Nella memoria di Giorgio La Pira, ma anche nel segno della politica mediterranea di Aldo Moro, l’appello alla pace che si alza, in questi giorni, da Firenze, dalla conferenza – promossa dalla CEI –  dei vescovi e dei sindaci delle città che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo, assume un significato del tutto particolare ora che venti di guerra tornano a scuotere il cuore dell’Europa.

Una coincidenza è sempre e solo ascrivibile ad una pura e semplice casualità oppure siamo legittimati a leggere una sovrapposizione di eventi, che pur tra loro non hanno alcuna connessione apparente, come un invito a riflettere che ci interroga oltre la mera fattualità dell’accadere?

Le giornate di Firenze troveranno, domenica prossima, il loro momento conclusivo nell’incontro tra Papa Francesco ed il Presidente Mattarella.

Ed anche qui, se vogliamo liberarci di stereotipi ideologici ammuffiti, possiamo cogliere un che di emblematico.

Come, del resto, è emblematico e, ad un tempo, suggestivo che sia la Conferenza Episcopale Italiana a promuovere un incontro, a suo modo insolito, che vede lavorare congiuntamente autorità religiose ed autorità politiche locali, espressione di quel livello istituzionale di base che più immediatamente dà forma e conferisce forza a quelle che La Pira chiamava le ”attese della povera gente”.

Si tratta di un appuntamento che, se pur non lo volesse, senza essere pensato nelle sfere o nelle stanze della politica, è, in sé, si direbbe ontologicamente, di fortissima valenza politica, nella misura in cui indica e suggerisce quale sia l’orizzonte valoriale entro cui va costruita la città dell’uomo.

Così com’erano “politiche”, a tutto tondo, le conferenze mondiali dei sindaci che Giorgio La Pira promuoveva a Palazzo Vecchio.

A meno che non si intenda la politica come mera materialità del potere, piuttosto che attitudine a pensare, progettare, costruire prospettive di interesse generale, traguardi di “bene comune”.

Si può forse dire che le giornate di Firenze troveranno idealmente il loro prolungamento o meglio il loro compimento nella preghiera per la pace che Papa Francesco ha indetto per il prossimo martedì.

Senza nulla togliere alla “laicità” dello Stato e dell’impegno politico, che, anzi, ne rappresentano la premessa necessaria, non si percepisce, forse, la sensazione, sia pure ancora larvata e confusa, di un sentimento nuovo, di una consapevolezza, in fondo mai cancellata, ma ora più viva, in ordine ad una consonanza tra l’autorevolezza morale delle religioni e l’autorità democratica delle istituzioni, indispensabile a conservare la pace, ampliare la sfera dei diritti sociali, assicurare la giustizia ?

Per questa strada, riconoscendo questa necessaria complementarietà, la politica si consegnerebbe all’aura onirica di un’utopia o addirittura verrebbe meno al rigore della sua responsabilità oppure, più semplicemente uscirebbe dalle sue trincee per ritrovare anch’essa le sue periferie e lì riscoprire le ragioni della sua nobiltà ?

Ma, per tornare al tema delle giornate fiorentine: “…nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa o nel Mediterraneo poiché l’Europa intera è nel Mediterraneo”. Lo disse Aldo Moro, nell’aula di Palazzo Madama, nel dicembre ’73.

Si tratta di un’affermazione che, in estrema sintesi, dà conto di un’ intera e complessa visione che dovrebbe tuttora ispirare quelle politiche che, dirette a raggiungere l’ideale dell’unità politica del vecchio continente, di fatto faticosamente arrancano verso un approdo problematico che ancora non intravediamo.

Spetta, in modo del tutto particolare, al nostro Paese invocare, proporre e promuovere questa rivisitazione in chiave più schiettamente “ mediterranea” – e, andrebbe subito aggiunto , “euro-africana” – del cammino che abbiamo intrapreso, non a caso, sospinti da tre grandi democratici-cristiani.

“Cuore mediterraneo” dell’Europa ed “aggregato euro-africano” sono concetti che hanno già avuto ampia ospitalità su queste pagine e sui quali si renderà necessario tornare per precisarne profilo e contenuti.

De Gasperi, Schuman, Adenauer, si diceva.

Statisti che hanno vissuto una intima coerenza tra il loro personale progetto di vita cristiana ed il progetto di pace, di cooperazione, di solidarietà  che hanno posto a fondamento della costruzione europea.

La quale ha senso nella misura in cui, anziché rattrappirsi entro il margine degli interessi mercantili, si pone, in virtù della sua storia, come un faro che proietti, oltre i propri confini, l’attesa di un ordinamento delle relazioni internazionali che sia rispettoso della libertà dei popoli e della giustizia.

Forse non riflettiamo abbastanza, anzi per niente, su questa pur necessaria corrispondenza tra le convinzioni di cui si vive e le azioni che si promuovono sul piano politico, amministrativo o civile.

Una connessione che non ha nulla di “moralistico”, nè si risolve sul piano di un afflato sentimentale, bensì risponde alla consapevolezza del rapporto strutturale che corre tra questi due versanti, indispensabile a conferire alla politica uno statuto di credibilità.

E nessuno, probabilmente, quanto Giorgio La Pira è in grado di mostrare come straordinarie intuizioni di carattere politico e sociale nascano, ed assumano la forza necessaria a radicarsi nella vita di una città, quando sorgano dalla limpida interiorità e dalla coscienza di un uomo libero.

Scriveva La Pira, al tempo della sua prima campagna elettorale per l’elezione a Sindaco di Firenze:
“…..io penso che bisogna fare di Firenze quanto il Signore dice – nella Sacra Scrittura – a proposito di Gerusalemme: fare, cioè, di questa città bellissima  (bellezza teologale) il centro di attrazione dei popoli del Mediterraneo, dell’ Africa nera, degli altri popoli nuovi di Asia….Ecco il “programma” che sarà svolto a Firenze se il Signore mi chiamerà ad assumerne la guida: fare di questa città cristiana, tanto prestigiosa, il punto di attrazione di tutto la terra!”.

Domenico Galbiati

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