Siamo soliti ricordare la figura di Luigi Sturzo soprattutto come fondatore, nel 1919, del Partito popolare e come battagliero nemico delle «tre male bestie» della società politica italiana: statalismo, partitocrazia, spreco del denaro pubblico.

Questa importante ricerca di Flavio Felice non è dedicata a ripercorrere le tappe dell’esperienza politica del sacerdote di Caltagirone, né a mettere in luce le sue denunce, per molti versi profetiche. L’obiettivo è più ambizioso ed è quello di far emergere il contributo di Sturzo alla teoria politica contemporanea, in particolare attraverso una disamina delle categorie di popolo, autorità politica e democrazia. Felice dunque – sullo sfondo della tradizione cristiana e liberale – propone un dialogo tra Sturzo e alcuni tra i più significativi interpreti contemporanei delle scienze sociali.

Il risultato complessivo ci restituisce un autore non solo prolifico di scritti di teoria politica, ma anche di solide analisi teoriche. Il pregio principale è che tali analisi vengono evidenziate avendo una specifica attenzione anche all’attuale dibattito sulla democrazia, sull’autorità politica, sulla libertà.

Lo sforzo dell’autore non è tanto quello di sottolineare l’attualità del pensiero di Sturzo, quanto l’utilità delle sue analisi per comprendere il presente. Dei molteplici esempi che si potrebbero fare, quello più evidente è dedicato alla distinzione tra la nozione di popolo “nel populismo” e “nel popolarismo”.

Il popolarismo sturziano è infatti radicalmente diverso dal populismo dei nostri giorni proprio per la diversa idea di popolo che sottende: mentre nel secondo è un aggregato amorfo, nel primo esprime una “forza sociale di controllo” in quanto esercita la “funzione di limite mediate organismi procedurali istituzionali”.

In altri termini, il concetto di popolo è “plurarchico” poiché il limite esercitato è di ordine giuridico, istituzionale e culturale. In tal senso, Sturzo individua il problema della politica nella ricerca dei limiti al potere e, allo stesso tempo, riconosce l’autorità come un elemento imprescindibile per ogni società in quanto ne garantisce un principio d’ordine. L’autorità deve però essere basata sul “metodo di libertà” e quindi ricondotta alla dimensione personale e alla coscienza individuale: in altre parole, nessun uomo nasce con la qualità dell’autorità su un altro uomo.

La libertà individuale non deve però risolversi in anarchia ed ecco allora che Sturzo rinvia con forza a una visione poliarchica e bilanciata della sovranità che vede nella democrazia un processo inclusivo. Felice ricorda come per Sturzo – sulla scia di Alexis de Tocqueville – il grande nemico della democrazia è l’assenza di mobilità politica, economica e istituzionale. Per evitare ciò, il pensatore siciliano propone allora un modello di “democrazia organica” che riserva un ruolo attivo ai corpi intermedi, come istituzioni libere dal potere politico e, al contempo, sufficientemente forti da poter interloquire con esso. Il dato significativo di tale proposta – utile anche per una riflessione sul futuro dei regimi politici odierni – è che l’enfasi sulla partecipazione non rimanda a una forma alternativa di democrazia rappresentativa, ma ne specifica un suo carattere fondamentale, ossia la contendibilità delle cariche pubbliche.

Antonio Campati

Recensione  apparsa su Il foglio del 1 aprile 2020

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