Se dovessimo ricorrere ad una metafora tratta dalla geometria per descrivere le condizioni in cui versa il nostro sistema politico-istituzionale, potremmo dire che abbonda di perimetri, ma non ha un baricentro. A destra, infatti, come a sinistra e pure in quella sorta di “centro” formato “miscuglio” che sembra si stia faticosamente affacciando, più che “aree”, come pure solitamente si usa dire, si scorgono tutt’al più dei perimetri.

Per aree si dovrebbero intendere spazi strutturati, in cui sono ricompresi soggetti per lo più omogenei, dotati di relazioni, tra di loro, definite e stabili, che lasciano intuire le loro possibili evoluzioni nel tempo. Vi sono, invece, linee di demarcazione che tracciano confini ameboidi, frastagliati ed instabili. Perimetrazioni che spesso non consentono di capire chi è dentro e chi sta fuori, chi sta su un bordo per entrare o piuttosto per uscire, chi sia o meno compatibile con altri soggetti dello stesso accampamento e se vi sia, e quale, una certa gerarchia. Ma, soprattutto, manca un “baricentro”, cioè un “ubi consistam” che funga da momento ordinatore di un confronto che mostri schiettamente quella peculiarità culturale e tematica di ciascuna forza che, nell’attuale sistema di reciproca delegittimazione delle parti, viene addirittura enfatizzata e spinta sopra le righe, senonché degradata in forme caricaturali.

Per baricentro s’intende il “centro di gravità” di un corpo o di un sistema, quel punto di equilibrio verso cui converge la molteplicità dei suoi elementi costitutivi, conferendogli stabilità, pur nel movimento.
Infatti, baricentro non è sinonimo d’immobilismo. Nella misura in cui può ricadere al di fuori della base d’appoggio del sistema, lo induce di necessità a procedere in una determinata direzione pur di non smarrire la propria postura.
Il baricentro non è necessariamente una forza di interposizione tra le altre, ma piuttosto un pensiero forte, un nucleo tematico organico e dotato di una coerenza interna che, oggettivamente, impone una traccia non eludibile alla dialettica politica, aprendo spazi di necessaria mediazione. Non attiene lo schieramento, ma piuttosto un dato di cultura politica e di coscienza civile. Concerne, pur entro una dialettica oppositiva ed aspra, la capacità di riconoscere un certo riferimento ad un interesse nazionale che sia, almeno in filigrana, comune, una lettura non del tutto dissimile del particolare momento storico, la convinzione condivisa che si debbano trascendere gli interessi particolari, sia pure in un quadro di visioni complessive dissimili.

Oggi, al contrario, siamo immersi in un clima, a dir poco, surreale. Vi sono, per un verso, argomenti “tabù” dall’una e dall’altra parte. Temi che diventano reciprocamente, per gli uni e per gli altri, non negoziabili perché la loro valenza poco o nulla ha a che vedere con la loro oggettiva consistenza in termini di contenuto, ma piuttosto vengono assunti come bandierine che contrassegnano i territori di un ”risiko” che si avvita su sé stesso, senza posa. Altri fronti tematici, cui nessuno può sfuggire, vengono, per forza di cose, polarizzati, al punto di scivolare in una sorta di reciproca ideologizzazione.

Insomma, le relazioni tra le parti interne all’attuale sistema politico, almeno così come lo vediamo rappresentato nelle aule parlamentari, si sono reciprocamente incaprettate, secondo un’ autoreferenzialità che, se per un verso vorrebbe esaltare la singolarità’ di ciascuna, per altro verso tutte le accomuna in un giudizio dell’ elettorato talmente negativo e sprezzante da indurlo a disertare le urne, come se il Paese si arroccasse in una sorta di nuovo Aventino.
Insomma, bisogna rompere questo schema e liberare il Paese dal capestro bipolare che lo soffoca.

INSIEME non è nata per “attovagliarsi” al tavolo delle opportunità del momento, bensì per offrire al Paese una visione di larga prospettiva, nel segno di quell’ispirazione cristiana che, per sua natura, trascende gli interessi particolari, in funzione di un traguardo di “bene comune”.

Domenico Galbiati

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