Dopo un ritardo di quasi quattro anni, sembra che abbia preso forma la bozza di un decreto attuativo elaborato dal dicastero guidato dal ministro Speranza che dà attuazione alla legge Lorenzin del 2018 per riformulare e semplificare l’attività dei  Comitati di etica istituiti per la valutazione delle sperimentazioni cliniche e dei medicinali. L’obiettivo della riforma Lorenzin era quello di ridurre il numero dei Comitati di etica a livello territoriale per semplificare l’iter procedurale delle attività di ricerca e ridurre la disparità di giudizio, magari sulla  stessa ricerca, come a volte accadeva nel caso di  ricerche multicentriche, con più Comitati chiamati a pronunciarsi sul medesimo progetto; e, fatto non dichiarato, ma evidente tra le righe, ridurre i costi dei comitati.

Si è introdotta la prassi che ha portato a far valutare ai Comitati di etica qualsiasi iniziativa di studio e di ricerca, anche per quanto concerne gli “studi osservazionali”. Quelli svolti, cioè, per verificare se le metodiche e le prassi di cura usualmente utilizzate fossero realmente efficaci nel produrre gli effetti attesi. I medici ben sanno che spesso sono diversi i risultati quando effettuati in un “setting” di ricerca invece che nella quotidianità del mondo reale e senza “selezionare” i pazienti…). Non si capisce pertanto il “profondo” (?!) senso etico di una tale estensione ( ops …mi dimenticavo: la burocrazia procedurale …), a prescindere dal fatto che a questi Comitati etici è chiesto di  verificare anche il rapporto costo-beneficio dell’attività di ricerca proposta (e, di nuovo, non si capisce cosa ci siano a fare i Comitati di valutazione della ricerca…che nei bandi competitivi decidono il “ranking” e l’approvazione delle ricerche presentate). E’ assai curioso che, nell’articolato di una bozza di decreto tutto finalizzato alla valutazione della ricerca, per renderla più competitiva e al passo con i tempi, compaia un comma in cui s’investono questi Comitati di etica così riformati, ANCHE,  della responsabilità d’esprimere un parere nei casi riguardanti richieste di suicidio medicalmente assistito. “Già che ci siete ….” vien da dire…

E qualora non siano presenti figure quali un rianimatore, un palliativista, un neurologo, uno psicologo e un rappresentante delle figure infermieristiche, possono essere integrate per la specifica valutazione della richiesta… chi li sceglie? Qualche funzionario di qualche assessorato al Welfare regionale?…Ci sarà un elenco pubblico e trasparente? Qualche modulo per disciplinare le domande e stilare le graduatorie di merito? Farà tutto il governatore o l’assessore?

A prescindere dalla liceità d’azione di un Ministro il quale, “preso atto” di una sentenza della Consulta che ha rinviato al Parlamento una sollecitazione a valutare questioni eticamente e giuridicamente complesse, ne decide l’attuazione con un “decreto autocefalo”,  è ingeneroso e indecoroso immaginare che, per valutare una richiesta così dolorosa e angosciosa, come quella di una persona tanto sofferente e sola, e senza prospettive di senso, di porre fine alla propria esistenza, sia assemblato un “panel” di persone, con modalità necessariamente casuali, in aggiunta ad un Comitato costituito per fare altro, per definire una vicenda, sia detto con tutto il rispetto per i ricercatori, molto, molto più importante e delicata che non valutare una ricerca!

Memori del fatto che i Comitati precedenti potevano avere necessariamente una difformità di giudizio su di una decisione, poi valutata da correggere, si lasciano pareri così importanti a differenti Comitati di etica sparsi per la Penisola con l’aggravante di una aggiunta estemporanea di esperti per lo specifico caso. Non è necessario essere competenti in “dinamiche delle relazioni sociali e gruppali” per sapere come le modifiche di assetto di un comitato, specie se improvvisate, rendono più complessa e variabile  l’emissione di un parere meditato e condiviso.

Non credo che a nessuno sia mai venuto in mente di costruire una Corte Costituzionale a “geometria variabile”… Quando si deve dare un parere sulla vita e sulla morte di una persona, la serietà, oltre che dei componenti (che credo sarà certo indubitabile), è prima di tutto da ricercare nel metodo con cui si costruiscono i comitati.

Poiché –a prescindere dal giudizio e dalle norme che valuterà il Parlamento, – non ci aspettiamo centinaia di domande (e se così fosse, andrebbe fatta qualche riflessione antropologica seria e approfondita anche sul ruolo della medicina e dei sistemi sanitari moderni che salvano e tengono in vita le persone e poi le lasciano così sole da farle invocare la morte come soluzione alle loro angosce…), perché non chiedere formalmente, e con forza, che sia istituito un unico Comitato di etica nazionale. Costituito ad hoc da personalità di alto profilo, rappresentative di tutte le professionalità e delle diverse sensibilità spirituali e religiose in grado di valutare le tante sfaccettature connesse a questa drammatica richiesta o ad altre simili?

Innanzitutto, si azzererebbe la variabilità di giudizio, che è intrinseca in decisioni come queste, e si eviterebbe di utilizzare le decisioni di un comitato per fare pressioni su di un altro comitato, quasi che fosse una giurisprudenza applicativa o, peggio, una gara tra lobbies. In secondo luogo, si sottrarrebbero il giudizio e la riflessione sulla vita e la morte alla banalizzazione mediatica già in essere.

Non da ultimo: si darebbe un messaggio di  grande solidarietà e serietà verso le persone che sono così angosciate da chiedere la morte. Salvate e lasciate sole “senza urne e infinità” –parafrasando il Foscolo –, ma  almeno prese davvero sul serio di fronte al loro ultimo grido di angoscia che, nel mentre invoca la Morte, è in realtà una drammatica invocazione alla Vita.

Massimo Molteni

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