Il 27 marzo del 1992 veniva emanato il DPR “Atto di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza”, pubblicato sulla G.U. n. 76 del 31/3/92 – Serie Generale, ovvero il decreto istitutivo del Servizio di Soccorso Sanitario di Urgenza ed Emergenza 118.

Oggi la situazione non è ancora univoca su tutto il territorio nazionale, sia per quanto riguarda la fase di allarme sia per le fasi successive di intervento e ripristino, essendo la sanità pubblica delegata alle regioni, spesso in competizione tra esse. Vi sono plurime differenze di modelli organizzativi inerenti il personale, le strutture e le dotazioni. Finanziamenti e costi sostenuti a carico della collettività sono stati plurimi e costanti. Fino a oggi il sistema ha resistito grazie al lavoro di bravi e impegnati professionisti; il volontariato ha caratterizzato un’importante parte di storia dal secondo dopoguerra, a cui oggi stiamo chiedendo troppo e di non finalizzato: non è corretto agire con la professionalizzazione del volontariato stesso.

La storia del Soccorso Sanitario italiano è suddivisa in molti capitoli e la trattazione merita esposizioni dedicate: per gli interessati, il libro edito da Pagina Editrice nel 2014 dal titolo “30 anni di Soccorso in Italia”, scritto da Stefano de Vecchis un carissimo collega friulano, storico del Soccorso Sanitario e Pubblico europeo, può aiutare a comprendere le dinamiche intercorse in questi trent’anni.

In sostanza il DPR del 1992 gettava le prime fondamenta con piccoli accenni di aggiustamento per il futuro, ma nel contempo trascurò una serie di norme già esistenti o in divenire nello stesso periodo (pertanto i lavori parlamentari probabilmente furono condotti in stanze separate): un importante dettato comunitario dell’anno precedente, la Decisione del Consiglio 91/396/CEE del 29 luglio 1991, sull’introduzione di un numero unico europeo per chiamate di emergenza, la legge 1 Aprile 1981, n. 121 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 10 aprile 1981 n. 100 “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza”, un primo capitolo di norme inerenti l’ordinamento del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e la legge n. 225 del 24/02/1992 (emanata un mese prima), istitutiva del Servizio Nazionale di Protezione Civile.

Essendo il Soccorso Sanitario italiano l’ultimo nato degli enti civili facenti parte del Soccorso Pubblico, il legislatore intenzionato a predisporre un’organizzazione territoriale simile a quella degli altri enti del Soccorso Pubblico, non ha stimolato (oppure ha riscontrato ostilità), nelle amministrazioni regionali a effettuare un passo lungimirante per trasformare quanto già in essere, per un servizio integrato utile alla sicurezza civile nazionale.

Questo modo di non rivedere la storia legislativa del Paese, lo si riscontra  ancora nella cosiddetta legge Madia, la legge 7 agosto 2015, n. 124, dove a seguito di incapacità governative intercorse dal 1991 con a seguire ingerenze regionali, si introduce un modello organizzativo frammentario di gestione delle chiamate di emergenza con un approccio maldestro di revisione di alcuni enti dello Stato in materia di pubblica sicurezza e soccorso. Ciò senza aver prima organizzato e stabilizzato l’apparato del Soccorso Pubblico italiano, in un’ottica di equivalenza europea. Il lavoro svolto negli ultimi dodici anni da un gruppo di professionisti piemontesi (cito tra i primi Stefano Agostinis e Marioluca Bariona che hanno prodotto tesi di laurea e relazioni presentate in commissioni al Senato), coinvolgendo colleghi appartenenti agli enti del Soccorso Pubblico di altre zone del Paese (lavoro culminato nella Consensus Conference di Torino nel 2019 – CLICCA QUI , ha delineato molto bene la situazione in essere e in divenire, se il procedimento dettato dalla legge Madia dovesse proseguire.

Il nostro Paese di fronte a situazioni di emergenza interna ha risposto abbastanza bene solo sulla fase dell’intervento “sic e simpliciter”, avente come base la disponibilità dei cittadini italiani a compartecipare in diverse modalità, ma con evidenti costi triplicati dovuti a: assente previsione e prevenzione, un assetto diversificato istituzionale, organizzativo e di preparazione degli enti deputati a svolgere questa sensibile funzione. Vi sono troppi enti, la materia è delegata a plurimi livelli amministrativi con altrettante declinazioni di indirizzo, spesa, formazione e altro ancora. Seppur alcune importanti innovazioni nella cura del paziente e dell’interventistica di soccorso strutturale in emergenza sono avvenute, le società scientifiche competono tra di esse sembrando più compagini di gruppi condizionati, che laboratori di scienza. Si aggiunge purtroppo, e la rassegna stampa dell’estate scorsa ha mostrato l’ennesimo esempio di opportunismo senza freni in Lombardia, basato su interessi personali ed economici, governati da partitica e politica di basso profilo, l’obiettivo del servizio al cittadino e al suo territorio è ben lontano da allo spirito di servizio (situazioni ancora in esame da parte di alcune Procure della Repubblica –CLICCA QUI . Se non avverrà una trasformazione di questo apparato partendo dalle fondamenta, sarà sempre più difficile l’affronto di prossime difficoltà interne al Paese originate da fenomeni propri o di derivazione oltre confine. l’Italia non ha disinnescato la “bomba sociale”, non ha reso stabile la rete dei servizi alla persona e non ha ancora trovato una quadra per conciliare vita e lavoro. Trave e pagliuzza non agevolano le situazioni. Anzi, il rischio è che chi amministra l’ambito del Soccorso Pubblico e della Sicurezza, constatando che il sistema sociale non si fa carico dei bisogni della popolazione risolvendo quindi l’insorgere di rischi,  pur sapendo che non è ambito di competenza, trovi terreno fertile per ottenere (e quindi sottrarre) l’acquisizione di risorse economiche per servizi che la domanda non richiede.

Che cosa è necessario per portare il nostro Paese a essere in linea con le buone prassi europee e quindi entrare in una vera rete di Soccorso Pubblico Europeo? Lo studio e la consultazione di ciò che avviene in Europa, mi porta a presentare una pianificazione che sintetizzo.

Innanzitutto una fase d’indagine meticolosa su cosa realmente abbiamo a disposizione in termini di strutture operative territorialmente, strutture di comando e controllo della sicurezza, emergenza e soccorso, protezione strategica e le strutture formative superiori e accademiche. In questo modo sicuramente emergeranno duplicazioni, sprechi, servizi non necessari. Svolto questo fondamentale passaggio di base, passare al più alto dei sistemi di governo del Soccorso, ovvero le strutture che devono rispondere all’insorgenza di un bisogno di emergenza: le Centrali Operative che dovranno ormai divenire interforze, multidisciplinari, integrate rispondenti a un unico numero, con il personale professionista  qualificato ed esperto, proveniente dagli enti deputati al Soccorso Pubblico. Segue il riordino degli enti del Soccorso Pubblico: unica forza di Polizia, unica forza di Soccorso Tecnico Urgente (Vigili del Fuoco), unica forza di Soccorso Sanitario. L’obiettivo è accorpare per funzioni e non per territori.  La formazione, ovvero la Scuola, di cui tanto si scrive e si parla, ma all’atto pratico in questo settore è aggredita e ferita dall’arrivo dei metodi di corsificio erogati da parti non istituzionali del mondo scolastico e accademico: la formazione deve essere unica, integrata e trasversale ai tre enti cardine del Soccorso Pubblico con una erogazione di livello accademico e di scuola superiore. E’ la Scuola che deve preparare le persone per le professioni, non si creano professioni con un “corso” di una manciata di ore per lavorare in un ambito strategico come quello in esposizione: le professioni senza cultura non hanno futuro. La fornitura delle dotazioni dovrà transitare da un sistema unico nazionale di appalti che dovrà cambiare l’etica degli acquisti: prima la qualità, la progettazione e poi il lavoro sui costi; non si gioca al ribasso per la sicurezza del cittadino, del suo territorio e di chi lavora per essi. Servirà una nuova struttura interministeriale: oggi agenzie, dipartimenti e autorità pullulano. E’ sufficiente un rinnovato Ministero dell’Interno che focalizzi  la sua attività proprio su questo argomento, nulla di più. La tutela della salute professionale sarà esclusiva dell’Inail che dovrà aggiornare le materie inerenti tale settore. In pratica una trasformazione che renda il servizio uguale in tutta l’Italia.

Concludendo, questi trent’anni sono stati sufficienti per capire che la storia legislativa va considerata prima di mettere mano a una trasformazione che riguarda i servizi indispensabili, strategici e fondamentali per la persona e per il territorio in cui vive. Le riforme pensate senza considerare un minimo storico legislativo, senza considerare la realtà trascorsa, attuale e gli scenari futuri, portano inevitabilmente a disfunzioni, disaffezioni e sperpero di risorse senza mai arrivare a una stabilità che doni serenità al vivere quotidiano. Questa capacità di considerazione chi la può avere e chi la può esercitare? Insieme da tempo lo afferma chiaramente.

Marco Torriani

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