Alfredo Mantovano, forse uno dei pochi con la testa sulle spalle tra i più vicini a Giorgia Meloni, ha risposto con sobrietà all’ennesima insidiosa domanda sulla richiesta di dimissioni del collega sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro: “l’avviso di garanzia non è una condanna”. E’ toccato a lui parlare giacché la fastidiosa influenza che costringe la Presidente del Consiglio a restarsene a casa giunge almeno provvidenziale con il vento che tira sul Superbonus e gli amici che provocano più guai che soddisfazioni. La sosta forzata l’ha lasciata per alcune ore appena lambita dal riproporsi dell’imbarazzante cosiddetto “caso Cospito”. Diventato, in realtà, il caso “Donzelli – Delmastro”, dopo le incaute affermazioni del primo che hanno esposto i due all’accusa di aver divulgato documenti destinati a restare riservati come fissato da un apposito decreto.
E così si è giunti all’interrogatorio da parte dei magistrati del sottosegretario Delmastro e la cosa ora seguirà il suo corso. Non è una bella storia e pone più di un interrogativo sulla “sostanza” di giovani tanto volenterosi, ma forse ancora troppo digiuni sul come sarebbe opportuno svolgere alcune responsabilità pubbliche. Che sono sì di natura politica, ma nel momento in cui si dipanano in sede istituzionale dovrebbero essere curate con una dose in più di prudenza e di discernimento.
Vedremo le conclusioni cui giungerà la Procura di Roma. Appunto, perché un avviso di garanzia non è una condanna. Ma resta la considerazione che, in ogni caso, i fatti politici si portano dietro valutazioni che non è detto debbano coincidere con le conclusioni giudiziarie. Già abbiamo ampiamente espresso perplessità sul tipo di difesa fatta del sottosegretario Delmastro e dell’onorevole Donzelli da parte di Giorgia Meloni e del Ministro Nordio. La prima, comunque, aveva invitato espressamente i suoi ad abbassare i toni per provare a smorzare le polemiche. Il secondo sembra limitarsi ad insistere sulla negazione dell’esistenza di elementi che giustificano l’accusa di vere e proprie rivelazione di segreti di Stato. Ma la Procura si riferisce alla divulgazione di segreti d’ufficio.
Agli occhi dei sempliciotti che siamo la cosa non cambia molto. Ma molto sarebbe cambiato, invece, se per un principio di precauzione, ed anche per un impeto di avvicinamento alla cultura politica di altri paesi evoluti, ai due fosse stato “amichevolmente” chiesto almeno di sospendersi un attimino dalle proprie funzioni istituzionali (Delmastro è alla Giustizia e Donzelli al Copasir) in attesa dell’esito positivo di un chiarimento su cui, del resto, Giorgia Meloni e il ministro Nordio sono pronti a mettere la mano sul fuoco.
Ma si sa esistono nei partiti, e nel Governo, quei meccanismi per cui sembra necessario prima salvaguardare la propria squadra e, poi, tutto il resto. Anche se, ne siamo convinti, a Giorgia Meloni suona comunque familiare il vecchio adagio popolare: “dagli amici mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io”.
Cosa del resto confermata da un’altra vicenda poco chiara in cui sono coinvolti altri grandi amici. Una storia che, forse, agli occhi dei sempliciotti appare persino più brutta di quella “Cospito” di cui sopra. Soprattutto in un momento in cui si fatica a pagare l’affitto o il mutuo a fine mese. E non è bello vedere che chi “comanda” è in grado di farsi dare le case che vuole e come vuole, e dove le vuole. La “nomenklatura” non fa parte solo dell’immaginario sovietico.
Parliamo, evidentemente, del caso esploso per le case concesse con forte sconto dall’ente previdenziale Enpaia. Secondo chi denuncia la cosa, ci si troverebbe dinanzi ad un “conflitto d’interessi” visto che uno dei coinvolti è l’altro sottosegretario, questa volta leghista, Claudio Durigon. C’è poi l’appena eletto Presidente alla Regione Lazio, Francesco Rocca. Anche in questo caso si dovrà attendere qualche passaggio giudiziario, se non altro perché Durigon ha minacciato querele a giornalisti che dicono di non averle ricevute, ancora. Vedremo.
Ma c’è da chiederci cosa sarebbe successo se la questione avesse riguardato un semplice cittadino. Vi sarebbe stata comunque un’indagine. Il Ministero competente per il controllo, quello del lavoro, si sarebbe sicuramente attivato. Probabilmente lo sta già facendo. E, però, il sottosegretario Durigon ha proprio la delega proprio alla vigilanza sull’operato degli enti previdenziali e, in ogni caso, occupa una posizione importante al Ministero del Lavoro il quale, appunto, ha il dovere di controllare anche l’ente in questione.
Non sarebbe allora il caso che qualcuno intervenga da Palazzo Chigi, sempre amichevolmente, perché si possa almeno essere sicuri che l’amicizia non diventi più importante della verità che tutti aspiriamo a conoscere senza né pretese giustizialiste, ma neppure interessate e sbrigative assoluzioni?