del Codice penale) – che le pene ivi previste non dovessero essere applicate nei casi in cui fossero presenti insieme quattro condizioni (la persona è affetta da patologie irreversibili, prova sofferenza intollerabile, è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale ed è capace di prendere decisioni libere e consapevoli). Tale pronunciamento permise l’assoluzione del radicale Marco Cappato che aveva aiutato il suicidio del sig. Fabiano Antoniani (djFabo).

Potrebbe farlo ancora, per i motivi ideologici che impregnano l’attuale Magistratura e che hanno tristemente connotato tante sentenze “creative” su aspetti bioetici. Potrebbe farlo, in particolare, a proposito del referendum sull’abrogazione parziale dell’art. 579 del Codice penale che vieta l’omicidio del consenziente (resterebbe la punibilità nelle tre circostanze che la legge già adesso considera omicidio anche in presenza di un consenso: l’uccisione di un minore, di una persona inferma di mente, di una persona cui il consenso a essere uccisa sia stato estorto con violenza o inganno) promosso dal Comitato promotore referendum Eutanasia legale e dalla Associazione Luca Coscioni. Tale richiesta, non solo travalica quella inoltrata dalla Corte costituzionale al legislatore affinché si attivi a intervenire sull’art. 580 del Codice penale e su una parziale depenalizzazione dell’aiuto al suicidio ma di fatto chiede la liberalizzazione l’omicidio del consenziente.

Come argomenta Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex ministro della Giustizia, sul quotidiano AVVENIRE del 21.8 u.s., in caso di approvazione del quesito referendario e della vittoria dei SI si genererebbe immediatamente una situazione paradossale. Infatti, “chi uccide una persona maggiorenne e cosciente di sé che glielo chiede, anche in buona salute, non rischia il carcere; mentre tuttora rischierebbe le sanzioni previste dall’articolo 580 sull’aiuto al suicidio un medico o un familiare stretto o un amico che procura il farmaco letale a una persona che non si trova nelle quattro condizioni indicate dalla Consulta”. Messo alle strette dai rilievi di Flick, Cappato non sa cosa rispondere e dopo qualche riga di fuffa è capace di ribattere su AVVENIRE solo che “Sarà poi compito del legislatore definire le procedure nell’accesso all’eutanasia”. Quasi ad affermare: dite che potrebbe scoppiare una bomba? Se succederà, manderemo dopo gli artificieri a neutralizzarla. Ridicolo no? Ciononostante, potrebbe succedere che la Consulta si conformi al “nenti sacciu, nenti vidi” ed approvi il quesito referendario riservandosi un intervento post-hoc in caso di vittoria dei SI (intervento che sarebbe di esito ancor più scontato ma salverebbe il “facite ammuina”).

Ulteriori recenti segnali minacciosi del pendio scivoloso ideologico che minaccia l’Italia sono stati: a) l’inclusione delle terapie farmacologiche fra i trattamenti di sostegno vitale rifiutabili dal paziente in base a una recente sentenza di Corte di Assise di Massa, poi confermata a Genova; b) l’ordinanza di giugno del Tribunale di Ancona (poi ripresa dal Ministro della Sanità Speranza) contro l’Azienda Sanitaria Marche in cui si inventa di sana pianta un inesistente obbligo di quest’ultima di attuare la morte richiesta da un malato di SLA; c) l’approvazione alla Camera nel luglio scorso della pdl unificata di Alfredo Bazoli (PD, ovviamente!) che stralcia il sottoporsi alle cure palliative dai prerequisiti fissati dall’infelice sentenza 242/2019 della Consulta per poter richiedere il suicidio assistito (dovesse mai il paziente ripensarci e non chiedere più di essere ammazzato …).

Per quanto sopra, a mio avviso, il referendum si farà e occorre prenderne da subito atto. Il numero delle firme raccolte in poco più di un mese e mezzo fa comprendere la pressione mediatica che insiste su eventuali giudici che volessero eccepire. La data della consultazione sarà sicuramente successiva all’approvazione (non scontata ma assai probabile, anche perché potrebbe essere “merce di scambio” in trattative di potere sotterranee e indicibili fra le forze politiche) del ddl Zan. Qualche sentenza, qualche processo mediatico saranno già avvenuti: gli ideologi del pensiero unico saranno ebbri di gioia e bramosi di assestare un altro “gancio al mento” dei clericali per metterli definitivamente al tappeto. A seguire renderanno pubblica la loro tabella di marcia: sdoganamento della pedofilia e della sessualità con le bestie da perseguire con le collaudate strategie descritte dai gradini della finestra di Overton (CLICCA QUI ).

Insomma, le forze radicali godono e godranno di un notevole vantaggio iniziale: sia perché sono avvezze a preparare con largo anticipo le loro battaglie nell’inerzia e nell’indifferenza del fronte civile sia perché da sempre più astute e spregiudicate nel far passare per verità i loro sofismi (“I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce”, Lc 16, 8). Come ben argomenta Aldo Rocco Vitale del Centro studi Livatino( CLICCA QUI  ) i radicali insisteranno fino allo sfinimento col loro mantra “delle «eutanasie clandestine», ripercorrendo il medesimo sentiero logico-argomentativo adoperato più di un quarantennio fa per giustificare la legalizzazione dell’aborto, ed evocato da decenni per sollecitare la non punibilità della cessione di droga”. Forniranno ancora una volta dati falsi, inventati ad arte come fecero negli anni ’70 per convincere gli italiani a votare a favore della legalizzazione dell’aborto. Secondo Marco Pannella erano “un milione o un milione e mezzo” gli aborti clandestini che si facevano prima della legge 194, con tante vittime (“20.000 donne morte all’anno”, numero rincarato a “25.000” dal PSI). I dati dell’Annuario Statistico del 1974 mostrarono le falsità: le donne in età feconda (cioè dai 15 ai 45 anni) decedute per qualsiasi causa nell’anno 1972, cioè prima della legge 194, furono in tutto 15.116; le morti totali erano dunque molte meno delle presunte morti per aborto; solo 409 donne risultavano morte di gravidanza o parto; quelle decedute a causa dell’aborto clandestino erano una piccola parte (qualche decina).

Occorre allora prepararsi per tempo e molto bene per vincere quella battaglia di civiltà di cui ha scritto pochi giorni fa un ispirato Domenico Galbiati ( CLICCA QUI ). A questo proposito, ho trovato molto istruttiva la lunga e bellissima prefazione di Luca Serafini (anche traduttore) del bestseller di Sinan Aral “The Hype Machine” appena uscito per i tipi di Guerini Scientifica. Secondo Aral la comunicazione (espansa oltre misura, “ipersocializzazione”) permessa e stimolata dai social media e dall’uso compulsivo dello smartphone è pervasa dalla macchina dell’hype, cioè da un battage pubblicitario chiassoso e martellante che mira (con le tecniche del digital marketing) alla persuasione emotiva riducendo (se non annichilendo) le capacità razionali e riflessive dei target. Questi ultimi possono, ad esempio, essere potenziali consumatori di determinati prodotti ma anche votanti in occasione di elezioni politiche o referendum. Per raggiungere questi scopi la hype machine usa i sofisticati algoritmi dell’intelligenza artificiale capaci di inviare stimoli personalizzati ai bersagli umani grazie al possesso dei dati raccolti durante tutte le connessioni in rete. Gli algoritmi limitano fortemente le connessioni con persone o siti di pareri diversi scoraggiando di fatto il confronto e l’acume razionale. Tutto è giocato solo e soltanto sulle emozioni, indotte dalla conoscenza della fisiopatologia delle reti neurali del cervello umano.

Se Aral ha ragione, dobbiamo aprire gli occhi ed ammettere che in occasione dell’eventuale referendum sull’eutanasia l’elettorato italiano sarà condizionato dalla hype machine che i radicali creeranno rivolgendosi alle emozioni di elettori inermi. O riducendoli tali. Si consideri quanto uno degli slogan scelti dai promotori: “Liberi fino alla fine” sia di diabolica efficacia. Saltando la corteccia del telencefalo il messaggio arriva subito nei gangli della base e crea un riflesso immediato, di difesa: “Volete togliermi anche questa libertà … dopo i confinamenti, i vaccini, l’obbligo del GREEN PASS???? Stavolta non ve lo permetterò!!”. Non è difficile immaginare chi sarà incluso in questo “voi” persecutore. La Chiesa cattolica, i preti, i medici palliativisti, i vari movimenti per la vita (gli stessi che offrono aiuto pro life cercando di evitare aborti) saranno messi sul banco degli imputati e fatti percepire come sadici incuranti del dolore dei disperati; ipocriti, che nel momento in cui sperimentano in prima persona il dramma del dolore inutile chiedono (“come quel vostro papa che avete pure fatto santo!”) di “essere lasciati andare” (consapevolmente confondendo l’interruzione delle terapie per evitare l’accanimento con l’aiuto al suicidio).

Il gotha della disinformazione sarà attivato a tutti i livelli della comunicazione: si conieranno nuovi slogan; si faranno convegni, concerti, eventi; si assolderanno i volti noti dello spettacolo e della cultura. Fra un “piuttosto che” e un “assolutamente sì”, un “ora mi taccio” e “un applauso per Lucaaaaaaaa” tutti baderanno a non compromettersi la carriera e la popolarità, quasi nessuno avrà il coraggio di affermare che “l’imperatore è nudo”. Odio e fango scorreranno a fiumi per scoraggiare e punire ogni oppositore.

Si cercheranno testimonianze di diritti negati, di prevaricazioni, di supposte crudeltà inflitte gonfiando a dismisura numeri inventati e privi di qualsiasi valore statistico. I casi eccezionali, le situazioni limite saranno fatte passare come la regola a cui, appunto per questo, è indispensabile una normativa indifferibile. In realtà, non si può legiferare per coprire l’infinita varietà dei casi della vita. L’importante è definire i principi generali, i riferimenti da utilizzare poi, caso per caso, nelle cosiddette situazioni outlier.

Rappresenta proprio un caso limite che ci siano motivi plausibili per accogliere la richiesta di uccidere una persona stante la disponibilità di personale sanitario capace di molteplici competenze, l’esistenza di farmaci validissimi contro il dolore e la depressione, l’efficacia delle cure palliative, la disponibilità eccezionale di volontariato sensibile ed empatico, la non rara presenza di familiari disposti ad essere “vicini”. Invece, su questi casi sporadici – casi limite che certo meritano comunque l’attenzione e il rispetto dovuti ad ogni essere umano – si farà leva per distruggere secoli di civiltà. Battaglia puramente ideologica (“faccio quello che voglio della vita mia e nessuno me lo deve impedire”), certo non nel “migliore interesse” della persona che si vorrebbe poter aiutare a suicidarsi.

Non si può ignorare, inoltre, che la pdl Bazoli autorizza (se il suo iter procederà) le persone a saltare a piè pari la rete assistenziale utilizzabile (che invece andrebbe potenziata e resa disponibile in tutta la nazione, questo sì) spinte dalla loro cultura e dalla loro militanza radicale: la richiesta di aiuto al suicidio potrebbe essere l’ultimo atto a favore dell’ideologia dei compagni di sempre.

Chi saranno in Italia i target della hype machine radicale?

I giovani. Molti di essi avranno cortecce cerebrali depauperate di neuroni per l’uso di cannabis e cuori devastati dai divorzi e dalle situazioni assurde create dalle turbolenze sentimental-sessuali dei loro genitori. Da tempo, per non pochi di essi, la capacità di attenzione si è fatta ridottissima: oltre alle sostanze assunte con disinvoltura, la frequentazione dei social con le loro fake news e i bot creati apposta per orientare i consensi scoraggiando lo studio e l’approfondimento critico li hanno ridotti a non essere in grado di concentrarsi su un ragionamento per più di una manciata di minuti. Nonostante le loro dita siano infaticabili sulle tastiere per chattare di futili amenità (quando va bene), la loro capacità logica di argomentare a favore o contro una tesi rappresenta mediamente un’eccezione.

I giovani adulti. Molti di essi porteranno in cabina elettorale le conseguenze della assunzione cronica di cocaina: se è vero che i guadagni della criminalità organizzata sono stratosferici in Italia e se è ragionevole pensare che dopo averla acquistata le persone dipendenti la consumino. Le statistiche dicono che i principali compratori appartengono a questa fascia di età. Peserà su di essi la rabbia per lavori scadenti, usuranti e mal retribuiti; per gli affitti troppo alti di minuscoli appartamenti; per l’impossibilità di crearsi una famiglia e un futuro mancando attualmente un minimo di stabilità politico-economica.

Gli anziani. Li porteranno anche sulle carrozzelle. Non sarà difficile convincerli, con gli impliciti sottotesti di slogan micidiali, che è tempo che ricambino per i privilegi goduti in gioventù (boom economico, lavoro per tutti, prima e seconda casa, pensioni decorose, assistenza sanitaria, lungo periodo di pace e benessere) e votino perché sia facile “fare un passo indietro” quando si diventa un peso per tutto e tutti. Un’ultima occasione per essere moderni, allineati finalmente ai nipoti così sfuggenti e distanti. “Non è mica un obbligo suicidarsi, sai? È una libertà in più per quelli che proprio non ce la fanno più”. Sottotesto: “Se ti dovessi accorgere che noi che ti assistiamo siamo allo stremo e non abbiamo più un euro per i nostri divertimenti … beh … puoi venirci incontro … ci siamo capiti?”.

Gli amministratori. Sarà più facile per non pochi di loro far quadrare i conti se gli “scarti umani” potranno essere aiutati (leggi: pressati) a chiedere di essere uccisi: “Finalmente un beau geste da parte di gusci svuotati di dignità umana!”. E più soldi per finanziare anche nelle scuole materne l’introduzione della teoria gender, come presto sarà imposto dal ddl Zan e quindi dalla intellighenzia radical-chic.

I “cattolici adulti”: se alcuni di essi voteranno contro lo sdoganamento dell’eutanasia forse sarà solo per un certo timore di abusi. Insomma, se ci fosse la garanzia che si rispettassero alcuni paletti … perché no? E il Magistero della Chiesa? “Beh, io la penso così! Ogni tanto vado a Messa: può bastare, no?”. A seguire: crociate, Inquisizione, Galileo Galilei, Giordano Bruno, Pio XII e gli ebrei, pedofilia del clero … con un livore da Odifreddi.

Non sono disposto a credere alla teoria del Great Reset ma nemmeno a chiudere gli occhi davanti agli scenari che intravvedo. In attesa di un risveglio delle coscienze, occorre non scivolare ulteriormente nel baratro.

Offro quello che segue sperando possa essere utile a coloro che (di INSIEME o con l’aiuto di INSIEME) dovranno sostenere la hype machine e l’odio radicali.

Occorrerà evitare che la battaglia referendaria diventi tout court uno scontro fra cattolici e atei. Innanzitutto, perché i cristiani praticanti e coerenti sono ormai una minoranza in Italia. In secondo luogo, perché di fronte all’enigma del dolore e del male anche la Chiesa e i teologi cattolici non hanno risposte esaustive sul piano solo razionale. La attuale teodicea, chiamata in causa dal libro di Giobbe, sa che può appoggiarsi solo sulla percezione di una presenza buona accanto all’uomo sofferente: la presenza di Gesù. Il Creato, con lo stupore suscitato dalla sua bellezza; la bontà di persone capaci di farsi prossimo ai morenti e la testimonianza di sincera serenità pur negli spasimi del dolore psico-fisico di tante persone sono indizi forti della esistenza/presenza di Uno (Dio Padre) che dopo aver chiamato all’esistenza l’esistente non lo abbandona più, fino alla fine del suo percorso terreno. Tuttavia, quello che può risultare non immediatamente comprensibile e labile persino per il credente cattolico sarebbe immediatamente rifiutato ed irriso da parte di un anti-teista. Ciò che a un cattolico dà fiducia e speranza gli si ritorcerebbe beffardamente contro in un confronto televisivo: “Beh, il vostro dio a me il dono della fede non me l’ha mica dato! Quindi …”.

Ritengo che il fine prevalente da perseguire non sia dimostrare davanti a un uditorio colto la barbarie delle posizioni radicali, non sia prevalere nel duello etico-filosofico. Peraltro, molti del contraddittorio risulterebbero pregiudizialmente inconvincibili, così come lo sono i Testimoni di Geova quando suonano i campanelli delle case nel loro entusiasmo che ispira tanta tenerezza e tanta pena. Il fine è squisitamente pragmatico: VINCERE IL REFERENDUM!

In buona sostanza, mentre in altri contesti e circostanze si può ricorrere alle dispute dotte, alle argomentazioni eticamente raffinate, ai contributi di professori universitari, di teologi, di grandi esperti, di prelati e pie suore (Dio li benedica tutti), quando si tratta di “prendere voti” occorre trovare ogni mezzo lecito per ottenerli.

Un altro errore da evitare, sempre a mio avviso, è arroccarsi solipsisticamente sulla bontà delle posizioni contrarie all’eutanasia senza fare lo sforzo di mettersi nella testa dei radicali, di immergersi nell’universo ideologico che li avvolge, di comprenderne le sensibilità e di disinnescarne gli argomenti con antitesi laiche. La loro ideologia dovrebbe essere decostruita, smontata a suon di rapide ed efficaci affermazioni non confessionali che li lascino senza parole, incapaci di controbattere. Ingenuo impostare la battaglia referendaria parlando agli avversari per convincerli della bontà di un diverso sistema di valori: provare a farlo sarebbe inconcludente come lo è stato tante altre volte. Il bellissimo articolo di Assuntina Morresi su Avvenire ( CLICCA QUI ) basterebbe a rimuovere i dubbi di un animo aperto e sensibile ma i radicali si tappano occhi, orecchie e cuore.

Il target della battaglia di referendaria non sono dunque gli esponenti dell’Associazione Luca Coscioni. Piuttosto, sono i milioni di potenziali votanti che sono da mantenere sulla sponda della civiltà. È specificamente agli elettori che si dovrà parlare, entrando nel sistema valoriale radicale che li avvolge per decostruirlo alle loro menti e ai loro cuori.

Se è vero quanto sopra, abbiamo allora bisogno di esperti nel campo della comunicazione. Non possiamo improvvisare. Non possiamo sprecare il poco spazio e il poco tempo che ci verranno lasciati. Dobbiamo riuscire a conoscere in anticipo le accuse e gli argomenti contrari così da elaborare ed avere pronte in anticipo, immediatamente spendibili, ovunque sarà possibile e necessario, risposte rapide, concise, efficaci da proporre all’elettorato più vulnerabile.

Ovviamente servirà (eccome!) la consulenza a monte delle grandi menti colte e sapienti ma poi la battaglia sul campo dovrà essere affidata a persone che conoscano le dinamiche della persuasione nella comunicazione.

Infatti, la gente che ascolterà e che voterà non sarà – nella quasi totalità – né istruita né bendisposta nei confronti dei valori di civiltà che si vuole difendere. È necessario allora smontare in poche battute affilate gli assiomi malefici che avranno assorbito. Si dovrà risultare simpatici e moderni: non bacchettoni e noiosi. Si dovrà trasmettere allegria, speranza e fiducia: volti giovani e sorridenti, linguaggio non verbale che ispiri sicurezza e sincerità, esperienze basate su dati anche numerici e non su casi aneddotici. La voce dei medici, degli infermieri, dei rianimatori, dei palliativisti, della buona Scienza è contro l’inciviltà: questa forza di verità si dovrà percepire. Alla fine, votare pro death dovrà risultare una cosa di cui provare vergogna. Se la battaglia di civiltà di cui ha scritto Galbiati sarà vinta, l’Italia non rischierà (almeno nell’immediato) di imitare la barbarie del nuovo Afghanistan. I cattolici che vi avranno partecipato si potranno rallegrare per aver contribuito a condurre molte vite al vero termine del loro percorso (e forse molte anime in più in Paradiso).

Roberto Leonardi

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