L’avvicinarsi delle elezioni europee ripropone, in relazione sia alle contingenze sia italiane, sia a quelle degli equilibri politici dell’intero continente, la questione dei rapporti dei popolari con i conservatori.
Con Giorgia Meloni ha preso più consistenza la presenza di quelli che si chiamano “conservatori” i quali, per una sorta di inconscio pudore, aggiungono alla loro etichetta il termine riformisti. A conferma di come molta politica abbia bisogno di giocare con le parole per cercare di allargare il proprio spettro di richiamo. I conservatori, infatti, sono per loro natura contro le riforme e i riformisti voglio cambiare quello che altri vogliono conservare. Ma va bene così, siamo costretti a dirci.
La questione, però, non è di natura meramente lessicale o di propaganda. Visto che in Italia abbiamo una commistione del tutto “innaturale” formata dalla presenza di alcuni che aderiscono al Partito popolare europeo con le formazioni di destra estrema, quali sono quelli di Fratelli d’Italia e la Lega di Salvini. Forza Italia ed altre organizzazioni, persino più infinitesimali, continuano a restare sulla linea di Silvio Berlusconi che non ha mai avuto il coraggio di dare vita ad una formazione davvero di centrodestra, pienamente e coerentemente europeista in grado di porsi in alternativa alla destra più estrema. E’ questo sarebbe un elemento di coerenza con la linea perseguita dalla maggioranza del Partito popolare europeo, anche se tra le sue fila non mancano coloro che provano a vedere se, in caso di necessità, la Meloni e i suoi conservatori possano essere utilizzati come una “ruota di scorta”.
La situazione ad oggi è molto fluida e una risposta al quesito principale, se cioè si riproporrà una maggioranza “Ursula”, quella che oggi vede la von der Leyen a presiedere la Commissione europea in alleanza con il Partito Socialista europei e i centristi, sarà possibile solamente con il conteggio finale dei seggi che uscirà dal prossimo voto del giugno per il Parlamento di Strasburgo. Ad oggi, l’altalenante andamento delle elezioni svolte in numerosi dei 27 paesi dell’Unione non fanno prevedere grandi cambiamenti, anche se la stampa continua a prospettare l’arrivo della “onda nera” che da tempo qualcuno ritiene stia per interessare l’Europa. Fenomeno in realtà spesso smentito dai risultati che registrano nei singoli paesi. Sì, c’è una crescita dei partiti xenofobi, antieuropeisti, ma senza che ciò significhi lo smottamento necessario a far in modo che la destra diventi determinante.
I popolari si presentano all’appuntamento con la possibilità di essere la prima forza politica a Strasburgo, ma una tenuta del Pse potrebbe lasciare le cose come sono andate maturando già cinque anni fa. Da tempo nel Ppe sta emergendo una diversità di opinioni sul rapporto da tenere con i conservatori, che quasi dappertutto finiscono per essere i loro veri competitori e che in taluni casi, vedi la Spagna, ma anche la Polonia, hanno tolto loro i voti necessari a battere le sinistre.
In ogni caso il popolarismo significa solidarietà, inclusione e ricerca della Giustizia sociale. Più che legittime, allora, le perplessità su chi in Italia e all’estero pensa di poter fare l’occhiolino a Giorgia Meloni per un mero calcolo di potere.