Usciamo un attimo dai luoghi comuni e chiediamoci chi sia davvero il cosiddetto “uomo forte” cui, secondo il recente Rapporto del Censis, penserebbe quasi la metà (48%) degli italiani
E, soprattutto, esiste, può esistere, è mai esistito veramente l’ “uomo forte”, secondo l’accezione corrente del termine, cioè un soggetto, un individuo capace di catalizzare i timori e le speranze, i sentimenti e le attese, i desideri, perfino quelli confusi ed inespressi, di una comunità disorientata, per ordinarli secondo un indirizzo, una finalità collettiva che esprima il senso compiuto della vicenda storica in quel determinato frangente temporale?
Comunemente lo si intende come un “condottiero” solitario, sostanzialmente un “dictator”, dotato di “imperium magnum”, cioè dei pieni poteri civili e militari, una figura mitica che per tutti traccia il solco e, dunque, un riferimento certo, rassicurante ed “ansiolitico” che risolve in se’ anche le controversie ideali ed i dilemmi etici che sorgono ogni giorno spontanei nella vita di ognuno.
Controversie e dilemmi che, se ognuno li dovesse affrontare da solo, costerebbero personalmente a ciascuno – oggi soprattutto, in una società iperconnessa, dove ogni fenomeno si intreccia inestricabilmente ad ogni altro in una matassa indecifrabile – una fatica morale, cognitiva e psicologica molto onerosa, al limite proibitiva per chi volesse, fino in fondo, essere del tutto trasparente a se stesso.
Non c’è , quindi, da stupirsi che nasca spontaneamente, forse quasi inavvertitamente, in molti una sorta di “transfert” nei confronti di una figura su cui proiettare questo magma di incertezze e di difficoltà, ad un tempo, pratiche ed interiori. E’ più facile, è confortevole e rassicurante allinearsi ed avanzare in un mondo infido coperti dall’ombra di un gigante inappellabile che indichi con sicurezza il cammino e perfino stabilisca ciò che è bene e ciò che è male, per cui anche il peso della responsabilità morale diventa lieve o addirittura si dissolve in un conformismo assimilante e coinvolgente che ottunde ed anestetizza la coscienza.
In fondo, la comparsa dell'”uomo forte”, l’aspettativa che cresce nei suoi confronti altro non e’ che una accelerazione, un balzo in avanti di un processo che viene da piu’ lontano, di un “continuum” di sostanziale rifiuto di una diretta, autonoma, critica e personale assunzione di responsabilità di fronte agli accadimenti della vita.
Cos’è, infatti, il cosiddetto “politicamente corretto” se non la prima embrionale forma, apparentemente nobile, di omologazione dei costumi e delle coscienze, in funzione di un conformismo piatto, ma, in definitiva, accattivante?
La libertà costa e la democrazia è difficile. In questo senso, si può dire che l’ “uomo forte” come tale neppure c’è. Esiste piuttosto – prodotta dalle nostre paure e, soprattutto, dalle nostre inerzie – una figura fantasmatica su cui proiettiamo i nostri turbamenti e da cui attendiamo una soluzione taumaturgica.
Insomma, il cosidetto “uomo forte” è, ad un tempo, attore e vittima trascinata in un infernale intreccio di emozioni che, nella misura in cui sta al gioco, lo inchioda a questo ruolo, in un certo senso, se non a suo dispetto, almeno oltre la sua stessa disponibilità cosciente.
A ben vedere forse, per certi versi, merita perfino la nostra compassione.
Dovremmo chiederci attraverso quali contorti percorsi carsici della psicologia di massa, quella certa persona, e non un altra, sia stata selezionata per rivestire un tale ruolo ingrato. Siamo noi a costruirgli attorno una corazza, anzi un esoscheletro che lo sorregga in questo ruolo impervio, al di là della debolezza intrinseca che, a dispetto dell’immagine fulgida, spesso lo assedia. Ed, infatti, in questo equivoco gioco di convenienze che si incrociano, spesso il presunto “uomo forte” si cala volentieri in questo scafandro protettivo che lo allevia di quella debolezza che non può ammettere, ma di cui sente risuonare in se’ un’eco lontana.
Se li osserviamo da vicino gli “uomini forti” , infatti, spesso appaiono insicuri e fragili, talvolta addirittura soggetti caratteropatici che si nascondono in una assurda ipertrofia dell’Io. Bisognerebbe studiare la dinamica delle piazze oceaniche in cui si realizza un crescendo biunivoco, un gioco di rimandi che si risolve in una spirale perversa.
L’ “uomo forte” incita la folla e la folla eccita l’ “uomo forte” finché gli uni e l’altro smarriscono il senso della misura e quest’ultimo si trasforma, talora, nella figura stereostipata di una macchietta perfino ridicola. Non a caso, del resto, il loro excursus esita, per lo piu’, in una farsa oppure in un dramma.
Ad un certo punto, la parabola si rovescia e l’ “uomo forte”, fedele alla consegna del “frangar non flectar”, si spezza come succede con la fatica del metallo che cede di schianto quando le continue sollecitazioni superano una certa soglia di resistenza. Spesso, addirittura, finisce in tragedia e da eroico semi-dio, l’”uomo forte” si trasforma nella sentina di ogni mane, nel capro espiatorio di un improbabile rito di catarsi collettiva.
In definitiva, scordiamolo e stiamone alla larga. Curiamo, piuttosto, la libera responsabilita’ che tocca a ciascuno. I veri uomini “liberi e forti” che la storia ci consegna – e ce ne sono di splendidi esempi – sono coloro che anzichè nutrirsi della coscienza, dell’autonomia di giudizio, della capacità critica dei loro simili ne evocano e ne esaltano il ruolo. Ma questo succede solo a chi agisce in funzione di un traguardo di alto profilo democratico e porta a compimento, nell’ordine della collettività, un disegno di responsabilità cui concorre la libera coscienza civile di ogni cittadino.
Domenico Galbiati