(Segue la parte pubblicata ieri CLICCA QUI)

Storia di una dottrina:  Le elezioni del 1816 videro i Repubblicani accordarsi sulla figura di James Monroe. In quelle successive del 1820 quest’ultimo venne facilmente rieletto per via della scomparsa del Partito Federalista.

 In materia di politica estera Monroe poteva ritenersi un acceso nazionalista. Suo Segretario di Stato fu John Quincy Adams, di convinte idee espansioniste che per via del padre si era costruito una solida esperienza in fatto di questioni internazionali. Ai suoi occhi era la provvidenza stessa a dettare che gli Stati Uniti dovessero diventare i padroni di tutto il continente nordamericano: forte della sua posizione, egli decise di fare della diplomazia uno strumento per raggiungere questo scopo.

 Nel corso dell’occupazione napoleonica della Spagna, un certo numero di coloni di discendenza spagnola colsero l’occasione per ribellarsi alla Corona, gesto che  avrebbe successivamente portato alle guerre di indipendenza nei territori dell’America Latina ed in parte in quelli del Nord.

Uomini come Simon Bolivar, da tempo ostili al giogo coloniale spagnolo ed influenzati sia dall’esempio della guerra di Indipendenza americana che dalla Rivoluzione Francese, erano riusciti a creare, anche se solo temporaneamente, degli Stati indipendenti. A seguito di alcuni rovesci, questi movimenti indipendentisti stavano riprendendo vigore negli anni successivi al 1816. Sopprimere le rivolte nei  territori d’America e restaurare il potere assoluto in casa divennero i principali obbiettivi del Re di Spagna.

 Tornando al Segretario di Stato Adams, all’inizio del suo mandato usò il suo talento per comporre alcune vertenze con l’Inghilterra. Egli ottenne poi un importante successo per l’acquisizione delle due Floride: gran parte della colonia era sotto il dominio di Madrid, ma questa non era forte abbastanza per governarla come dovuto.

 Per affrontare il problema Washington incaricò il generale Andrew Jackson di andarvi a mettere ordine. Il suo comportamento sul campo suscitò non poca indignazione, al punto che furono molte le proteste sul suo modo di condurre le operazioni. Adams persuase il presidente Monroe a non sanzionarlo e neppure a ritirargli il suo appoggio. In difesa di questa decisione disse semplicemente che se la Spagna non era in grado di governare a dovere la Florida, sarebbe stato meglio la cedesse agli Stati Uniti.

Il governo spagnolo, che doveva anche vedersela con una serie di rivolte nelle sue colonie in Sudamerica, non potè che cedere e nel 1819 entrambe le Floride passarono agli Stati Uniti a seguito del trattato Adams-Onìs. Quest’ultimo servì anche a definire il confine tra il Messico spagnolo e i territori della Louisiana recentemente acquistati da Washington. La Spagna avrebbe anche rinunciato alle sue pretese sull’Oregon e gli americani alle loro sul Texas.

 Nel 1822 il presidente Monroe, lasciatasi alle spalle la questione delle Floride, decise di riconoscere i nuovi governi sorti dalle rivolte sudamericane. Nel frattempo in Europa Austria, Francia, Russia e Prussia avevano costituito la cosiddetta “Santa Alleanza”, che mirava a sostenere i regimi monarchici e reprimere le forze del liberalismo. Una serie di tumulti nel vicino Oriente iniziarono a preoccupare il cancelliere austriaco Metternich, tanto che nel 1822 si aprì un congresso a Verona il cui scopo era conservare l’ordine vigente in Europa.

 Lo zar Alessandro fece pressioni sul congresso affinché fosse svolta un’opera di mediazione tra la Spagna e le sue colonie in rivolta. Si trattava di un modo elegante per suggerire un intervento militare nell’America spagnola sulla scia del precedente protocollo di Troppau, che stabiliva un principio di sicurezza collettiva di fronte ai moti rivoluzionari. Tra il 1821 ed il 1823 la Santa Alleanza soffocò i moti in Italia e Spagna. Girarono anche voci che intendesse appoggiare Madrid in un tentativo di riprendersi il suo impero in Sudamerica.

 Queste voci rimbalzarono a Washington e crearono in alcuni ambienti non poco allarme: non si trattava solo di questioni di sicurezza ma da parte americana anche del desiderio di esportare il proprio sistema di istituzioni repubblicane. Ad aggravare i timori, un editto russo che mirava ad allargare verso Sud i confini dell’Alaska considerando anche l’eventualità di colonizzare la costa occidentale del Nord America. Quest’insieme di notizie spinsero il presidente Monroe e il suo Segretario di Stato ad manifestare apertamente l’opposizione degli Stati Uniti ad interventi europei nel continente.

 Anche gli Inglesi, che nel corso delle guerre napoleoniche avevano incrementato enormemente le loro esportazioni in America Latina ed intendevano conservare questi vantaggi, ebbero da ridire. Non erano contrari dal loro punto di vista a vedere l’impero Spagnolo smembrato in Stati indipendenti, con i quali avrebbero poi avuto l’opportunità di negoziare dei trattati di libero scambio. Erano dunque contrari a vedere restaurato il dominio spagnolo in quelle ex-colonie.

Alle potenze europee fu chiaro che senza la benevola neutralità di Londra nessuna spedizione armata poteva attraversare l’oceano. Le colonie spagnole d’America, soprattutto per l’uso che l’Inghilterra stava in quel momento facendo della sua forza navale, riuscirono così a conservare la loro indipendenza. Ricevuta dalla Francia l’assicurazione che nulla avrebbe fatto per aiutare gli Spagnoli a riprendersi le loro colonie americane, il Segretario di Stato inglese per gli Affari Esteri George Canning si fece avanti nell’Agosto del 1823 per chiedere l’appoggio americano contro ogni intervento europeo sotto forma di una protesta congiunta. Era infatti sua intenzione contrastare la Santa Alleanza e persuadere le potenze europee che Inglesi e Americani stessero operando insieme.

Il presidente Monroe all’inizio accolse con favore quest’offerta e lo stesso fecero Jefferson e Madison, malgrado la loro contrarietà ad assumere impegni verso l’estero. A non essere d’accordo era John Quincy Adams: era sua opinione che l’Inghilterra si sarebbe in ogni caso opposta ad eventuali interventi europei. Tanto valeva allora che gli Stati Uniti agissero per conto proprio piuttosto che “intervenire come una piccola imbarcazione sulla scia della grande nave da guerra britannica”.

Nel messaggio annuale al Congresso del 2 Dicembre 1823, il presidente Monroe emanò una dichiarazione di impronta nazionalista. Non era altro che una indicazione sulla politica che avrebbero seguito gli Stati Uniti nei confronti dei nuovi Stati indipendenti dell’America Latina. Si trattava di quella che sarebbe stata poi nota come la “dottrina Monroe”.

Vi si avvisavano le potenze europee di astenersi da ulteriori tentativi di colonizzazione che sarebbero stati visti come atto di inimicizia verso gli Stati Uniti: agli Europei di tenersi lontani dal continente americano, così che gli Stati Uniti non sarebbero intervenuti nelle loro faccende e non si sarebbero immischiati nelle questioni delle loro colonie americane.

A farla breve, ogni tentativo delle potenze europee di interferire nelle vecchie colonie dell’emisfero occidentale non sarebbe stato tollerato dagli Stati Uniti: le Americhe “d’ora in poi non sono più da considerarsi come oggetto di ulteriore colonizzazione da parte di qualsiasi potenza europea”. Come egli avrebbe detto in seguito riguardo il suo Paese: “Ovunque sia stato o sarà sventolato lo stendardo della libertà e dell’indipendenza, lì saranno il suo cuore, le sue benedizioni e le sue preghiere. Non va all’estero alla ricerca di mostri da combattere, è il benefattore della libertà e dell’indipendenza di tutti, il paladino ed il vendicatore solo dei suoi”.

Questa dottrina, che per la sua efficacia si affidava alla supremazia navale inglese, passò quasi inosservata e non ebbe effetti immediati per una generazione. A tenere a bada le potenze della Santa Alleanza non furono tanto le parole di Monroe, quanto i cannoni delle navi da guerra della flotta britannica, di fatto la sola in grado di minacciare l’indipendenza degli Stati americani.

In un’ottica più vasta, questa dichiarazione emergeva come una sorta di contraltare a quella espressa da Metternich nel protocollo di Troppau che sanciva il principio di intervento contro le rivoluzioni. A questo principio Monroe sostituiva l’idea che se i regimi rivoluzionari in America Latina fossero riconosciuti dal popolo erano da ritenersi legittimi e quindi non dovevano riguardare le potenze europee.

Nessuna delle potenze europee vi prestò molta attenzione. Fu lo stesso zar Alessandro  a dire “che il documento meritava solo il più profondo disprezzo”. Gli americani stessi non la presero molto sul serio: i loro interessi in America Latina erano minimi ed una volta sfumata l’idea di una minaccia europea, le loro preoccupazioni semplicemente svanirono. Questa dottrina servì agli Americani per evidenziare l’avversione al dispotismo ed in America Latina a marcare la contrarietà al predominio degli Stati Uniti.

Il compromesso del Missouri:  Benché questa vicenda non abbia nulla a che vedere con le questioni internazionali, va comunque menzionata perché avrebbe avuto un ruolo nelle faccende che portarono alla Guerra Civile. Il 3 Marzo del 1820 il Congresso approvò una misura nota come il “Compromesso del Missouri”. Si trattava di una risposta al problema dell’ammissione del Missouri nell’Unione in quanto Stato schiavista. All’epoca in seno all’Unione vi erano 11 Stati schiavisti ed 11 Stati cosiddetti liberisti. L’ingresso del Missouri avrebbe alterato gli equilibri di potere all’interno del Senato e riaperto la contesa sulla schiavitù tra gli Stati del Nord e quelli del Sud.

Per uscire dallo stallo, intervenne l’ammissione del Maine come Stato libero in seguito alla separazione dal Massachusetts. Dopo una serie di manovre il Missouri fu ammesso nell’Unione come Stato nel quale la schiavitù era legale. La condizione  era però che quest’ultima non fosse praticata nel resto del territorio della Louisiana del quale il Missouri era parte. Vi entrò ufficialmente nel 1821. La crisi era però latente: le controversie sullo schiavismo non sembravano dissiparsi, tanto che Thomas Jefferson ebbe da dire che “questa grave questione, come un avviso di incendio nella notte, mi ha svegliato e riempito di terrore”. Forse più pessimista, Adams scrisse nel suo diario “l’attuale questione è semplicemente un preambolo, la prima pagina di un grande, tragico volume”.

La soluzione resse fino al 1854 quando entrò in vigore il Kansas-Nebraska Act che affermava la dottrina della sovranità popolare sulla questione dello schiavismo. Quest’atto contribuì alla nascita del Partito Repubblicano e a trascinare il Paese verso la Guerra Civile.

Gli anni successivi alla dottrina di Monroe:  L’efficacia di questa dottrina dipendeva dalla tacita cooperazione della forza navale inglese. L’interesse di Londra era quello di tenersi distante dal sistema di potere europeo sancito dalla Santa Alleanza per conservare la sua libertà di azione in politica estera. Ciò significava esercitare la sua supremazia marittima, considerare con benevolenza le rivoluzioni in altri paesi e favorire gli scambi commerciali allontanando le influenze europee dagli ex-possedimenti spagnoli d’America.

Nel 1824 e l’anno successivo, un certo numero di paesi dell’America Latina cercarono di vedere se il Dipartimento di Stato fosse interessato ad impegnarsi con loro sulla base della dottrina Monroe. In particolare la Colombia, preoccupata dall’eventualità di un intervento francese, si rivolse a Washington sottolineando che per via di questa dottrina gli Stati Uniti dovevano impegnarsi a venirle in aiuto.

Adams rispose che non vedeva alcuna minaccia francese e che né lui né il presidente potevano coinvolgere gli Stati Uniti senza l’approvazione del Congresso: un modo elegante per evitare la questione e far capire che nessuno avrebbe mosso un dito. Fu così che i paesi dell’America Latina iniziarono a pensare che in caso di necessità era meglio rivolgersi a Londra piuttosto che a Washington. Gli Inglesi di conseguenza si guadagnarono il merito di salvatori dell’indipendenza latina.

Nel corso degli anni Trenta la dottrina non apparve in nessun giornale americano e venne menzionata dal Congresso una sola volta. Nel 1833 gli Inglesi occuparono le isole Malvine e organizzarono tre nuove iniziative coloniali nell’America Centrale. Cinque anni dopo la Francia istituì un blocco ai danni del Messico e dell’Argentina, per intervenire successivamente nelle sue faccende interne. A riprova dell’assenza di interesse nella regione e del fatto che al momento la dottrina di Monroe non significava nulla per gli americani, da parte di Washington non vi fu nessuna reazione.

Nel corso di qualche anno dopo questa dottrina fu resuscitata in quanto poteva essere utile alla causa del nazionalismo americano e dell’espansione verso Ovest come strumento del Destino Manifesto (Manifest Destiny): la convinzione che gli Stati Uniti avessero la missione di espandersi per diffondere il loro modello di libertà e democrazia. I sostenitori di questa teoria, coniata nel 1845, pensavano che questa espansione fosse non solo un bene ma anche evidente ed inevitabile.

Questa teoria presupponeva una volontà della Provvidenza ad attribuire agli Stati Uniti il controllo dell’intero continente nordamericano. Essa conteneva in sé anche elementi idealistici conditi da una vena di romanticismo, in quanto esprimeva la convinzione che il modo migliore per promuovere la libertà consistesse nell’ampliare i territori americani.

Convinzioni simili si diffusero rapidamente per diventare un elemento trainante dell’azione politica che portò all’annessione del Texas, al contrasto con l’Inghilterra sull’Oregon ed infine all’acquisizione della California, del Nuovo Messico e dello Utah. E’ interessante notare quanto queste idee fossero simili a quelle adottate più tardi dalle grandi potenze europee per giustificare le loro politiche imperialiste.

A partire dal 1850 la dottrina Monroe fu accolta con più favore dall’opinione pubblica. E’ infatti in quel periodo che viene descritta come la Dottrina Monroe con la D maiuscola. Il termine “dottrina” non fu mai usato pubblicamente fino a quel momento: in precedenza ad essere utilizzate erano i termini “messaggio” o “princìpi”.

Gli attriti con il Messico ed il problema del Texas:  Dal punto di vista delle nuove repubbliche dell’America Latina la dottrina Monroe, anche se non presa sul serio come appena visto, non venne accolta con favore: se è vero che da un lato le tutelava dalle ambizioni europee, dall’altro le esponeva a quelle americane e fu proprio dagli Stati Uniti che una di queste fu costretta a subire le prime minacce esterne.

All’interno degli Stati Uniti la dissoluzione dell’impero Spagnolo nel corso del primo quarto del XIX secolo lasciò vasti territori quasi disabitati ed in stato di disordine che si estendevano pressappoco dal Colorado fino a Capo Horn. Quando il Messico ottenne l’indipendenza dalla Spagna il suo territorio arrivava quasi sino alle rive del Mississippi ed alla catena delle Montagne Rocciose.

In quello stesso periodo i coloni americani pensavano che lo spazio delle Grandi Pianure non fosse adatto allo sfruttamento agricolo. Rivolsero quindi lo sguardo a quelle ampie estensioni di terreni fertili ed incolti alla frontiera con il Messico. I primi coloni iniziarono a spostarsi verso il Texas a seguito di un invito ricevuto dal Messico. Ottenuta la sua indipendenza, quest’ultimo aveva offerto ampie concessioni territoriali agli Americani purché avessero accettato la sua giurisdizione e si fossero installati in insediamenti non superiori ad un certo numero di abitanti.

nel 1830 su queste terre si erano già stabiliti circa 20 mila coloni, quasi tutti  provenienti dagli Stati del Sud. Si erano portati appresso i loro schiavi per coltivarvi il cotone, bene molto richiesto dall’industria britannica. L’anno precedente il governo messicano aveva abolito la schiavitù e cominciava anche ad allarmarsi per il numero dei coloni che entravano nei suoi territori. Vietò l’immigrazione e tentò di applicare le proprie leggi contro lo schiavismo. Gli attriti furono inevitabili.

Senza troppi scrupoli, questi si ribellarono e all’inizio del 1836 proclamarono una loro repubblica che chiamarono Texas chiedendone successivamente l’annessione agli Stati Uniti: il Messico non gradì la cosa e a non gradirla furono anche gli Stati del Nord. L’annessione di questi territori avrebbe potuto infatti rafforzare la causa dello schiavismo ed accrescere il peso del Sud.

Washington considerò questa richiesta come foriera di problemi. Il presidente Jackson preferì accantonare la questione e lo stesso fece il suo successore Martin Van Buren. Scontenti per questi rinvii ed in astio agli Stati Uniti, i texani volsero lo sguardo alla Francia e alla Gran Bretagna. Un Texas indipendente avrebbe fatto comodo soprattutto agli Inglesi: avrebbe messo un bastone tra le ruote all’espansionismo americano e offerto un mercato alle sue esportazioni rendendo le sue industrie meno dipendenti dal cotone americano.

Quest’interesse dell’Inghilterra per il Texas non piacque a Washington, tanto che il presidente John Tyler ed il suo Segretario di Stato Abel Upshur, favorevoli entrambi ad una politica di espansionismo, ripresero le trattative nell’autunno del 1843. Contrari al Compromesso del Missouri, erano dei conservatori che credevano nei diritti degli Stati e nella limitazione del potere federale.

Queste trattative continuarono con l’arrivo del nuovo Segretario John Calhoun a seguito della morte del suo predecessore. Anche lui era un espansionista ed un difensore degli interessi del Sud. Con 35 voti contrari e 16 favorevoli la proposta di annessione naufragò poco dopo in Senato: l’ingresso del Texas nell’Unione quale stato schiavista avrebbe potuto infrangere gli equilibri in quanto stava riesplodendo la questione dello schiavismo.

La guerra con il Messico:  Mentre si svolgevano questi fatti, dei coloni americani posarono lo sguardo su altri due territori scarsamente popolati appartenenti anche loro al Messico: la California ed il Nuovo Messico. Tra il 1830 ed il 1840 vi si stabilirono un certo numero di commercianti, presto seguiti da una prima ondata di coloni. Nel 1845 se ne contavano circa 700 che già pensavano a rendersi indipendenti dal Messico per far parte degli Stati Uniti. In quel frangente, sia il presidente Tyler che il governatore del Tennessee James Knox Polk temevano che Londra avrebbe potuto estendere le sue mire anche alle coste del Pacifico.

Poco prima della scadenza del suo mandato, il presidente Tyler, nel Novembre del 1844, suggerì che il Congresso realizzasse l’annessione del Texas con una risoluzione congiunta delle Camere: l’espediente avrebbe richiesto una maggioranza semplice piuttosto che quella di due terzi richiesta al Senato per la ratifica di un trattato. Una volta approvata, Tyler la firmò a due giorni dalla fine del suo mandato il 10 Marzo 1845. In risposta, Londra tentò di persuadere il Texas a mantenere la sua indipendenza ma questi votò l’annessione ed entrò nell’Unione come Stato unico nel Dicembre 1845.

Il 4 Marzo del 1845 Polk fece il suo ingresso alla Casa Bianca per rimanervi fino al 1849. Era un Democratico che in politica estera si era impegnato nel corso della sua campagna elettorale ad espandere la nazione secondo la teoria del Destino Manifesto. Primo punto del suo programma era l’annessione del Texas, avvenuta però poco prima che egli entrasse in carica. Il secondo era l’allargamento dei confini del territorio dell’Oregon ed il terzo l’acquisizione della California dal Messico.

All’inizio del XIX secolo, Russia, Gran Bretagna Francia e Spagna avevano tutte avanzato pretese sul quell’insieme di territori che dalla California arrivavano all’Alaska e dalle Montagne Rocciose fino al Pacifico. Entro breve tempo la vertenza finì col ridursi ad una disputa tra Stati Uniti ed Inghilterra che si concluse in un accordo che lasciava questi spazi aperti ad entrambi.

L’interesse americano per questi territori si riaccese dal 1840, tanto che alla fine del 1845, dopo aver instaurato un governo provvisorio, i coloni americani chiesero di ottenere l’esclusiva giurisdizione dagli Stati Uniti. Facendo riferimento alla dottrina Monroe, il presidente Polk informò il Congresso che non avrebbe consentito sul continente americano la presenza di colonie europee. Queste le sue parole, il cui senso non poteva essere più evidente: “E’nostra politica dichiarata che nessun altra colonia o dominio europeo possa essere stabilita in qualsiasi parte del continente americano”. Era un avviso a chiunque di tenersi lontani da quei territori che intendeva annettere al paese. Sottolineò anche come palese ed inequivocabile il diritto degli Stati Uniti sull’Oregon, diritto che se necessario avrebbe difeso fino in fondo.

A Londra questa dichiarazione fece poco effetto. Accadde però che le relazioni tra Washington ed il Messico finirono col deteriorarsi rapidamente. Dal canto suo l’Inghilterra aveva trasferito sull’isola di Vancouver la sede della compagnia della Baia di Hudson. A questo punto, a nessuna delle due parti conveniva più iniziare una diatriba sui confini tra i rispettivi territori: fu presto raggiunto un compromesso ed il confine tra Stati Uniti e Canada venne stabilito al 49° parallelo.

Il trattato dell’Oregon fu ratificato dal Senato il 18 Giugno del 1846. Per via del clima e della natura del terreno, questi entrò a far parte dell’Unione come Stato libero. I Democratici dell’Ovest, che ai termini di questo compromesso erano contrari, si sentirono traditi e ne sarebbe presto nata una frattura all’interno del Partito.

Dopo un periodo di attriti e risentimenti tra coloni americani e autorità messicane, al momento dell’annessione del Texas il Messico ruppe le relazioni con gli Stati Uniti. La stampa locale iniziò a premere per una guerra. Nell’estate del 1845, il presidente Polk, che non poteva non appoggiare le pretese del Texas sui confini tra i due paesi e che poco prima aveva tentato invano di acquistare la California, ordinò al generale Taylor di entrare nell’area contesa. A seguito di questa guerra il Messico perse anche i suoi territori del Nord-Ovest.

Il 2 Febbraio 1848 con il trattato di Guadalupe Hidalgo il Messico cedette agli Stati Uniti i territori della California e del Nuovo Messico e la nuova frontiera tra i due Paesi fu stabilita dal corso del fiume Rio Grande. Entrambi saranno ammessi nell’Unione come Stati liberisti. Questa fu la prima guerra nella quale un presidente degli Stati Uniti agì da Comandante in capo delle Forze armate come indicato dalla Costituzione.

All’epoca i più ferventi espansionisti provenivano dai ranghi del Partito Democratico ed erano originari degli Stati del Sud. Come vedremo più avanti, chi si era opposto alle posizioni del presidente Polk riteneva che avessero come scopo quello di favorire gli interessi del Sud e dei latifondisti proprietari di schiavi.

Continuano le tensioni tra Nord e Sud:   Con l’avanzare del tempo le dispute sullo schiavismo andavano aumentando, il Texas pretendeva una parte del Nuovo Messico e nel 1848 fu scoperto dell’oro nella valle del Sacramento. L’anno successivo la California fu invasa da circa 80 mila cercatori d’oro ed inoltre promulgò una Costituzione che vietava lo schiavismo per poi entrare nell’Unione come Stato nel 1850. Pochi mesi dopo altrettanto fece il Nuovo Messico.

L’ammissione di questi due Stati come liberisti creò delle preoccupazioni al Sud, in quanto avrebbe potuto modificare l’equilibrio regionale nel Senato: all’epoca infatti gli Stati liberisti e quelli schiavisti erano in numero pari, 15 per parte. Con l’ammissione della California come Stato liberista, il Sud che era già in netta minoranza alla Camera perse la parità di rappresentanza in Senato.

Negli Stati del Sud, soprattutto nella Carolina del Sud e nel Mississippi, dove la popolazione di colore era la maggioranza, si andava sviluppando un inquietante movimento secessionista. Di fronte a questo pericolo per l’Unione il 31° Congresso si adoperò alla ricerca di un compromesso. A sbloccare la situazione giunse l’improvvisa morte del presidente Taylor nel Luglio del 1850. A metà Settembre il cosiddetto Compromesso del 1850, raggiunto per far rispettare la legge sugli schiavi fuggitivi, era stato approvato: nessuna delle parti era pienamente soddisfatta ed i più radicali tra i Sudisti si convinsero che non vi fosse futuro all’interno dell’Unione.

Le crescenti differenze tra Nord e Sud stavano creando e rafforzando in quest’ultimo un senso di unità, accompagnato da un sentimento di diversità rispetto al resto del paese.

Le presidenziali del 1852 aprirono le porte della Casa Bianca a Franklin Pierce. Egli sapeva che gli americani erano soprattutto interessati a porre fine alle contese interne. Per distogliere lo sguardo dalla questione schiavista e dalle complicazioni che ne seguivano, il nuovo presidente pensò che non vi sarebbe stata cosa migliore che lanciarsi in una politica estera espansionista. Intendeva in questo modo concedersi quello spazio di manovra che gli mancava nel paese. A Cuba lo schiavismo ancora esisteva ed egli pensò bene di appropriarsene.

Quest’isola era l’ultimo lembo rimasto dell’Impero Spagnolo nel continente americano e si trovava in un’importante posizione strategica. Provenienti soprattutto dagli Stati del Sud, alcuni reduci della guerra messicana organizzarono spedizioni con l’intento di occuparla. I cubani però non si sollevarono e la loro delusione fu grande. Nel 1854 il Segretario di Stato William Marcy incaricò il rappresentante americano a Madrid di offrire 130 milioni di dollari per l’acquisto di Cuba.

Era sottinteso che se l’offerta fosse stata respinta sarebbe stato possibile usare altre vie per sottrarla al dominio spagnolo. Da queste manovre ne uscì il cosiddetto “Manifesto di Ostenda” che però finì in mano alla stampa. Gli ambienti anti-schiavisti del Nord ne furono indignati, tanto che Marcy dovette smentire tutto e naufragò così il tentativo di annettere Cuba. La mancata acquisizione di un territorio nel quale si praticava ancora lo schiavismo fu per il Sud una grande delusione.

Il Kansas-Nebraska Act e successive tensioni sociali:  Nel 1854 il Congresso aveva in mente la costruzione di una ferrovia transcontinentale verso il Pacifico. Era desiderio del senatore dell’Illinois Stephen Douglas che passasse per Chicago. I Sudisti volevano invece che passasse dalla California, attraversando il Texas per poi toccare New Orleans. Le parti giunsero ad un compromesso e presentarono il Kansas-Nebraska Act: in cambio del passaggio della ferrovia per Chicago vennero creati due nuovi Stati in quei territori dove sarebbe transitata: il Kansas ed il Nebraska, divisi dal 40° parallelo.

Si trattava a questo punto di decidere se consentirvi o meno lo schiavismo. Due erano le possibilità:

1) applicare il Compromesso del Missouri del 1820, che vietava la schiavitù al di sopra del 36°30′ parallelo e perciò anche in questi due territori. A questa ipotesi erano favorevoli gli Stati del Nord;

2) applicare un sistema analogo a quello definito nel compromesso del 1850, grazie al  quale California e Nuovo Messico erano stati ammessi nell’Unione. La questione dello schiavismo sarebbe stata poi affidata ad un voto popolare all’interno dello Stato stesso. Questa era la soluzione più gradita agli Stati del Sud.

A prevalere fu questa ipotesi, il cui costo politico si sarebbe però rivelato altissimo. Con l’annullamento del compromesso del Missouri, nel quale si era tentato di venire incontro alle aspirazioni del Sud senza danneggiare quelle del Nord, si verificò un riassestamento delle alleanze a livello politico. Apparve sulla scena un partito nuovo, quello Repubblicano, opposto allo schiavismo non solo per motivi morali ma anche per ragioni economiche e sociali.

Un costante e crescente flusso di immigrati, molti dei quali provenienti da paesi cattolici, fece emergere verso il 1853 una questione nazionale che portò alla nascita di numerose società segrete. Dopo essersi collegate tra di loro nel ”Ordine della Bandiera a Stelle e Strisce”, queste confluirono in un movimento politico di impronta nativista e sovranista conosciuto come Know-Nothing, o Partito Americano.

Il suo scopo era quello di purificare la politica e limitare l’influenza degli immigrati. Al grido di “Gli Americani devono governare l’America” reclamavano leggi di naturalizzazione più severe, prove di alfabetizzazione per accedere al voto e l’esclusione degli stranieri e dei cattolici dagli uffici pubblici. Per un breve periodo partecipò alla vita nazionale per poi dissolversi gradualmente: malgrado gli allarmi, nessuno nel Paese si sentiva veramente in pericolo, essendovi oltretutto cose più importanti cui occuparsi.

Uniti dallo stesso clima di paranoia politica, in alcuni casi i suoi sostenitori si erano alleati tacitamente con i Repubblicani. In seguito a questo periodo di disordine politico nel 1856 si era dissolto il partito Whig, i Democratici erano diventati più Sudisti, i Know-Nothing scomparvero nell’oblio ed il Partito Repubblicano, in rapida ascesa, stava diventando la forza politica dominante nel Nord. I fermenti nel Kansas stavano contribuendo a diffondere sospetti su una congiura di proprietari di schiavi del Sud. (Segue)

Edoardo Almagià

 

About Author