In un articolo che risale all’ agosto ‘45, Piero Calamandrei afferma: “Non basta assicurare ai cittadini teoricamente le libertà politiche, ma bisogna metterli in condizione di potersene praticamente servire”. Quindi, andando oltre il dettato delle Costituzioni liberali che assumono una funzione di garanzia per disegnarne invece, come afferma Norberto Bobbio, un profilo che sia anche “promozionale”, diretto ad una democrazia non solo formale, ma sostanziale.
Veniamo da una lunga, pluridecennale stagione vissuta nel segno della rivendicazione dei “diritti individuali” che ha concorso a corrompere e sfaldare il sentimento di appartenenza ad un “popolo”. Inteso come insieme di persone libere che, grazie alla rete di vissuti comuni e di relazioni che si intrecciano quotidianamente in una pluralità incomprimibile di direzioni, via via elaborano ed affinano un orizzonte di valori condiviso, criteri di giudizio, attese e speranze che concorrono a dare un senso alla vita. Insomma, il popolo concepito come “persona collettiva” che tutela e valorizza la libertà di ognuno, nella misura in cui la sottrae alla mortificazione della solitudine di una soggettività disaggregata dal contesto civile.
Le prove che ci attendono, le trasformazioni che stiamo vivendo – veri e propri snodi di una storia nuova che muove i suoi primi passi – hanno bisogno che si rianimi un sentimento di amicizia sociale, un moto di condivisione e di solidarietà, tale per cui la collettività si riscatti dalla “massa”, dalla genericità della “gente” e diventi “comunità”. Del resto, la dimensione “popolare”, in quanto trae origine dalle esperienze originarie che segnano la vita di ognuno, crea un sentire comune che sottende e precede anche le differenti opzioni politiche di coloro che in essa di riconoscono.
Si tratta di un dato che, anche nella nostra storia, ha sviluppato una capacità di lettura e di modulazione della controversia politica che ha sicuramente concorso a consolidare le democrazia e la fiducia nelle istituzioni repubblicane. Non a caso, quando viene meno la coscienza di appartenere ad un destino comune, la consapevolezza di una sostanziale corresponsabilità di fronte alla storia ed ai suoi eventi, il sentimento di un reciprocità costitutiva del legame sociale, compaiono forme di populismo, di omologazione acritica a mode, costumi, stili di vita, modalità di pensiero unico e prevale l’ attrazione per il “capo carismatico”, l’illusione di un rapporto diretto con tale incarnazione del potere che conduce all’ atomizzazione della società, all’ impoverimento esiziale dei cosiddetti “corpi intermedi”.
Si tratta di processi che, in una direzione o nell’ altra, sono mossi da una forza intrinseca che ha una sua inappellabile valenza antropologica e culturale, ma con i quali, peraltro, la politica può interferire. Purché abbia una visione chiara del contesto e la volontà di esprimere un orientamento che favorisca la ricomposizione di una forte coesione sociale.
E’ necessario insistere su politiche di forte investimento – non solo finanziario – in ordine a casa e lavoro, salute, educazione e cultura, sostegno alla natalità, attenzione alle età estreme della vita, vivibilità dell’ ambiente e del contesto urbano. In sostanza, ad una forte politica orientata ai “diritti sociali”, dobbiamo affidare il compito di rispondere alle esigenze di fondo delle famiglie, primo aggregato necessario a riannodare le fila della coscienza popolare del Paese.
Domenico Galbiati