Il bambino che – ad un risveglio improvviso – si mette ad urlare nel buio della stanza, segnala l’ angoscia di chi si sente smarrito e solo, abbandonato a se stesso, in una condizione indecifrabile che avverte come minacciosa. Il suo grido disperato, prima che una richiesta di aiuto, è l’unica modalità di cui dispone al momento per darsi un riferimento che, in qualche modo, lo rassicuri; quell’urto, in fondo, riempie comunque di una presenza il vuoto incombente e cieco che lo minaccia.
Il “sovranista” – lo sappia egli o meno – è, anzitutto, un bambino che grida nel buio. Ha smarrito i punti cardinali della sua tradizione, è disorientato ed insicuro; avverte, in modo subdolo e sottile, di non avere piena contezza di sé.
Siamo circondati da una gamma di fragilità ben più ampia di quanto immaginiamo e, dunque, facilmente preda di suggestioni. L’atteggiamento “sovranista”, il sentirsi ricompresi in una entità sovraordinata e fortemente coesa, chiusa ed impenetrabile , funge da surrogato e vorrebbe soccorrere un’identità opaca ed allarmata. Scossa, ad esempio, dal “diverso” che non riesce a ricondurre a sé ed ai suoi riflessi consolidati.
In definitiva, il sovranista va compreso. Dev’essere analizzata e capita la dinamica che l’ha condotto ad un approdo rancoroso e pregiudizialmente ostile che, di per sé, non è detto gli appartenga. Deve pur credere in qualcosa, quanto più ha cessato di credere in se stesso. Per molti aspetti, altro non è che l’inconsapevole prodotto delle tensioni irrisolte del nostro tempo, cui tutti, per l’uno o l’altro verso, concorriamo.
Strumentalizzare questo sentimento strisciante e diffuso non è difficile. Senonché assecondare il sintomo vuol dire entrare in un gioco perverso ed anche un po’ vile che, anziché contenere la malattia, ne estremizza gli esiti. A chi chiede qualche certezza in più, un orizzonte di senso, la speranza in un domani credibile bisognerebbe, al contrario, offrire una via d’uscita che lo liberi dal bozzolo protettivo in cui si illude di trovare quella consapevolezza di sé che vacilla. Senonchè, combattere o invertire la tendenza di questi sentimenti collettivi è tanto più difficile quanto più, dietro la maschera dura ed aggressiva che mostrano, tradiscono, al contrario, una fragilità che non si può confessare, meno che mai a se stessi.
Poi arriva la mamma, apre la finestra e la luce che irrompe restituisce d’incanto al bimbo l’ ordine finalmente riconoscibile e sensato del suo mondo. Un ordine che il piccolo – guarda caso – non recupera, ad esempio, esplorando a tentoni il microcosmo oscuro della sua cameretta, bensì solo quando può finalmente ricollocare quest’ultima nel contesto dello spazio che la ricomprende, più ampio, anzi illimitato così come glielo porge la luce. È possibile, in qualche modo, illuminare la stanza plumbea del sovranista ed invitarlo ad uscire dalla prigione cui lui stesso si consegna?
Forse, offrendogli una griglia che, per quanto pur sempre flessibile e mai del tutto compiuta, renda l’idea di una impalcatura credibile di “sovranità” effettive e vere, ad un tempo, concorrenti e convergenti che forniscano una “road map” almeno sufficiente a non perdersi in un ginepraio inestricabile di possibili cammini alternativi.
Come intendere oggi – contro la degenerazione del “sovranismo” – la consistenza solida di una “sovranita'” reale che sia ancora possibile nel mondo slabbrato della secolarizzazione compiuta? Una sovranita’ “regale”, statuita una volta per tutte in un vertice inconcusso, da cui discenda, per ordini e gradi distinti, una gerarchia ben definita di poteri non è più di questi tempi.
La stessa “sovranità’” che la Costituzione conferisce al “popolo” – per essere storicamente efficace piuttosto che una semplice petizione di principio – deve articolarsi sul piano funzionale, adattandosi alla plurale particolarità dei dominii cui è deputata a sovraintendere, così come vengono posti dalle dinamiche intrinseche di una realtà che ci incalza.
Se per sovranità, quindi, intendiamo la titolarità a governare efficacemente, in modo integrato e secondo un ordine di principi e di valori comuni, una pluralità difforme di ambiti tematici, è anzitutto indispensabile individuare per ciascuno di questi la dimensione spaziale e la relativa valenza temporale su cui costruire la sovranità appropriata che gli compete.
Questo significa riconoscere come, a differenza di quanto troppo superficialmente alcuni affermano, lo Stato nazionale continui a sviluppare un ruolo essenziale, anzi ancora decisamente prioritario, sul piano del l’attestazione della “sovranità” di un popolo.
Ma pur deve articolare questa funzione per multipli e sottomultipli. Importanti e vasti settori della vita quotidiana possono essere efficacemente amministrati solo da un’autorità politico- istituzionale ritagliata sul territorio in termini di autonomie locali ben definite e forti.
Va ripensato ed ancora valorizzato il “municipalismo” sturziano, in quanto momento essenziale di coesione sociale e di consapevolezza civile della collettività. E, soprattutto, è del tutto evidente come l’Europa sia un fattore di “sovranità’” da cui non si potra’ mai più prescindere.
E’ perfino superfluo esemplificare. In un contesto geo-politico a dimensione ormai planetaria, l’Europa è un fattore potentissimo di “sovranità” autentica, sia per il cittadino che concorre alla vita democratica del vecchio continente, sia per gli stessi Stati nazionali che solo, in una prospettiva europea, possono affermare una autorevolezza che rischia, altrimenti, di venire resa opaca dalla pervasività di altri poteri. In definitiva, una sovranità che, anziché chiudersi a riccio, via via si allarga per cerchi concentrici.
Domenico Galbiati
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