Se si vuole ricostruire un’ aggregazione dei “popolari”, la prova europea può essere un primo utile tavolo sperimentale, ma niente di più. Al quale, peraltro, è possibile giungere a condizione che si sia consapevoli dell’inevitabile connessione che lega il confronto politico interno al nostro Paese e la prospettiva europea.

Ciò significa che gli attori di questa possibile convergenza o hanno fin d’ ora un forte impianto ideale e politico comune oppure si perde soltanto tempo. Se la corsa fosse in funzione di qualche strapuntino a Strasburgo, la cosa sarebbe francamente di trascurabile interesse.

Non si può fare tutto precipitosamente, sia pure dopo anni di appelli, manifesti, dichiarazioni e quant’altro c’è stato, ma pur sempre è rimasto sul piano teoretico o addirittura nel limbo del pre-politico, con tutte le ambiguità e talvolta le furbizie che accompagnano questa postura. Si tratta di disegnare un percorso impegnativo che delinei una prospettiva di grande momento, la quale abbia, niente meno, l’ ambizione di dar vita, nel nuovo millennio, dopo Partito Popolare e Democrazia Cristiana, ad una nuova forma storica che attesti, in questo momento di passaggio epocale, l’ apporto che la cultura liberal-democratica e popolare del movimento cattolico è in grado di offrire al tempo cosiddetto “post-moderno”.

In altri termini, cogliendo, comunque, le opportunità offerte dai prossimi passaggi elettorali – ivi compresi quelli di carattere regionale e locale di grande rilievo per tornare a riportare la politica nella “fisicità” concreta dei territori – è necessario comprendere se i protagonisti di questo possibile processo, condividono, fin d’ira, alcuni capisaldi di un progetto comune.

Anzitutto, condividiamo o no la necessità di “trasformare”, come proponiamo da anni, l’attuale sistema politico, fondato sulla camicia di forza del bipolarismo maggioritario? Per quanto ci riguarda, non intendiamo fare i “caschi blu” della politica, cioè – che si chiami “centro” o “terzo polo” – porci come forza di interposizione entro un sistema ormai asfittico, nel quale l’ uno e l’ altro dei due poli vivono sostanzialmente solo di quel tanto di reciproca delegittimazione che, alla fine, impedisce alle linee di frattura interne ad ambedue di esplodere. Moderare gli eccessi altrui, poco o nulla ha a che vedere con la capacità di costruire una propria originale azione politica.

In secondo luogo, siamo o meno d’accordo circa la necessità di contrastare “premierato” ed “autonomia differenziata”, il che implica, in linea più generale, un atteggiamento di opposizione al governo della destra? Almeno pochi altri versanti andrebbero chiariti per poterci veder chiaro, senza coltivare equivoci che non tarderebbero a lacerare la tela che faticosamente si cerca di tessere.

L’Europa, senza titubanze ed il riferimento alle famiglie politiche continentali, in ordine alle quali, per quanto ci riguarda, resta fermo l’orientamento al PPE, pur nel quadro di un possibile rimaneggiamento dei gruppi e delle appartenenze che potrebbero verificarsi dopo le europee. Il sostegno anche militare all’ Ucraina, senza malcelate ambiguità, le relazioni internazionali nella cornice dei tradizionali rapporti occidentali ed inter-atlantici ricalibrati nel nuovo contesto multipolare.

Il tema delle migrazioni nella prospettiva della progressiva formazione di società multietniche. La priorità dei diritti sociali, il lavoro e l’ educazione, anzitutto, dopo una lunga stagione orientata alla cultura individualista dei diritti civili e le politiche dirette a sostenere la famiglia. I temi della vita e la difesa puntigliosa della dignità della persona.
Pochi punti fondamentali ed altri da focalizzare via via, ma intanto prendendo le mosse da alcuni nodi dirimenti da cui non si può decampare.

Domenico Galbiati

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