Gli avvenimenti recenti derivanti dalla guerra in Ucraina e le relative conseguenze, nonché la pandemia da Covid-19 ancora in atto, non permettono di fare la fotografia del momento economico che stiamo vivendo, per il continuo avvicendarsi delle nuove situazioni di equilibrio della politica europea e per i continui stress economico-finanziari e molteplici tensioni di mercato, .

In questo mio scritto parlerò del DEF 2022, dell’aumento dei prezzi e conseguente inflazione, del ristagno dell’attività economico-produttiva e accennerò sull’attuazione, con i necessari cambiamenti, del PNRR in una previsione a breve/medio termine.

Per ben comprendere il momento che stiamo attraversando prendo ad esempio quanto segue:

1) le misure prese per sostenere la liquidità delle imprese durante la pandemia;

2) quanto viene detto nel Def (Documento di Economia e Finanza) 2022 presentato in aprile dal Governo presieduto dal prof. Mario Draghi.

Circa il primo punto il Governo si è mosso su due linee che sono le seguenti:

  1. la prima creando nuove garanzie alle imprese andando ad incrementare il Fondo di garanzia per le PMI;
  2. la seconda applicando una moratoria nei pagamenti in scadenza sui prestiti bancari alle piccole e medie imprese (Pmi). Con tali misure nel 2020 si è avuto un aumento degli affidamenti e/o crediti bancari verso le imprese per 37 miliardi di euro e nel 2021 il livello è stato parimenti elevato.

“Durante l’emergenza covid-19, i decreti Cura Italia (17/03/2020) e liquidità (8/04/2020) hanno finanziato questi due canali, ampliando le coperture delle garanzie e la platea dei beneficiari e semplificando le procedure di accesso”. “Successivamente la legge di Bilancio 2022 ha prorogato queste misure al 30/06/2022. (Luca Favero – 23/04/2022 – A cura dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani).

Il Documento di Economia e Finanza (Def) fa la fotografia del momento (ad aprile 2022) e presenta il quadro economico di riferimento, che subisce ancora gli effetti della pandemia da covid-19, che è aggravato dalla guerra in Ucraina e che si trova in un momento di ristagno della crescita dovuto all’effetto inflazione e alla difficoltà di soddisfare la maggiore domanda delle imprese di materie prime e di beni strumentali. Tale difficoltà dovuta sempre alla pandemia, aggravata anche dagli effetti della guerra, non permette alle imprese di riavviare la produzione e di incrementare di conseguenza il potenziale produttivo tale da soddisfare la maggiore domanda di beni durevoli, strumentali e di consumo.

In un articolo del 1° maggio 2022, apparso su “Economia”, l’autore Leopoldo Gasparro così scrive: “La produttività è stata insufficiente (nel periodo della pandemia). Non è stata in grado di rispondere alla domanda altissima che arrivava dal mercato”. I prezzi dei prodotti a causa dell’aumento della domanda sono cresciuti ed è stato questo l’inizio della causa dell’inflazione. A ciò si è aggiunta la domanda sempre più alta dell’energia, anche a causa della guerra in Ucraina e conseguente crisi con la Russia, che ha fatto ulteriormente lievitare i prezzi del gas e petrolio. Tale situazione di crescente e impellente domanda di beni economici e di energia, ha portato l’inflazione dal 3.9% di dicembre 2021 al 6,2% di aprile 2022 (dato Istat).

In questa situazione di freno e/o ristagno della produzione, di aumento dell’inflazione, il sistema economico ha crescita zero o appena negativa e si pone nelle condizioni di un PIL che non cresce, creando quella situazione che è tipica di quella fase dell’economia conosciuta con il termine stagflazione.

L’economia italiana, europea e mondiale sta rischiando, per quanto sopra detto, di entrare in piena situazione di stagflazione.

Nel Def 2022 tale situazione è stata tenuta presente e si è cercato di compensare i danni derivanti dall’aumento dei prezzi e dall’incremento della spesa pubblica, per via dei maggiori interessi sul debito pubblico, con i miglioramenti oggettivamente possibili dell’economia del nostro Paese. Infatti nel Def si rileva una diminuzione o riduzione dell’indebitamento netto pari a due punti percentuali relativamente a maggiori entrate e minori spese correnti (da tenere presente che il valore reale dei beni consumati e/o scambiati risulta in momenti di inflazione superiore al valore nominale degli stessi beni nel periodi di stabilita monetaria e dei prezzi). Tra le entrate c’è stato un miglioramento dei contributi sociali (+ 5,2%), delle imposte indirette (+2,7%), delle imposte dirette (+2,5%), minori entrate in c/capitale (- 2,8 miliardi). Tutto questo ha portato il PIL ad una maggiore crescita dello 0,6% (6,6% – 6,00%). Per quanto riguarda le spese primarie esse sono state ridotte di 16,7 miliardi.

Il calo di 16,7 miliardi è dovuto al contenimento, anzi diminuzione, delle spese previdenziali, delle spese per i dipendenti e per i trasferimenti delle spese correnti a famiglie e attività economiche imprenditoriali. Anche il Pnrr ha contribuito alla riduzione delle spese del 2021 per la parte trasferita al 2022.

Tutto ciò per le spese correnti, mentre per le spese in c/capitale c’è stata di fatto una compensazione tra aumenti e diminuzioni delle stesse, da considerare come variazioni di bilancio.

Dal Def inoltre si rileva un minore indebitamento di 10,5 miliardi, importo pari allo 0,5% del Pil ,derivante dalla differenza tra l’indebitamento tendenziale e quello netto.

Dei 10,5 miliardi solo 6 potranno servire come possibilità di manovra, mentre 4,5 miliardi saranno impiegati per dare ossigeno al decreto energia (17/2022).

Un impulso alla crescita potrebbe derivare dall’impiego dei fondi del Pnrr che ha come obiettivo quello di “promuovere l’avanzamento tecnologico, sociale ed economico del Paese”. Tuttavia non tutte le spese provenienti dagli investimenti del Pnrr saranno indirizzate ad aumentare il potenziale produttivo del Pil. Potenziale che è tuttavia alimentato dal 50% circa delle spese del Pnrr.

Con queste condizioni ci sarà crescita? La pandemia da covid-19, con gli aiuti (senza ritorno economico) a famiglie e imprese, sta ancora incrementando la spesa pubblica non pienamente produttiva che così tende a ridurre, se non annullare del tutto, le possibilità di incrementare la produttività del sistema economico-sociale. La guerra in Ucraina inoltre ha aumentato le difficoltà di miglioramento, causando attraverso le maggiori spese e maggiori costi sociali, serie difficolta all’avanzamento economico-produttivo del nostro Paese. Se a ciò si aggiunge l’aumento dei prezzi a causa della maggiore inflazione e il ristagno e stasi della produttività come risultato di quanto appena sopra detto, potremmo dire che sicuramente l’economia, non solo italiana ma europea e mondiale, sta entrando in una fase di stagflazione.

Il quadro che si prospetta pertanto è oltremodo preoccupante perché la stagflazione sarà mondiale. E’ prevista per ciò una discesa del Pil dell’1% che sarà del 3,9% con in aggiunta gli effetti della pandemia (sei volte maggiore dell’effetto stagflazione). Quindi “arretramento e/o stagnazione dell’economia in una situazione in cui i prezzi delle materie prime tenderanno ad aumentare, andando ad incrementare ulteriormente l’inflazione in Europa e nel mondo”.

In questo quadro di stasi del potenziale produttivo generale, si aggiunge inoltre una difficoltà del credito alle imprese da parte delle banche in quanto non hanno adeguato i tassi di interesse a quelli praticati dalla Fed e dalla Bce: Mantenere bassi i tassi di interesse significa dare una bassa remunerazione ai depositi bancari con conseguente forte riduzione del risparmio e riduzione di prestiti alle famiglie ed imprese.

Per evitare il rischio di stagflazione, se non di recessione, la Fed si appresta ad annunciare una stretta monetaria di 50 punti base pari allo 0,50% che segue quella del marzo 2022 di 25 punti base (0,25%). Una stretta monetaria simile è prevista che sarà varata dalla Bce subito dopo quella della Fed e dalle altre Banche Centrali non facenti parte dell’Ue.

Tale situazione comporterà un rafforzamento del dollaro (già in ascesa), che andrà a mitigare l’inflazione mentre le altre Banche Centrali dovranno anche loro alzare i tassi di interesse, cosa che avrà come conseguenza maggiori depositi bancari, maggiori prestiti alle imprese, aumento del potenziale produttivo e quindi dell’offerta e la riduzione della domanda di materie prime, petrolio, gas ecc…con successiva e conseguente riduzione dei prezzi.

Antonio Mascolo

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