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I “sovranismi” dopo il Coronavirus – di Maurizio Angellini e Stefano Aldrovandi

Nel 1648 nel Congresso di Vestfalia fu introdotto il concetto di sovranità statale dando inizio all’epoca degli stati nazione. La prima conseguenza del principio di sovranità fu quella di dare stabilità ai confini tra un territorio e un altro, confini adatti anche a  difendersi dal nemico.

Lo stato nazione giunge alla sua piena maturazione all’epoca dello sviluppo industriale e da allora gli stati nazione hanno combattuto senza soste per estendere le loro frontiere.

Dopo la seconda guerra mondiale le frontiere sono state erose dalla globalizzazione e dalla creazione di unioni di stati come nel caso dell’Unione Europea e, dopo il crollo del muro di Berlino, si pensava  alla fine di tutti i muri e frontiere che separavano i popoli ma le successive guerre in Nord Africa, Medio Oriente, e nell’ ex URSS hanno smentito questo mito. A trent’anni dalla caduta del muro di Berlino la nuova era di cooperazione internazionale si è trasformata nel suo opposto, un confronto/scontro tra popoli. In questi ultimi anni l’esodo di centinaia di migliaia di profughi e migranti verso l’Europa, hanno spinto gli stati europei a chiudere le frontiere per arrestare i flussi migratori e si è cominciato a costruire muri.

L’Ungheria, guidata dal primo ministro Orban, è diventata l’emblema dell’Europa dei muri: 450 km lungo i confini con la Serbia e con la Croazia, cui bisogna aggiungere altre centinaia di chilometri tra Macedonia e Grecia, Croazia e Slovenia, Bulgaria e Turchia, Grecia e Turchia, Calais, Ceuta e Melilla ecc.In totale 1000 Km di barriere per fermare le migrazioni.

Lungo i confini, dove non era possibile costruire muri,  si sono fatti accordi, come nel caso della Libia con la quale l’Italia ha firmato un trattato di amicizia nell’Agosto del 2008 che ha portato ad un crollo degli sbarchi. In altri casi per rafforzare le barriere si sono fatti accordi con alcuni stati come nel caso della Turchia che ha avuto un notevole sostegno economico in cambio di azioni di contrasto ai flussi di migranti verso i paesi europei.

A questi muri europei si aggiungono le barriere costruite in America tra gli Stati Uniti e il Messico, in Africa tra il Marocco e il Fronte di Liberazione del Sahara o in Asia tra la Corea del Nord e la Corea del Sud. Tutta questa attività “edilizia” non ha fermato le migrazioni che sono un evento storico di portata mondiale.

L’ONU stima che nel mondo ci siano 250 milioni di migranti che si “muovono” causa i grossi squilibri economici esistenti a livello mondiale, i cambiamenti climatici e le guerre. Questi movimenti migratori non si fermano con i muri ma risolvendo le cause che sono all’origine di tali movimenti e comunque cercando di coordinare meglio le politiche a livello continentale.

Nessun muro si è rivelato inespugnabile nella storia e i muri “storici” come la Muraglia Cinese, il Vallo di Adriano, o, più recentemente, la Linea Maginot si sono dimostrati inidonei allo scopo per cui erano stati costruiti. Altri muri comunque si sono dimostrati inutili, come quello che circonda parte di Israele.

Esistono muri “immateriali” formati da leggi, decreti e delibere che ogni nazione si dà per tentare di prevenire, regolamentare o cercare di impedire i fenomeni migratori. Basti pensare al terrorismo, ai grandi disastri naturali o al commercio della droga. Legislazioni nazionali non sufficientemente coordinate, permettono ai terroristi o ai trafficanti di droga di agire sul territorio dei singoli stati, mentre  i disastri naturali i terremoti e gli uragani non sono certo rispettosi dei confini; basta pensare alla nube radioattiva di Chernobyl che ha invaso mezza Europa attraversando i comuni che si erano autodichiarati “denuclearizzati” con regolare delibera.

Altri due settori che non rispettano i confini nazionali sono l’ambiente e le pandemie.                                                  Ogni singolo stato ha una legislazione in campo ambientale più o meno coordinata con altri stati a livello continentale. Tale legislazione però non riesce ad arrestare certi fenomeni quali i cambiamenti climatici, l’effetto serra, l’inquinamento atmosferico o delle acque.

L’inquinamento atmosferico prodotto in un determinato stato o in una determinata regione, valica le frontiere sospinto dal vento  o da correnti atmosferiche e va ad intossicare lo stato vicino o altri continenti.La stessa cosa può avvenire con l’inquinamento idrico prodotto in una determinata regione che va ad interessare regioni limitrofe di altri stati. Anche certi fenomeni quali i cambiamenti climatici o il consumo eccessivo delle risorse naturali, che si verificano in determinate zone del pianeta, vanno ad interessare altre zone lontane anche migliaia di chilometri, provocando danni gravissimi.

In questi giorni poi sperimentiamo l’inutilità dei sovranismi per quanto riguarda la diffusione e la gestione delle pandemie. In particolare, per quanto riguarda il corona virus, non appena si è diffusa la notizia della sua gravità ogni stato europeo si è affrettato a chiudere le frontiere pensando di arginare il virus. Numerosi  paesi del vecchio continente hanno blindato i confini, abolendo di fatto il trattato di Schengen che garantiva libera circolazione di persone e merci tra gli stati aderenti alla UE.

Successivamente, visto che il virus non conosce confini, si è cercata una risposta a livello di istituzioni internazionali: mascherine e medici sono arrivati da tutto il mondo e l’Europa sta mettendo in campo tutti i suoi strumenti per contrastare gli effetti del corona virus.

Il MES, gli acquisti illimitati della BCE di titoli di stato del paese che chiede aiuto, la Banca Europea degli investimenti aiuteranno , ci auguriamo, i singoli stati a superare gli effetti economici causati  dal blocco delle economie durante il  corona virus.

Anche in America il nazionalismo e il sovranismo di Trump non sono serviti a impedire la diffusione del COVID 19. Il nazionalismo non è efficace contro le pandemie e i problemi globali richiedono soluzioni almeno continentali.            L’Unione Europea è la casa comune che abbiamo costruito dopo il grande disastro dei nazionalismi che hanno portato alla  seconda guerra mondiale;   a livello internazionale enti quali l’ONU o OMS vanno riformati e potenziati.

I confini nazionali  non fermano il diffondersi delle varie pandemie sanitarie, i disastri ambientali, l’aumento delle grandi  migrazioni  e, soprattutto, la pandemia più grande: quella dell’egoismo e della indifferenza.                                 I confini creano divisioni e alimentano guerre, i confini sono dei palliativi alla paura della globalizzazione.

Gli scambi commerciali e le relazioni internazionali favoriscono la pace e l’unica risposta alle pandemie è la solidarietà. Anche le misure emergenziali messe in campo per combattere il COVID 19 non possono essere applicate ovunque.

Non dimentichiamoci di chi non può stare chiuso in casa, perché la casa non ce l’ha, non dimentichiamoci di chi non può lavarsi le mani, perché l’acqua non ce l’ha, non dimentichiamoci di chi non può ricevere i sostegni economici del governo, perché il lavoro non ce l’ha, non dimentichiamoci delle persone con disabilità, dimenticate da tutti.

Abbiamo bisogno di una nuova universalità per combattere le pandemie sanitarie e l’egoismo dilagante. Cessata l’emergenza tornerà il dilemma solidarietà-egoismo e la pandemia certamente  renderà ancora più acute le diseguaglianze nel mondo tra paesi ricchi e paesi poveri.

Serve una rinnovata cooperazione a livello mondiale e il ruolo delle istituzioni internazionali (OMS in testa) risulta fondamentale. Tocca a noi agire perché il mondo è la casa di tutti e dobbiamo essere solidali con chi soffre fame e ingiustizia. L’ONU ha previsto che i paesi ricchi destinino lo 0’7% del PIL a favore dei paesi poveri per sconfiggere la povertà estrema (meno di un dollaro al giorno) ma siamo ancora lontani da questo obiettivo.

Il fantasma della povertà sta tornando in Occidente, la povertà del mondo ha cominciato a muoversi da sud verso nord. L’Europa è un continente ricco ma vecchio e impaurito, un continente che perderà abitanti e posti di lavoro. L’Africa nel 2050 raddoppierà il numero di abitanti passando da un miliardo a due miliardi e molti giovani privi di futuro saranno spinti verso l’Europa dalla loro povertà attratti dalla nostra ricchezza.

Che fare? Giulio Tremonti ha proposto di dirottare un punto di IVA dall’Europa all’Africa e destinare il raccolto a favore delle ONLUS che operano in Africa. E’ una proposta sulla quale meditare.

Maurizio Angellini e Stefano Aldrovandi

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