Correva l’ anno di grazia 1958 – anno di elezioni politiche, a fine maggio – e la professoressa di disegno raccontò divertita, alla nostra classe di seconda media, un aneddoto di cui era stata diretta protagonista e che, se non fosse stato vero, sembrerebbe uscito dalla fervida penna, ad esempio, di un Giovannino Guareschi. A riprova del fatto che, in fondo, la realtà è sempre più ricca di qualunque parto della nostra fantasia, salvo inquadrare l’accaduto non nella “bassa padana” di Peppone e Don Camillo, bensì, su altro fronte politico, a Monza, città di robuste e convinte tradizioni cattoliche.

Dunque, accadde alla nostra insegnante di dover accompagnare, con le sorelle, al seggio elettorale, la nonna che, da fervente cattolica, aveva chiesto di essere istruita ed aiutata ad esprimere il proprio consenso a favore della Democrazia Cristiana. Giunta al seggio, l’anziana signora, per quanto avesse problemi di vista ed un leggero tremore alle mani, non volle saperne di essere accompagnata nella cabina elettorale. Dalla quale, dopo una certa permanenza che cominciava a preoccupare, uscì furente e diede alle malcapitate nipoti una solenne lavata di capo. Le riproverò aspramente di non averla informata che sulla scheda elettorale avrebbe trovato anche la fiamma del Sacro Cuore su cui ovviamente aveva tracciato, con convinzione, la croce, in barba allo Scudo Crociato. Informata di aver votato per la “Fiamma tricolore” del Movimento Sociale, la volonterosa elettrice, di famiglia cattolica, ma di sentimenti antifascisti, fu colta da grave sconforto.

Insomma, la stessa “fiamma” che tuttora arde nel simbolo di Fratelli d’Italia ad imperitura memoria di una infelice e dolorosa stagione della nostra storia, da cui ci siamo fortunatamente riscattati, salvo manipoli di “nostalgici”, cui forse, dopo tanti decenni, si può, compassionevolmente, concedere la buonafede, senza più infierire. Si può dire che l’anziana signora monzese abbia sofferto, in un certo senso, di una carenza di “discernimento”, sia pure del tutto particolare. Ma, in fondo, anche oggi – anzi a ben maggior ragione – si pone per gli elettori cattolici il tema del “discernimento”.

Il pluralismo di indirizzo politico dei cattolici è un dato di fatto, acquisito una volta per tutte e, in definitiva, positivo.
Denota, si condividano o meno le differenziate opzioni elettorali secondo cui si articola, una personale capacità di giudizio autonomo, una criticità, un’assunzione di responsabilità diretta che mostrano come il “vissuto” dei credenti non possa essere costretto nelle maglie di una ideologia che appiattisca le opinioni in un processo di grigia omologazione. Questa autonomia di orientamento politico, in ultima analisi nasce da una libertà di spirito che ha ben altro fondamento.

Il pluralismo non è da confondere, però, con forme sbrindellate di sostanziale indifferenza o di superficialità. Non ha nulla da spartire con una sottovalutazione, un po’ cinica, della politica. Non ha a che vedere con una espressione di voto appiattita sulla convenienza particolare di ciascuno, sull’adesione ad interessi di categoria oppure con una presunta difesa di veri o presunti interessi “cattolici” da presidiare, arroccandosi in una logica identitaria che, in un certo qual modo, crei un solco tra la comunità dei credenti e il resto del mondo.

Il pluralismo ha senso, può recare un concorso ricco ed articolato alla vivacità della comunità civile, a condizione che sia accompagnato dal “discernimento”. Ma dove si fa, chi, dove e come fa “discernimento”? Il cristianesimo è irrevocabilmente segnato dall’”incarnazione”, in ogni senso. Non si esaurisce nella declamazione, né nella perorazione né nell’invocazione morale.

Anche ciò che viene proclamato “sui tetti” è destinato a vivere, a farsi vita nei labirintici meandri della storia, cosi come, nella vicenda di tutti i giorni, brucia sulla pelle e nel cuore di ognuno. Non spetta, dunque, alla comunità
ecclesiale, anche nelle sue articolazioni locali, diciamo pure decanali o parrocchiali, fare “discernimento”, offrire occasioni di incontro tali per cui il discernimento nasca da un confronto tra opinioni differenti che, nel vincolo della fede comune, possa avvenire secondo uno spirito di dialettica amichevole e fraterna? Non è giusto e doveroso richiamare i credenti, da parte della stessa autorità religiosa e pastorale, ad un attento esame di coscienza circa la congruità che corre o meno tra l’impegno e la coerenza della loro fede e le effettive posizioni dei partiti cui guardano preferenzialmente? Altro che formale “moderazione”.

Questa esemplare capacità delle nostre comunità ecclesiali di fare “discernimento” non solo darebbe, nel merito delle questioni in campo, un concorso di analisi pacata ed oggettiva, ma garantirebbe un’esemplare indicazione di metodo per riportare la politica su un piano di consapevolezza della nobiltà che le compete. Per dare consistenza al “discernimento” è necessario esaminare a fondo il rapporto tra fede e politica e capire quale sia quella “lettura” o quell’ intuizione in più che la fede può garantire al “pensare politicamente”. Come può svelare quella ricchezza di valore umano e civile, consustanziale al dono della fede, da proporre come “risorsa” agibile anche a chi non sia credente.

Domenico Galbiati

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