In questi giorni di dolore e riflessione dopo l’ennesima sciagura ambientale che ha ha strappato tante vite ad Ischia vale la pena di riandare ad un intervento di Alessandro Diotallevi del 2018 in cui l’autore sottolinea il protrarsi di “una prolungata incapacità di proporre al paese una direzione”, cosa che a ben guardare determina una serie anche di accadimenti, inclusi eventi tragici provocati dalle tante incurie che ci caratterizzano. E che riguardano il territorio, le morti sul lavoro, la negata giustizia, un sistema scolastico che non funziona più e via discorrendo. Non sempre però, per quanto siano drammatici le vicende che ci colpiscono, riusciamo ad andare alla vera sostanza dei problemi che, come ricorda in questo articolo Alessandro Diotallevi, vanno persino ad incidere sulla funzionalità prevista dalla Costituzione al fine di assicurare quello che dovrebbe essere davvero il nostro vivere civile. Non è un caso se in questo articolo che data circa quattro anni si parla di una pratica, quella del “condonismo” che finisce per diventare una delle tante “trappole” che minano alla base la nostra democrazia.
C’è un problema reale con il quale i cattolici devono fare i conti: quello di una democrazia piagata .
Chi le abbia inferto i colpi più duri è noto a tutti: sono stati i suoi amministratori. Partiti, Parlamenti, Governi hanno inseguito il proprio tornaconto a spese della democrazia. Se così non fosse, non saremmo largamente convinti di una sua crisi. E coloro che eventualmente la denunciassero dovrebbero essere considerati agenti antidemocratici.
Problema talmente grave da provocare il dubbio di essere capaci di affrontarlo. Effettivamente, nei tempi che corrono è più difficile dichiararsi amici della democrazia che suoi nemici, proprio perché al suo interno coloro che legittimamente (democraticamente) ne hanno la rappresentanza e la responsabilità posseggono il potere di svuotarla e di rovesciare sugli altri l’accusa di non rispettarla.
Che fare? Domanda che ci insegue ormai da troppo tempo. La verità è che si fa poco o nulla. La risposta, ciò nonostante, non è difficile. Si deve contribuire a risanare la democrazia con gli stessi strumenti con i quali essa è stata piagata.
Questa è la strada e bisogna cominciare a percorrerla, non da pellegrini isolati ma con spirito di comunità, quindi da gruppi organizzati, dialoganti e proponenti.
Se una debolezza può essere indicata a buona ragione, questa risiede – mi sia perdonata la temerarietà dell’affermazione – in una prolungata incapacità di proporre al paese una direzione. Insomma, non siamo riusciti ormai da troppo tempo a passare dal gruppo di coloro che vedono e soffrono la crisi a quello di coloro che reagiscono e propongono. Non che non siano state prodotte buone idee, figlie di analisi approfondite, ma tutte, quasi sempre, sono state arrestate da una volontà temporeggiatrice che le ha rese invisibili e sottratte al giudizio popolare. Talchè, anche in ambienti laici, con precedenti, manifeste ostilità verso i cattolici, si è sentito dire che alla democrazia è stata sottratta una linea di pensiero costituita proprio dalla dottrina sociale cristiana (certo non interpretata da contingenti pseudo rappresentanze politiche sedicenti cattoliche).
Ora, la democrazia che è la modalità di esercizio della sovranità che appartiene al popolo ha un fondamento nella Costituzione. Per quanto possa apparire enfatico, la Costituzione è davvero una casa comune di una nazione, il sistema delle regole di base dello stare insieme. Se, come è il caso del nostro Paese, le piaghe della democrazia non hanno origine costituzionale, bensì negli strumenti a valle della legge fondamentale, è il momento di rinforzare la Costituzione. E lo si deve fare sposandola integralmente, quindi lavorando con le categorie politiche, morali, sociali che ne costituiscono l’essenza, che ne sanzionano l’immodificabilità valoriale. Lo si deve fare valutando realisticamente qualche sua involontaria debolezza, come quella, nonostante l’imponente assetto delle regole e delle istituzioni che la difendono, di una certa difficoltà di far valere la portata concreta di alcuni suoi principi.
E vengo, rapidamente, ad una esemplificazione. Rispetto allo scempio del bene comune perpetrato in molte stagioni politiche, e da ultimo acuito dal populismo, attraverso il ripetuto ricorso ai condoni (come strumenti di provvista di un consenso a buon mercato e di mezzi finanziari facili), l’evidente incostituzionalità delle leggi che li hanno resi operativi non è mai stata fatta valere. Molte le ragioni, probabilmente su di esse ci divideremmo, una la realtà: il bene comune, i beni comuni, il principio di affidamento dello Stato, la lealtà dei buoni cittadini, tutti questi valori travolti dal male della condonismo debbono essere meglio protetti, badate bene, contro la legge, cioè contro una volontà democraticamente assunta in Parlamento da alcune forze politiche democraticamente elette. Una vera trappola della democrazia! Lo si deve fare rinforzando la costituzione. Di qui la proposta di un articolo da introdurre tra i principi fondamentali subito dopo l’articolo 4, il seguente:
“ Al fine dell’utilità generale, lo Stato ripudia il ricorso a misure di sanatoria di violazioni, comunque e da chiunque compiute, dei principi e delle leggi in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, del paesaggio, del patrimonio storico, artistico e dei beni culturali della nazione.
Lo Stato ripudia il ricorso a misure di sanatoria di violazioni dei principi e delle leggi in materia di obbligazioni contributive ed impositive stabilite dalla legge.
Lo Stato ripudia il ricorso a misure di sanatoria di violazione di leggi al fine di assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.”
Certamente perfettibile, la presente proposta può costituire la posizione politica dei cattolici che intendono contribuire alla salvaguardia della democrazia e fissare un terreno di incontro con tutti i cittadini italiani perché sia accertato che si collocano massicciamente, quando non unanimemente, all’interno dei valori dichiarati di lealtà, difesa e rappresentanza del bene comune. In fondo, molto più semplicemente, l’esercizio della democrazia pone ognuno di noi, in ogni momento della nostra vita, di fronte alla propria responsabilità. In questo caso, si deve offrire al paese l’opportunità di guardare in fondo alla propria coscienza e pronunciarsi sulla opportunità di continuare ad alimentare con il proprio consenso forze politiche che manifestamente o clandestinamente piagano la democrazia e danneggiano il paese. E così facendo, nel tempo si ritorcono reciprocamente responsabilità dei mali sociali ed economici provocati per scambiarsi di ruolo, di volta in volta, e proseguire nelle loro azioni di dissoluzione dei valori democratici e delle istituzioni che li interpretano.
Alessandro Diotallevi