Da anni si parla dell’inverno demografico come del principale problema della nostra nazione. Negli ultimi tempi sembrano essersene accorte pure le gerarchie ecclesiastiche e la politica, anche grazie all’avvento di un governo di ispirazione conservatrice, sensibile -almeno nelle intenzioni- alla tutela della famiglia.

In effetti, è un dato di fatto che l’Italia sia il paese dove si fanno meno figli al mondo dopo il Giappone. La popolazione italiana in termini assoluti diminuisce costantemente, ed il crollo numerico è evitato sopra tutto grazie a quelli che in termini a-tecnici si definiscono stranieri di seconda (o terza) generazione; almeno fino a quando non acquisiscono mentalità e costume (anche sul versante procreativo) del paese ospitante.

Prescindendo da ogni considerazione relativa alla conservazione del patrimonio storico, identitario e culturale italiano, paiono di palmare evidenza gli effetti della diminuzione assoluta e dell’invecchiamento medio della popolazione sulla spesa previdenziale e sanitaria.

La necessità di porre il rimedio all’inverno demografico al centro dell’agenda politica italiana è ribadita da più parti, e giustamente si deve guardare con favore a quelle forze politiche che più di altre, quanto meno a livello di proclami ed intenzioni, si dicono consapevoli della necessità di fare qualcosa sul punto.

Tuttavia, mi pare cruciale dare anche risonanza a quanto già esiste, e magari è misconosciuto.

Il presente contributo ha proprio questo obiettivo e muove da una concatenazione di fatti, considerazioni e scoperte delle ultime settimane.

A ragione della mia professione di sostituto procuratore della Repubblica, mi sono recentemente imbattuto in una persona offesa straniera che riferiva di utilizzare di nascosto metodi anticoncezionali posto che il coniuge, asseritamente maltrattante, avrebbe desiderato un ulteriore figlio (la coppia ne ha già uno) per ottenerne un beneficio economico. È un’affermazione che ai più potrebbe apparire controintuitiva: comunemente si ritiene che un figlio comporti un impegno economico enorme e certamente è così. Tuttavia, nel particolare contesto di quella famiglia di extracomunitari accolti in un centro di accoglienza, evidentemente l’affermazione deve aver avuto un senso per colui che l’ha esternata.

Da quel momento ho iniziato a far di conto e chiedermi quale fosse, per me, l’impatto (per usare un’espressione da giuristi) dei “contributi, finanziamenti o altre erogazioni dello stesso tipo comunque denominati erogati dallo Stato o dal altri enti pubblici” connessi al fatto di avere quattro figli. La nostra situazione è presto riassumibile: papà, mamma, lavorano entrambi e guadagnano bene entrambi, prima casa di proprietà (e infatti c’è il mutuo) dunque ISEE alto, quattro figli minori di cui l’ultima nata ad ottobre 2022, due vanno alle elementari e due all’asilo (uno alla scuola materna, una al nido). E ho fatto delle scoperte abbastanza sorprendenti.

Innanzi tutto, sul sottoscritto come su tanti italiani grava il classico mutuo ventennale stipulato al momento dell’acquisto della prima casa. Senza annoiare i lettori con i dettagli riferisco solo che la cifra mensile da corrispondere non è particolarmente elevata ed insieme a mia moglie abbiamo scoperto che, allo stato, è INTERAMENTE coperta dalla somma algebrica di quanto l’I.N.P.S. ci corrisponde mensilmente a titolo di assegno unico familiare e bonus asilo nido.

Da qui il titolo, ironico ma non troppo, di queste riflessioni.

Quello che ritengo importante sottolineare è che l’assegno universale ed il bonus nido giungono a tutti ed indipendentemente dall’ISEE – che solo per chi non lo sapesse è l’indicatore della situazione economica equivalente, una risultante numerica che colloca una persona o una famiglia in una certa fascia reddituale ai fini dell’accesso alle più svariate prestazioni welfare.

Tra le nostre conoscenze ci sono persone che non hanno compilato la domanda di accesso a queste provvidenze pubbliche perché convinte di non essere in possesso dei requisiti necessari, in pratica perché convinte di avere un ISEE troppo alto. Non è così, sono soldi che spettano a tutti ed oggettivamente si tratta di cifre significative per famiglie numerose. E posso assicurare, avendolo provato in prima persona, che per l’inoltro della domanda non servono particolari competenze ma solo tanta pazienza – si fa tutto online sul portale dell’I.N.P.S., basta solo essere in possesso di credenziali di accesso di identità digitale, compilare qualche modulo, caricare qualche documento ed il gioco è fatto. Anche i tempi di controllo da parte dell’ente erogatore sono velocissimi per gli standard della pubblica amministrazione: la domanda viene protocollata e – in assenza di esseri formali di compilazione dei moduli – accolta nel giro di pochi giorni, con erogazione del denaro sul conto corrente in tempi brevissimi.

Scoprire che esistono persone appartenenti alle categorie sociali per così dire “più disagiate” che ritengono un vantaggio economico avere dei figli; poi scoprire che effettivamente l’I.N.P.S. mi corrisponde una somma pari alla rata del mutuo per il sol fatto di avere quattro figli di cui una iscritta all’asilo nido; indi scoprire che persone appartenenti ad una fascia sociale ad alto reddito ed istruzione non erano nemmeno a conoscenza del diritto a ricevere denaro pubblico per il sol fatto di essere genitori – ecco tutte queste scoperte mi hanno indotto a scrivere questo articolo.

Ci sarebbe tanto altro da condividere, tante agevolazioni previste da enti pubblici per le famiglie con prole numerosa, tante temo che rimangano misconosciute.

Tanto per fare qualche esempio “pescato dalla cesta”: il palazzo di giustizia di Firenze si è dotato di asilo nido dove possono essere accuditi a condizioni agevolate i figli dei magistrati, degli avvocati, del personale amministrativo e di quello delle forze dell’Ordine; sulla falsariga di quell’esempio da un anno a questa parte il palazzo di giustizia di Torino si è dotato di un baby parking. Parlando di trasporti, l’ATM di Milano concede uno sconto superiore al 50% sull’abbonamento annuale ai mezzi pubblici a chi ha tre o più figli; si tratta di una somma significativa: in termini molto concreti, il risparmio corrisponde ad un semestre di ginnastica ritmica per una bambina delle scuole elementari.

Sono esempi totalmente randomici ma sicuramente se ne potrebbero fare altri ed anzi sarebbe bello poter creare un raccoglitore che funga anche da osservatorio, aperto ai contributi di ciascuno, per la condivisione di esempi e buone prassi anche locali.

Nessuno si illude che l’inverno demografico possa essere superato a colpi di provvidenze pecuniarie: la motivazione economica non è la principale che induce gli italiani a non fare più figli, essendo vero invece che le cause sono molto più profonde e risiedono nella disperazione dell’uomo occidentale moderno, privo di speranze per il futuro, tenuto in vincoli da un individualismo ed un consumismo che seducono ma non appagano.

Ciò non di meno, non deve rimanere nascosto, o essere ignorato, quello che gli enti pubblici già fanno per incentivare la genitorialità e sostenerla economicamente – nella consapevolezza che sempre di più e meglio si può fare e, dunque, di più e di meglio si può chiedere alla politica, nazionale e locale.

Carlo Introvigne

Pubblicato su centro Studi Rosario Livatino (CLICCA QUI)

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