Il Mezzogiorno d’Italia nel terzo millennio continua ad essere caratterizzato da un significativo divario del reddito pro-capite nei confronti delle regioni settentrionali, da un persistente ritardo delle attività imprenditoriali e da un sistema sociale pervaso da mentalità assistenziale. Vanno intraprese nuove modalità d’intervento che vanno dall’accesso delle imprese ai finanziamenti ai settori industriali su cui puntare.
A causa della infezione virale del 2020, le previsioni del Pil nel 2020 prevedono un -8,4% per l’Italia composto del -8,5% al Centro-Nord e del – 7,9% nel Mezzogiorno (Rapporto l’impatto economico e sociale del covid-19: mezzogiorno e centro-nord, Svimez, Roma, 9 aprile 2020). L’emergenza sanitaria colpisce più il Nord, ma il Mezzogiorno rischia di essere più penalizzato, poiché le regioni meridionali non hanno ancora recuperato il gap causato dalla crisi finanziaria del 2008, pari a -15 punti percentuali in termini di PIL rispetto al -7 del Centro-Nord. Al Nord l’impatto sull’occupazione dipendente risulta più intenso che nel Mezzogiorno (36,7% contro il 31,4%) per l’effetto della concentrazione territoriale di aziende di maggiore dimensione. Si sono fermate le attività autonome di piccole dimensioni: oltre 2,1 milioni, di cui 1 milione al Nord e la parte restante nel resto d’Italia. Però, la maggiore fragilità e precarietà del mercato del lavoro meridionale rende più difficile assicurare una tutela a tutti i lavoratori, con impatti rilevanti sulla tenuta sociale dell’area. Il rischio di default è maggiore anche per le medie e grandi imprese del Mezzogiorno.
L’uscita dalla fase di emergenza sanitaria si presenta più difficile per Mezzogiorno e per questo per uscire dall’impasse bisogna superare il tradizionale dualismo territoriale e ragionare in un’ottica di Sistema Paese.
La necessità di interventi coadiuvanti allo sviluppo non possono essere demonizzati in nome degli insuccessi – recte parziali successi – della ex Cassa per il Mezzogiorno; a tal proposto, le indagini di politica economica concordemente distinguono gli interventi per il Mezzogiorno in tre fasi dagli esiti soddisfacenti e una quarta, la più lunga, dai risultati contradditori: una prima fase denominata infrastrutturale va dal 1952 al 1957; una seconda basata sugli incentivi va dal 1958 al 1963; una terza di investimenti tramite imprese a partecipazione statale e imprese totalmente pubbliche copre gli anni dal 1964 al 1970. In questi anni si ha avuto una riduzione del divario del reddito pro-capite tra le regioni settentrionali e quelle meridionali. E’ negli anni successivi al 1970 che gli interventi cambiano natura, tradendo gli orientamenti iniziali ascrivibili alla SVIMEZ, e si passa da una politica dell’offerta ad una di tipo indistintamente distributivo.
Appare necessario oggi porre al centro del dibattito politico ed economico il potenziamento del Mezzogiorno, in nome di un nuovo meridionalismo dagli obiettivi concreti, fattivi e facilmente verificabili.
Bisogna tornare all’impostazione strategica ed alle analisi teoriche a base del modello d’intervento della prima fase industrializzazione, che rimane, nelle linee ispiratrici, un progetto di grande modernità, basato su modelli di intervento che tengono fuori lo Stato dall’economia come organizzatore e lo lasciano come sponsor. Sarebbe auspicabile ancora adesso creare enti dedicati alla risoluzione del Mezzogiorno, sottraendolo al controllo delle assemblee elettive.
Il North Carolina dagli anni ottanta ha subito una trasformazione economica, caratterizzata dalla nascita e dallo sviluppo di imprese operanti in settori ad alta tecnologia e nei servizi finanziari. La politica delle autorità governative di questo stato si è basata sulla costituzione di un’agenzia statale, la Economic Development Agency, finalizzata alla promozione di una rete di incentivi per attirare imprese, e la costituzione di un parco scientifico, il Research Triangle Park, destinato alla promozione dell’innovazione nel campo delle nuove tecnologie. Dal 1984 al 2004 il PIL è passato dal 82,8 a 301 miliardi di dollari, l’occupazione da 2,6 a 3,9 milioni di dollari, gli addetti ai servizi da 411 mila a 1,4 milioni, il reddito pro-capite da 10 a 28 milioni di dollari. Il North Carolina nel 1996 ha varato il William Lee Act per incentivi alle imprese, che investono in nuova occupazione e ricerca: a quasi dieci anni dall’intervento legislativo, si è avuto un incremento di call center e investimenti in tecnologie avanzate.
Nel Mezzogiorno d’Italia, negli stessi anni, si è provveduto a smantellare l’Intervento Straordinario senza prendere in esame l’efficacia di iniziative alternative, le quali dovrebbero basarsi più sull’impiego di strumenti dotati di discrezionalità, come strategie di targeting settoriali per la nascita di imprese operanti in settori a più alta intensità di generazione di valore rispetto a quelli tradizionali, che sull’assegnazione di benefici alle imprese in base ad automatismi, come i crediti d’imposta indifferenziati, i quali generano un’indistinta distribuzione di agevolazioni.
Un nuovo modello d’intervento deve prevedere uno scambio di relazioni continuo tra centri scientifico-tecnologico ed industria, al fine di favorire la sperimentazione di nuove idee e realizzare prototipi utilizzabili dall’industria. Lo scambio deve agire in maniera bi-direzionale, nel senso che le stesse imprese devono essere poste in condizioni di rivolgersi ai centri di ricerca per innovare e sperimentare prodotti e modalità produttive.
Per il Mezzogiorno è essenziale puntare su imprese attive nella frontiera delle nuove tecnologie, come ad esempio le nanotecnologie per la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali, le biotecnologie applicate alle scienze della vita, lo sviluppo software, perché investire soltanto sulle manifatture tradizionali, significa condizionare l’accumulazione di capitale, con il rischio di relegare le regioni meridionali ad un ruolo secondario nello scenario competitivo, che si riflette negativamente sull’intera economia italiana.
Le attività legate al turismo vanno senz’altro sostenute nelle aree che presentano una vocazione geografica idonea. Però, quand’anche vi siano le condizioni adeguate per un’offerta strutturata, gli investimenti nel turismo contribuiscono in minima parte alla riduzione del dualismo industriale, perché generano un valore in termini di conoscenze, competenze e performance che è nettamente inferiore a quello dei settori a tecnologia avanzata, che non sempre sono vincolati alle grandi dimensioni.
Per favorire nuovi investimenti nel Mezzogiorno è essenziale attirare capitali finanziari intrecciando percorsi virtuosi tra regole pubbliche e private. In quest’ottica, va colta l’occasione del decreto legge cosiddetto Rilancio del 19 maggio 2020 n. 34 che all’articolo 27 istituisce un nuovo fondo presso la Cassa Depositi e Prestiti per la realizzazione di progetti d’investimento, destinato in realtà all’intero territorio nazionale e non si tratta però di una semplice misura emergenziale. Si configura un intervento dello stato nelle imprese che potrà avere conseguenze positive nel lungo periodo.
Le risorse posso essere impiegati per interventi di sostegno e rilancio del sistema economico e produttivo a maggiore ragione per il Mezzogiorno. L’articolo 27 del decreto legge n.34 si colloca nel solco di quanto è avvenuto e sta avvenendo in molti paesi al di qua e al di là dell’oceano, con lo stanziamento di ingenti risorse pubbliche a sostegno di una forte capitalizzazione delle imprese. Le risorse stanziate devono essere gestire su una governance pubblica che definisca, in modo chiaro, trasparente e competente, prima le strategie e poi i percorsi per attuarle, monitorarle e controllarne i risultati. Il rischio altrimenti è che, sotto la veste di misure emergenziali, si ritorni agli antichi e conosciuti vizi della degenerazione del sistema italico delle partecipazioni statali. Nel Mezzogiorno l’esistenza di un ampio bacino di risorse dei fondi europei non utilizzati ha costituito la motivazione e per certi versi l’alibi per indirizzare la spesa ordinaria e quella aggiuntiva dello Stato verso altre finalità (Mannin Carabba, Riccardo Padovani, Le politiche di coesione in tra austerità nuove sfide, Quaderno SVIMEZ, n. 47, 2016). Affermare la centralità dei fondi strutturali significa non solo preoccuparsi solo di una fonte finanziaria fondamentale, ma immaginare un metodo di lavoro come perno attorno a cui far ruotare una politica di sviluppo rinnovata. Bisogna preoccuparsi di far convergere anche i fondi private in maniera nuova condivisa ed efficace.
Non da ultimo, ci sono le infrastrutture che possono essere vista come l’incapacità di fare buona programmazione, in Italia come nel Mezzogiorno. A partire dagli anni sessanta, l’Italia ha speso in infrastrutture come i nostri principali partner europei, ma le dotazioni fisiche del nostro paese risultano inferiori e ancor più inferiori nel Mezzogiorno, dove emergono gravi inefficienze nei meccanismi di selezione, finanziamento e realizzazione delle opere (Lo sviluppo del Mezzogiorno: una priorità nazionale di Fabio Panetta, Banca d’Italia, 21 settembre 2019).
Il Mezzogiorno va visto come una parte fondamentale delle prospettive di crescita e può e deve rappresentare l’occasione per il rilancio dell’intero paese.
Bonaventura Marino